09/05/10

La fine dei blog italiani


Non è che ci sia davvero qualcuno contrario all'idea che sia giusto e doveroso chiedere scusa e rettificare quando si sbaglia. Il punto sono i modi e i tempi. Est modus in rebus. Cum granu salis. In medio stat virtus. Tocca a voi.

Già la sola idea di applicare una legge pensata nel 1948, la legge sulla stampa, al mondo multimediale e iperconnesso del 2010 è aberrante come ostinarsi ad utilizzare il fax invece di scansionare un documento e inviarlo per email. Tanto vale rimettere la Terra al centro dell'universo e ricominciare daccapo con gli esperimenti sulla caduta dei gravi.
Secondariamente, stiamo parlando di un provvedimento oscurantista quanto la demonizzazione dei primi cinematografi, del telefono o del rock'n'roll. Mentre l'Europa sancisce infatti la tutela delle nuove forme di espressione digitali che riportano il cittadino al centro del dibattito politico e culturale, considerate una nuova forma di Rinascimento dopo un lungo medioevo della comunicazione dominato dalla libertà di parola ma dal divieto di essere ascoltati, l'Italia legifera in senso contrario e sta per assestare un durissimo ed esclusivo colpo all'informazione dal basso.

Del resto, dobbiamo o non dobbiamo distinguerci per fare l'interesse delle lobby sempre e ad ogni costo? Vogliamo o non vogliamo salvare l'editoria dalla lenta e inesorabile migrazione dei lettori verso il web? E' necessario o non è necessario conservare i privilegi dei pensatori autorizzati, inseriti in questa o in quella corrente e foraggiati adeguatamente per tutta la stagione del campionato? E bisogna o non bisogna evitare infine che chiunque possa dire qualsiasi cosa, finendo così per dare attuazione nientemento che ad un articolo della sovversiva Costituzione?

Bene. Se almeno su questo siamo tutti d'accordo, allora il Diritto di Rettifica casca come il cacio sui maccheroni. Apparentemente diamo corso all'applicazione del diritto a non essere diffamati; concretamente rendiamo invece impossibile per un blogger scrivere di qualsiasi cosa che non siano ricette di cucina o racconti delle vacanze, in quest'ultimo caso stando attenti però a non parlare male dell'albergatore.

Tra una settimana, se non cambia qualcosa, insieme al DDL Intercettazioni passa anche l'equiparazione di tutti i siti informatici (?) ai soggetti regolamentati dalla legge sulla stampa del 1948, per quanto riguarda il dovere di ottemperare alla rettifica di informazioni ritenute, arbitrariamente, lesive della reputazione di un soggetto terzo.

Cosa significa? Supponiamo che io scriva qualcosa che Tizio o Caio ritengono lesivo nei loro confronti. Bene: Tizio o Caio mi fanno scrivere dal loro legale una bella raccomandata A/R dove mi si chiede di rettificare. Innanzitutto osserviamo che la rettifica ha senso in un mondo dove gli spazi di comunicazione sono limitati e non accessibili, e quindi non nella rete internet dove tutti possono, a costo zero e senza competenze informatiche, diffondere una loro versione dei fatti che la blogosfera ha tutti gli strumenti per mettere in rilievo e contrapporre alle informazioni ritenute lesive. La vera norma inernetticida, tuttavia, si manifesta con l'obbligo di ottemperare alla richiesta di rettifica entro 48 ore dalla data di ricezione della comunicazione. Altrimenti? 13mila euro di multa.

Siete intelligenti. Voi capite che alla prima sanzione un qualsiasi blog, compreso questo che già sta lottando per sopravvivere anche senza multe, recherà in calce l'intestazione "chiuso per pignoramento". Perchè? Non certo perché non vuole rettificare, anche ammesso che fosse giusto farlo, ma per motivi di ordine pratico.
Un blogger non ha una redazione nè un ufficio con una segretaria. Questo significa che una raccomandata può essere ricevuta dal portinaio, dalla mamma, dal gatto, o giacere per due settimane nella casella della posta. Anche qualora la comunicazione pervenisse all'incauto avventore dell'Art.21, non è detto che questi sia nelle condizioni di poter rettificare entro 48 ore.
Facciamo il mio caso, che sono già uno iper-connesso. Non sempre sono a casa, davanti al computer. Capita che per lunghi periodi io girovaghi per lo stivale a caccia di immagini, notizie, contraddizioni. E vi garantisco che trovare una connessione ragionevole, nel paese della banda stretta e degli 800 milioni rubati, se non siete in una ricca e florida metropoli può diventare un'impresa ai limiti dell'impossibile. Spesso leggi la posta elettronica dal cellulare, in piedi con una gamba sola su uno sgabello per aumentare la ricezione, e il blog non è fatto per essere aggiornato agevolmente da un dispositivo mobile. Non il mio. Quest'estate, ad esempio, ho passato una settimana in Puglia, per parlare di rete e informazione libera, in un paesino dove non arrivava neppure il telefono, altro che banda larga, e ho soggiornato in un fantastico, meraviglioso trullo dove il cellulare era utile come fermacarte. Una situazione idilliaca per quanto riguarda l'attenuazione dello stress, ma di certo non ideale per chi deve rettificare entro 48 ore.
In più c'è anche il caso - non il mio - che un blogger incauto decida di prendersi una piccola vacanzina al mare, in montagna o in qualche spiaggia caraibica.

Se passa il DDL Intercettazioni senza che nessuno ripresenti gli emendamenti che fanno fuori l'equiparazione alla legge sulla stampa, per chiudere un blog come questo basterà attendere il momento più opportuno, magari studiando gli spostamenti dell'autore, e poi inviare una raffica di richieste di rettifica quando lui presumibilmente non è in grado di ottemperare entro le 48 ore richieste. A 13mila euro a botta, senza le spalle grosse di un ufficio legale competente e ben dimensionato, si spezzano le gambe a qualsiasi privato cittadino e alle sue smanie da libertà di parola.

Alzi la mano chi, fra una settimana, avrà ancora voglia di continuare a rischiare.

p.s. manco a dirlo, questo accade solo nell'Italia antistorica a cavallo tra il XX e il XXI secolo, in totale controtendenza con l'espansione dei diritti digitali che sta fiorendo in tutta Europa, con il novero della banda larga tra i diritti fondamentali di cittadinanza.

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