I cambiamenti nel campo dei media e dell’informazione fluttuano di giorno in giorno. L’onda dello spostamento del mercato pubblicitario su Internet miete le prime vittime dell’editoria tradizionale televisiva. Prima che scompaiano le emittenti con i loro storici marchi, scompaiono i programmi, rimpiazzati con vecchi film meno costosi se non addirittura gratuiti.
L’ultima defunta in ordine di tempo è la sindacation Supersix, che dopo oltre 20 anni di onorata attività ha chiuso i battenti. E’ stata assorbita da “Facile tv” che fornisce gratuitamente le televisioni locali di programmi preconfezionati e sponsorizzati pronti per l’emissione. Soluzione comoda per queste ultime che possono riempire i buchi dei loro palinsesti a costo zero, facendo figurare in bilancio più ore di trasmissioni auto prodotte che comportano qualche vantaggio in termini di ore da dedicare al commerciale.
Riconosco con un pizzico di rammarico in questo andazzo un palliativo che serve solo a prolungare l’agonia del sistema televisivo ormai in coma irreversibile.
Le televisioni locali sono spesso scatole vuote, costosi capricci di ricchi imprenditori che le usano come biglietto da visita per i loro affari. Oltre che godere di finanziamenti pubblici proporzionati al peso delle amicizie e delle simpatie politiche, le tv locali servono spesso per nascondere nei loro bilanci i buchi creati in altre attività.
Silvio Berlusconi è un maestro in questa materia, i fondi neri Mediaset resi impuniti col dolo Alfano ne sono un esempio. Ma operazioni losche vengono fatte anche da altri. Io personalmente ne potrei raccontare e non è detto che prima o poi lo faccia.
Ciò che m’importa sottolineare è che il declino del sistema televisivo è inarrestabile come una valanga che prende corpo e velocità: La7 ha sforbiciato conduttori e programmi. Spariti i Chiambretti e i Ferrara che lasciano il posto alle Lilly Gruber, l’emittente Telecom darà spazio a volti nuovi a costo quasi zero.
Ci sono comuni che rinunciano a regalare alla famiglia Berlusconi 70 mila euro a puntata per ospitare il carrozzone di “Veline” sul proprio territorio. Mentre Lucca ha declinato l’invito del Biscione, ci sono realtà come Reggio Calabria che di serate per quel programma monnezza hanno fatto incetta, pagando gli onorari alla famiglia del presidente del consiglio tramite l’utilizzo di fondi pubblici (nostri). Peccato che il comune di Reggio quei soldi non li abbia investiti per istituire corsi gratuiti di utilizzo internet, riservati ai cittadini di mezza età tradizionalmente “televisionari” e non si sia prodigato per migliorare l’accessibilità alla Rete con l’installazione di antennine wireless, come ha fatto Milano nel parco Sempione. Avrebbe dato opportunità di crescita a giovani informatici e reso utile servizio ai propri cittadini. Niente. Reggio è uno dei tanti comuni che preferiscono apparire su Mediaset per alimentare il cieco divismo televisivo, di cui il Sud in particolare ancora oggi si nutre. Alla faccia di quelle povere - spesso brutte - illuse che in cambio di visibilità sfilano gratis su quel palco facendo la pappa ad Antonio Ricci e ad Ezio Greggio.
Ma sta cambiando rapidamente tutto. Televisioni locali e nazionali sono sulla stessa barca che fa acqua trascinata dalla stessa corrente. Si taglia tutto, persino le spese per il rilevamento dell’Auditel che fornisce dati mensili di ascolto falsi e fittizi in libroni pesanti come macigni.
Anche il festival di Sanremo per la prima volta dopo oltre 50 anni potrebbe essere tagliato. Costa troppo e perde ascolti perché mentre gli anziani muoiono, i giovani guardano Mtv connessi ad Internet. Certo, ci vorrebbe un capitolo a parte per capire che utilizzo fanno della Rete i giovani, ma ciò che conta è che la televisione sta morendo. Checché ne dicano le grandi firme e i grandi volti storici della Rai disposti ad accettare qualunque compromesso pur di “vivere tranquilli”.
Come Corradino Mineo che finge di non sapere che un giornalista tranquillo è un giornalista morto che non fa il giornalista. Fa l’addetto stampa che è un altro mestiere tra i più gettonati da uno squadrone di colleghi che stanno al gioco. Pure quelli che per non starci accettano di fare i relegati a vita con lo stipendio e che io catalogo nell’elenco delle “vittime tranquille”. Peccato che la dignità suggerisca anche di rimboccarsi le maniche altrove, magari in proprio invece che ammettere candidamente di essere addetti stampa in quota di partito. Un obbrobrio senza eguali in tutte le democrazie del mondo che in Italia non fa notizia.
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