03/03/09

La parola con la “D”

depressione, nouriel roubini, Paul Krugman, silvio berlusconi

Carta canta: quattro grandi crolli in Borsa a confronto: 1929-1932; 1973-1974; 2000-2002; e 2007-2008 (via Calculatedrisk)

Per pronunciare quella parolina semplice semplice con la “P” ha impiegato quasi sei mesi. Però, alla fine, ce l’ha fatta. Lui, l’inguaribile “ottimista” di Arcore - al secolo Berlusconi Silvio; per la cronaca anche primo ministro del nostro (ex) Belpaese - una manciata di giorni fa è riuscito finalmente a dire a microfoni aperti che cominciava ad essere un tantino preoccupato per l’andazzo dell’economia: “La crisi ha dimensioni non ben definite. Noi la guardiamo con preoccupazione”. Un evento. Un evento di cui val la pena segnarsi la data: era il 13 febbraio 2009. La “crisi” era esplosa con il crac della banca americana Lehman Brothers, fallita il 15 settembre del 2008. Erano passati la bellezza di 152 giorni di sfrenato ottimismo (“Le nostre banche sono solide”; “Non è un nuovo ‘29″; “Comprate azioni Eni e Enel” e vedrete che ridere; e cose così). E i quotidiani italiani - Corriere e Stampa, in testa - ci “aprirono” increduli il giornale. Con tanto di titoloni a tutta pagina: “Berlusconi è preoccupato”. Peccato solo che presto la lingua del Cavaliere potrebbe essere chiamata a una sfida ben più ardua. Pronunciare l’impronunciabile. Sdoganando anche in Italia quel vocabolo con la “D” che da un paio di mesi sta al centro del dibattito economico mondiale. Ma che anche grazie a lui stenta a trovare posto sui New York Times e le Cnn de’ noantri. La “D” è quella di “Depressione”.

L’ultimo a parlarne non è stato un catastrofistra nostrano alle vongole.
Ma l’economista americano - e premio nobel 2008 per l’economia - Paul Krugman. Che sul suo blog, ospitato dalle pagine on line del New York Times, ieri ha scritto nero su bianco: la banca centrale americana sta facendo di tutto e di più per arginare la crisi. Ma “l’economia mondiale sta ancora precipitando”. Evidentemente - ed ecco la parolina o parolaccia con la “D” - “evitare le depressioni“, ha sentenziato Krugman poche ore prima che le Borse di mezzo mondo crollassero per l’ennesima volta, “è molto più difficile di quel che ci è stato insegnato” da certe teorie economiche del passato. Del resto: il premio Nobel, da tempo, ripete a ogni pie’ sospinto che i casi sono due. O si azzecca la ricetta giusta. O l’economia mondiale finirà a ramengo. Ultimamente i politici di mezzo mondo non stanno proprio azzeccando tutto. E quindi: “Sì possiamo avere un’altra depressione - aveva già detto senza mezzi termini Krugman non più tardi di un mesetto fa - perchè quelli che rifiutano di imparare dalla storia, possono essere condannati a ripeterla”. Una preoccupazione condivisa anche da un altro celebre economista americano, Nouriel Roubini. Che è stato uno dei pochissimi - nel settembre del 2006 - a prevedere la crisi dei mutui subprime. E che ieri sul suo blog ha scritto un pezzo dal titolo inequivocabile: “Il rischio crescente di una quasi depressione globale”.

Fumose disquisizioni da accademici? Niente affatto. La parola depressione è già entrata ufficialmente anche nei recinti dell’Alta finanza che conta. Tanto che a fine gennaio - come aveva riportato anche il blog del Financial Times - un analista economico della banca d’affari americana Merril Lynch, David Rosenberg aveva scritto una nota intitolata “Alcune scomode verità”. Per dire che, sì, per una “depressione” non c’era una “definizione ufficiale. Sappiamo solo che ne sono esistite in passato: ce ne sono state non meno di quattro nell’Ottocento e una nel Novecento”, quel famoso ‘29 che aveva trascinato la Germania al nazismo e il mondo alla seconda guerra mondiale . E quindi? E quindi “probabilmente ne stiamo affrontando una oggi”, aveva concluso Rosenberg. Una solfa non proprio allegra. Ma ripetuta quasi pari pari anche dal numero uno del Fondo monetario internazionale Dominique Strauss Kahn ad inizio febbraio: “Le economie avanzate sono già in una depressione e la crisi finanziaria può farsi ancora più grave”.

Parole e pareri pesanti. Che fanno il paio con una gaffe altrettanto di peso. Quella del premier inglese, Gordon Brown. Che sempre a inizio febbraio, durante un’audizione in parlamento, si è lasciato scappare sempre quella maledetta parola con la “D”: “Dovremmo trovare un accordo a livello mondiale su un impulso monetario e fiscale per portare il mondo fuori dalla depressione“, aveva detto Brown. Salvo poi correggersi con una nota inviata alla stampa: non voleva dire depressione, ma recessione. Peccato che poi a chiarire meglio il concetto ci ha pensato il segretario all’infanzia del suo governo, Ed Balls. Che pochi giorni dopo ha sintetizzato la situazione con toni non meno cupi: “Questa è la crisi finanziaria più estrema e seria da quella degli anni Trenta e la realtà è che sta per cominciare la pù seria recessione globale degli ultimi cento anni”. Come a dire: se non è zuppa, è pan bagnato.

E in Italia? E in Italia, zut. Silenzio. Le Borse crollano, il pil tracolla e le aziende licenziano come nel resto del mondo. Ma nel vocabolario berlusconiano - tra la “A” di abbronzato e la “Z” di zia suora - spazio per la “C” di crisi ce n’è poco. Per la “D” di depressione non ce n’è affatto. Risultato: anche il ministro delle Finanze, Giulio Tremonti che mesi fa si azzardava a parlare di un nuovo ‘29, ora non fa che ripetere il mantra del capobottega sulla solidità delle banche e del nostro (ex) Belpaese. Sia come sia, poco importa. A breve non serviranno più le lingue dei politici di centro, sinistra e destra. E nemmeno quelle di giornali e tivù. A breve a parlare saranno i fatti.

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