Tutti sanno che il nostro solito presidente del consiglio - al secolo, Berlusconi Silvio; per la cronaca 4 volte premier in 15 anni - ora promette più case per tutti. Mentre l’ennesimo leader del centro sinistra di turno - all’anagrafe, Franceshini Dario - giura che farà di tutto per sbarrargli la strada, al grido di “dagli al cementificatore”. Giornali e tivù nei giorni scorsi ci hanno riempito pagine e video. Ma forse non tutti sanno che mercoledì scorso, a Roma: Alessandro Profumo - amministratore delegato di Unicredit, prima banca del nostro (ex) Belpaese - ha finalmente dato i numeri. Spiegando urbi et orbi che la sua banca ha prestato negli sgangherati stati dell’ex cortina di ferro danari per “solo” 75 miliardi di euro.
Purtroppo: quotidiani titolati come “Stampa” e “Corriere” hanno inguattato la buona novella in minuscoli coriandoli della sezione economia (cioè da pagina 20 in avanti, per chi ci arriva). Buona novella? Sì, perchè Profumo ha sparso ottimismo a piene mani. Parole sue: la situazione nei paesi del Centro ed Est Europa - per le banche targate Unicredit - “è migliore di come viene descritta”. Impossibile dubitarne. Così come è impossibile dubitare , passando dalle parole ai freddi numeri, che le azioni Unicredit abbiano comunque perso qualcosa come il 58% nel solo 2009. E che la situazione a Est sia quello che sia. Per usare un eufemismo: un po’ complicata. Per esser più chiari: un tantino a rischio crac. Ieri: il premier della Lettonia, Valdis Dombrovskis ha detto chiaro e tondo che, se qualcosa dovesse andare storto, il suo paese a giugno fallirà. L’Ucraina, nel suo piccolo, non si sente troppo bene. E l’Ungheria, per non ha sbagliarsi, ha già provato a bussare alle porte dell’Unione europea. Voleva la modica cifra di 180 miliardi di euro, per dividerla con i colleghi premier dell’ex cortina di ferro. Ma si è sentito rispondere di andare a fare un giro. Forse si sfogherà sul circuito di Budapest. Sempre che gli rimangano i soldi per la benzina.
Ma tutti sanno che una soluzione gli italiani la trovano sempre. E tutti sanno che il segretario del Piddì ha già tirato fuori la sua: per cominciare più soldi - o meglio più sussidi di disoccupazione - per tutti i precari. Sfortunatemente: Berlusconi gli ha già risposto picche; al grido “così si incentiverebbero i licenziamenti”. Forse però non tutti sanno che mentre destra, centro e sinistra lavorano indefessi per il sol del nostrano avvenire, i problemi altrove si moltiplicano. Per esempio: giovedì scorso, a Londra, la prima assicurazione del Regno Unito, Aviva, ha annunciato perdite (nel solo 2008) per qualcosa come 11,2 miliardi di sterline. Provocando un mezzo terremoto in Borsa.
Le azioni di Aviva in un solo giorno sono letteralmente crollate (-33%). Quelle delle altre assicurazioni, anche del Belpaese, le hanno seguite a ruota. Ma il tonfo del colosso assicurativo britannico non ha suscitato grande clamore su Cnn e Times de noantri. Sul Times - quello vero - invece sì. Le assicurazioni, secondo il settimanale inglese, potrebbero essere le “nuove banche”. Cioè il nuovo epicentro della crisi finanziaria. Perchè i loro bilanci sono stracarichi di azioni e di bond di altre aziende che ogni giorno perdono valore (ammesso e non concesso che continuino a valere qualcosa; visto che ogni giorno porta la sua pena e una nuovo insospettabile che si aggiunge alla lista delle società a rischio fallimento, stile General motors). Morale: nell’immediato, secondo il blasonatissimo blog del Financial Times, chi ha in mano titoli di assicurazioni, farebbe bene a disfarsene. Per il futuro un po’ meno prossimo: chissà. Meglio incrociare le dita. E sperare per il meglio.
E tra chi spera per il meglio, per certo, c’è appunto il nostro premier. Tutti sanno - perchè tutti i giornali e tutti i tiggì hanno strombazzato la notizia a dovere - che il Cavaliere sull’onda di un ottimismo irrefrenabile ha promesso, nei prossimi anni, di realizzare per giunta il “ponte dei ponti”, quello sullo stretto di Messina. Un’opera faraonica, dal costo faraonico (6,1 miliardi di euro). Ma che a differenza delle piramidi rischia di finire congelata. Perchè, forse non tutti lo sanno, ma venerdì scorso le Borse hanno stracciato un nuovo record: in quasi 18 mesi di picchiata, gli indici di Wall Street sono arrivati a perdere il -56,4%. Per capirci: peggio che nella storica crisi del 1929. Che in tre anni portò la Borsa di New York fino a un siderale -82,9%. Ma nel primo anno e mezzo fece meno danni.
Risultato finale: i mercati odierni “battono” quelli della Grande depressione. Uno a zero, per noi. Un paio di bolle nuove di zecca - Est europa e assicurazioni - pronte ad esplodere. E tante “palle” messe al centro dell’opinione pubblica del Belpaese. Perchè non c’è che dire: a giugno si tornerà a votare (questa volta per le europee). E destra¢ro&sinistra hanno ricominciato a litigare, promettere e lanciare proposte. Solo farebbero bene - visti i tempi - a spiegare dove pensano di prendere i soldi. Visto che l’Italia ha il terzo debito pubblico del mondo. E - per lo meno a giudicare dal costo per assicurare i nostri titoli di stato a cinque anni contro il fallimento - pure discrete possibilità di fare default (siamo al quarto posto in zona euro, dopo Grecia, Irlanda e l’ex Austria felix che ora rischia di essere travolta dal crac dell’Est europa).
Per il presidente USA, Barack Obama questa crisi rischia di trasformarsi in una “catastrofe”. Per gli esperti interpellati ieri dall’agenzia di stampa americana Bloomberg: potremmo essere di fronte all’inizio di una nuova grande (o piccola) depressione. Per politici e media italioti è solo un’altra campagna elettorale. Questione di punti di vista. E di una buona dose di miopia.
Aggiornamento: Vedere per credere fin dove sono arrivati i listini americani, ieri:
(via Calculatedrisk)
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