30/01/09

La Repubblica delle Banane

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Ezio “direttore de La Repubblica (delle banane)” Mauro

Due pagine di intervista alla figlia di Totò Riina. E neppure una riga - zero assoluto - per la manifestazione organizzata a Roma dall’Associazione dei familiari delle vittime della mafia. Certo: ognuno dà peso alle notizie che gli pare. Ma leggere la solita lenzuolata di pagine del numero di “Repubblica” in edicola ieri - in totale, per la cronaca, erano 52 - lasciava un po’ basiti. Tra i titoli di prima pagina, infatti, spiccava una lunga intervista a Maria Concetta Riina, figlia 34enne del celebre Totò detto “U curtu”. Che - sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari e diretto da Ezio Mauro - raccontava vita, speranze e rimpianti dei suoi ultimi quindici anni. Anni trascorsi a Corleone in mezzo, parole sue, a tante “difficoltà”. E lontano dal padre che, sempre parole sue, il 15 gennaio 1993, le venne “portato via”.

Va da sè che Totò Riina - il 15 gennaio 1993 - non venne “portato via”. Ma più precisamente arrestato. Dopo ben 23 anni di latitanza. E con una sfilza di condanne e accuse sul groppone. Il primo ergastolo, Riina senior lo incassò a 44 anni. L’ultimo, invece, risale giusto a una manciata di mesi fa: a settembre del 2008, infatti, l’ormai 78enne ex “capo dei capi” è stato nuovamente condannato a vita, per una strage consumata in un casolare a Marano, nel lontano 1984. Delle vittime (sei) non è rimasto che un vago ricordo: vennero sciolte nell’acido. Ma si sa: i figli so’ piezz’e core. E i padri anche. E Maria Concetta Riina ha voluto dedicare al padre un ritratto a tinte pastello: “Sembrerà strano… mio padre viene presentato come un sanguinario (…). Ma a me come figlia, tutto questo non risulta. So io quello che mi ha trasmesso. Educazione. Moralità. Rispetto”. Insomma: valori veri. E un forte senso della famiglia. Che ha spinto Maria Concetta a chiedere un lavoro per sè e per il marito. E a spendere appelli e parole buone anche per il fratello, Giovanni. Che secondo la sorella sarebbe vittima di un “certo accanimento” (da parte della Giustizia, s’intende). Pure lui, infatti, è stato condannato all’ergastolo. Per quattro omicidi.

Parole dettate dall’affetto e quindi comprensibilissime, per carità. Ma che forse non sono tanto facili da digerire per figlie, figli, sorelle, fratelli, vedove e vedovi di chi da quella stessa mafia guidata da Riina è stato ammazzato. Non le ha accettate, per esempio, Sonia Alfano, presidente dell’Associazione nazionale familiari vittime della mafia. Che proprio ieri - assieme ad Antonio Di Pietro, Beppe Grillo e i giornalisti Marco Travaglio e Carlo Vulpio - aveva organizzato una manifestazione in piazza Farnese a Roma per protestare contro la sospensione del procuratore di Salerno, Luigi Apicella. Manifestazione che “La Repubblica” (sempre nel numero in edicola ieri) non ha pubblicizzato con una singola riga.

Apicella - prima di essere stoppato - aveva riaperto il “caso De Magistris”. Un “caso” che ha provocato - stranamente - un’epidemia di trasferimenti di magistrati (a partire dallo stesso De Magistris). E che - sempre stranamente - non ha portato fortuna, mediaticamente parlando, neanche a Sonia Alfano, Grillo&co. Cosa che la presidente dell’associazione - figlia di Beppe Alfano, giornalista scomodo ucciso dalla mafia per le sue inchieste - non ha mancato di sottolineare. Dicendo chiaro e tondo, nel suo intervento in piazza Farnese, che due pagine per Maria Concetta Riina e zero righe per l’iniziativa dei parenti delle vittime della mafia le sembravano una vergogna. Che sentir parlare di valori trasmessi da Riina ai figli le faceva venire l’orticaria. E che leggere su uno dei primi quotidiani d’Italia che Maria Concetta si lamentava del fatto di non poter riabbracciare il padre (perchè in regime di carcere duro) la riempiva di sdegno. Perchè lei, Sonia Alfano, il padre morto non avrebbe potuto riabbracciarlo più. Mai più.

Parole, quelle pronunciate dalla figlia di Beppe Alfano, altrettanto compensibili. E che però - a differenza di quelle di Maria Concetta Riina - non hanno trovato (sempre assai stranamente) spazio alcuno su Repubblica. Per lo meno sulla edizione on line di ieri. Che ben si è guardata dal porre l’accento sulla sospensione del procuratore Apicella; sul “caso De Magistris”; o sulla protesta dei familiari delle vittime della mafia. E ha preferito sintetizzare l’intera manifestazione sotto forma di un unico concetto: Antonio Di Pietro ha criticato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano per i suoi silenzi su alcuni temi come la giustizia e il Lodo Alfano. Aggiungendo che “le critiche hanno provocato subito la reazione del mondo politico (a partire dal lider del Pd, Walter Veltroni)”. E che sempre queste benedette critiche erano “fuori luogo” (copyright Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica).

Una sintesi - sia detto da chi ha assistito a buona parte della diretta della manifestazione (trasmessa in rete dai siti di Grillo e Di Pietro) - un po’, per così dire, acrobatica, visto che gli strali di Di Pietro su Napolitano saranno durati 30 secondi e che poi si è discusso per 4 ore di tutt’altro (cioè di giustizia e mafia e eccetera). Ma che ha il pregio di offrire uno spunto di riflessione. Tempo fa, infatti, proprio l’intoccabile (secondo Repubblica) Napolitano aveva invitato i media a smettere di dare voce agli ex terroristi, per rispetto nei confronti dei famigliari delle vittime. Un appello che forse il presidente della Repubblica - anche per smentire Di Pietro che lo accusa di far sentire troppo poco la sua voce - farebbe bene a ripetere, estendondolo anche a mafiosi e parenti di mafiosi. E che il quotidiano diretto da Ezio Mauro farebbe bene ad ascoltare. Perchè ieri - tra silenzi, strane interviste e distorsioni di realtà - più che “La Repubblica” sembrava un improbabile house organ di un’altrettanto improbabile Repubblica. Quella delle banane.

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