Dopo la Tarsu è arrivata la Tia, mai veramente applicata. Ora è il turno di una nuova tariffa, prevista dal Codice dell'ambiente. Dovrebbe perseguire almeno due obiettivi: coprire i costi complessivi del servizio e incentivare la raccolta differenziata. Il passaggio a una forma di tassazione commisurata alla quantità di rifiuti prodotta o al reale costo sociale dello smaltimento è un primo passo per una soluzione di lungo periodo del problema. Dopo aver definito il quadro generale, si può lasciare ai comuni un margine di manovra nella definizione della tariffa.
Le tasse e le tariffe fanno parte di quegli strumenti che, se opportunamente definiti e correttamente applicati, consentono di raggiungere obiettivi di politica ambientale minimizzando i costi sociali e soprattutto in un quadro di maggiore consenso. E una corretta politica di gestione dei rifiuti dovrebbe rispettare il criterio dell’efficacia rispetto al costo.
IL CANTO DEL CIGNO DELLA TIA
Il regime fiscale dei tributi per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ha subito negli anni una profonda evoluzione, almeno dal punto di vista normativo.
I passaggi fondamentali sono stati l’istituzione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), nel 1941, la sua soppressione e sostituzione, nel 1997, con la tariffa d’igiene ambientale, la cosiddetta Tia, e, infine nel 2006, con il Codice dell’ambiente, l’adozione di una seconda tariffa, che attende i regolamenti di attuazione per la sua determinazione.
Per introdurre reali incentivi all’efficienza, la tariffa dovrebbe essere applicata in modo da perseguire almeno due obiettivi: uno di finanza pubblica e uno ambientale. Il primo si raggiunge imponendo la copertura dei costi complessivi del servizio, così da non dover gravare sulla fiscalità generale. L’obiettivo ambientale, invece, si compone, come minimo, di tre sotto-obiettivi: incentivare la raccolta differenziata e il compostaggio dei rifiuti, ridurre il flusso complessivo dei rifiuti e incentivare il decoupling. (1)
Il presupposto della Tarsu era l’occupazione o anche solo la mera detenzione di locali e aree coperte, indipendentemente dalla loro destinazione. Tale forma di prelievo era caratterizzata, perciò, da un criterio puramente presuntivo di determinazione della base imponibile. La determinazione dell’importo dovuto era demandata ai comuni, che predisponevano il servizio di raccolta rifiuti.
Proprio per allineare la prestazione d’imposta a criteri di effettività e per razionalizzare le inefficienze finanziarie della Tarsu, il legislatore ha sostituito la tassa con una tariffa.
Istituita con il decreto legislativo 22/1997, la Tia prevedeva di inserire nel calcolo della tariffa anche una quota parte collegata alla quantità e alla qualità dei rifiuti prodotti. Si superava così il criterio presuntivo della base imponibile e si incentivava la riduzione dei rifiuti e il riciclo e recupero di parte di essi. Intento in parte vanificato dalla normativa di attuazione, il Dpr 158/99, che consentiva ai comuni che non fossero in grado di mettere in piedi un proprio sistema di calcolo, l’applicazione di una quantità media presunta, scollegando di fatto nuovamente la tariffa dalla quantità di rifiuti prodotta.
Per giunta, la sua applicazione è stata ripetutamente rinviata, tanto che la Finanziaria 2008 riproponendo quanto già previsto dalla Finanziaria 2007, impedisce ai comuni che non lo abbiano già fatto di passare dalla Tarsu alla Tia. La tariffa d’igiene ambientale sopravvive dunque solo per chi l’ha già adottata: l’11,5 per cento dei comuni nel 2006, con una copertura della popolazione totale nazionale del 24,4 per cento (tabella 1). Ed è destinata a scomparire del tutto, sostituita dalla nuova tariffa, quando saranno adottati i regolamenti attuativi della parte quarta del Codice dell’ambiente.
La tariffa per la gestione dei rifiuti prevista dal Codice dell’ambiente, ultima arrivata, si basa sull’impianto precedente: analogo il presupposto d’imposta, legato al possesso o detenzione di locali o aree che producono rifiuti, nonché il criterio di determinazione effettiva dell’ammontare dovuto che, sebbene non espressamente fissato dal Codice, dovrà però rispondere all'effettiva e concreta produzione di rifiuti. (2) Se correttamente applicata attraverso i decreti di attuazione, potrà permettere il conseguimento degli obiettivi di politica ambientale, minimizzando i costi sociali e soprattutto introducendo reali incentivi all’efficienza.
RIFIUTI E SOSTENIBILITÀ
Dal punto di vista economico, la riduzione della produzione pro capite dei rifiuti e il decoupling, due dei tre obiettivi di politica ambientale, possono essere analizzati utilizzando i dati sui rifiuti prodotti pubblicati dall’Apat-Onr.
Nel periodo 2002-2006, evidenziano una crescita di 15 kg per abitante per anno nelle regioni del Nord, di 37 kg per abitante per anno nel Centro e di 40 kg per abitante per anno nel Sud. L’incremento a livello nazionale è stato pari a circa 29 kg per abitante per anno. La produzione di rifiuti è costantemente aumentata tra il 1996 e il 2006, facendo registrare un incremento del 25 per cento.
La relazione tra Pil e rifiuti pro capite, invece, è stata analizzata statisticamente attraverso la metodologia delle curve ambientali di Kuznets utilizzando i dati provinciali Apat-Onr del 2003 e del 2005. Mentre per alcune province la relazione tra crescita economica e inquinamento (rappresentato in questo caso dalla quantità di rifiuti prodotta) è positiva e significativa, per altre è negativa oppure a U rovesciata, con l'inquinamento che dapprima aumenta al crescere del reddito, per poi, oltre un certo punto, ridiscendere. (3) In particolare, le regioni del Nord - Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna e Veneto - riducono le quantità di rifiuti al crescere del reddito pro capite. Nel Centro (Toscana, Marche, Lazio e Umbria) la relazione è quella di una U rovesciata; nel Sud, invece, la relazione Pil-rifiuti non sembra essersi invertita (vedi grafico 1).
Da questo semplice approccio grafico è possibile evidenziare la forte correlazione tra crescita economica e sostenibilità ambientale e quindi l’importanza non solo della raccolta differenziata e del riciclo, ma anche di misure e politiche che incoraggino sempre più una forma di tassazione dei rifiuti capace di indurre il singolo fruitore a comportamenti più virtuosi, orientati a ridurre la quantità di rifiuti prodotta.
La crescita economica della popolazione, la disponibilità di superficie e la densità abitativa esercitano una grande pressione sull’ambiente. I recenti fatti verificatisi a Napoli e in Campania lo dimostrano. Occorre dare il giusto prezzo e il giusto valore alle risorse ambientali, applicando il principio “chi inquina paga”. E il passaggio a una forma di tassazione commisurata alla quantità di rifiuti prodotta o al reale costo sociale dello smaltimento costituisce senz'altro un primo traguardo per una soluzione di lungo periodo al problema dei rifiuti.
La situazione italiana evidenzia una grande diversità nei metodi di calcolo della tariffa. Non va combattuta, può anzi essere considerata una risorsa, perché non tutti i comuni hanno le stesse problematiche. Ma solo dopo aver definito il quadro generale e gli obiettivi da perseguire, si può lasciare all'ente locale un margine di manovra nella definizione della tariffa.
(1) Il compostaggio è il processo mediante il quale i rifiuti organici e biodegradabili vengono decomposti e trasformati, attraverso microrganismi, in una sostanza, il compost che ha le stesse caratteristiche dell'humus e può essere utilizzato come fertilizzante. Il “decoupling” è lo sganciamento tra tasso di crescita economica e tasso di prelievo/utilizzo/pressione sull’ambiente naturale.
(2) Per approfondimenti vedi Altili P, Orecchia C. e Zoppoli P. (2007), “Strumenti fiscali per l’ambiente nel settore dei rifiuti”, in Isae, Ires, Irpet, Srm e IReR (a cura di), La Finanza locale in Italia, FrancoAngeli.
(3) Per approfondimenti vedi Orecchia C., Zoppoli P. (2007): “Consumerism and Environment: does consumption behaviour affect environmental quality?”, Working Paper CEIS (Centre for Economic and International Studies) n. 261.
Tabella 1 – Numero di comuni italiani passati a Tia per regione, nel 2000 e nel 2006
IL CANTO DEL CIGNO DELLA TIA
Il regime fiscale dei tributi per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ha subito negli anni una profonda evoluzione, almeno dal punto di vista normativo.
I passaggi fondamentali sono stati l’istituzione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), nel 1941, la sua soppressione e sostituzione, nel 1997, con la tariffa d’igiene ambientale, la cosiddetta Tia, e, infine nel 2006, con il Codice dell’ambiente, l’adozione di una seconda tariffa, che attende i regolamenti di attuazione per la sua determinazione.
Per introdurre reali incentivi all’efficienza, la tariffa dovrebbe essere applicata in modo da perseguire almeno due obiettivi: uno di finanza pubblica e uno ambientale. Il primo si raggiunge imponendo la copertura dei costi complessivi del servizio, così da non dover gravare sulla fiscalità generale. L’obiettivo ambientale, invece, si compone, come minimo, di tre sotto-obiettivi: incentivare la raccolta differenziata e il compostaggio dei rifiuti, ridurre il flusso complessivo dei rifiuti e incentivare il decoupling. (1)
Il presupposto della Tarsu era l’occupazione o anche solo la mera detenzione di locali e aree coperte, indipendentemente dalla loro destinazione. Tale forma di prelievo era caratterizzata, perciò, da un criterio puramente presuntivo di determinazione della base imponibile. La determinazione dell’importo dovuto era demandata ai comuni, che predisponevano il servizio di raccolta rifiuti.
Proprio per allineare la prestazione d’imposta a criteri di effettività e per razionalizzare le inefficienze finanziarie della Tarsu, il legislatore ha sostituito la tassa con una tariffa.
Istituita con il decreto legislativo 22/1997, la Tia prevedeva di inserire nel calcolo della tariffa anche una quota parte collegata alla quantità e alla qualità dei rifiuti prodotti. Si superava così il criterio presuntivo della base imponibile e si incentivava la riduzione dei rifiuti e il riciclo e recupero di parte di essi. Intento in parte vanificato dalla normativa di attuazione, il Dpr 158/99, che consentiva ai comuni che non fossero in grado di mettere in piedi un proprio sistema di calcolo, l’applicazione di una quantità media presunta, scollegando di fatto nuovamente la tariffa dalla quantità di rifiuti prodotta.
Per giunta, la sua applicazione è stata ripetutamente rinviata, tanto che la Finanziaria 2008 riproponendo quanto già previsto dalla Finanziaria 2007, impedisce ai comuni che non lo abbiano già fatto di passare dalla Tarsu alla Tia. La tariffa d’igiene ambientale sopravvive dunque solo per chi l’ha già adottata: l’11,5 per cento dei comuni nel 2006, con una copertura della popolazione totale nazionale del 24,4 per cento (tabella 1). Ed è destinata a scomparire del tutto, sostituita dalla nuova tariffa, quando saranno adottati i regolamenti attuativi della parte quarta del Codice dell’ambiente.
La tariffa per la gestione dei rifiuti prevista dal Codice dell’ambiente, ultima arrivata, si basa sull’impianto precedente: analogo il presupposto d’imposta, legato al possesso o detenzione di locali o aree che producono rifiuti, nonché il criterio di determinazione effettiva dell’ammontare dovuto che, sebbene non espressamente fissato dal Codice, dovrà però rispondere all'effettiva e concreta produzione di rifiuti. (2) Se correttamente applicata attraverso i decreti di attuazione, potrà permettere il conseguimento degli obiettivi di politica ambientale, minimizzando i costi sociali e soprattutto introducendo reali incentivi all’efficienza.
RIFIUTI E SOSTENIBILITÀ
Dal punto di vista economico, la riduzione della produzione pro capite dei rifiuti e il decoupling, due dei tre obiettivi di politica ambientale, possono essere analizzati utilizzando i dati sui rifiuti prodotti pubblicati dall’Apat-Onr.
Nel periodo 2002-2006, evidenziano una crescita di 15 kg per abitante per anno nelle regioni del Nord, di 37 kg per abitante per anno nel Centro e di 40 kg per abitante per anno nel Sud. L’incremento a livello nazionale è stato pari a circa 29 kg per abitante per anno. La produzione di rifiuti è costantemente aumentata tra il 1996 e il 2006, facendo registrare un incremento del 25 per cento.
La relazione tra Pil e rifiuti pro capite, invece, è stata analizzata statisticamente attraverso la metodologia delle curve ambientali di Kuznets utilizzando i dati provinciali Apat-Onr del 2003 e del 2005. Mentre per alcune province la relazione tra crescita economica e inquinamento (rappresentato in questo caso dalla quantità di rifiuti prodotta) è positiva e significativa, per altre è negativa oppure a U rovesciata, con l'inquinamento che dapprima aumenta al crescere del reddito, per poi, oltre un certo punto, ridiscendere. (3) In particolare, le regioni del Nord - Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna e Veneto - riducono le quantità di rifiuti al crescere del reddito pro capite. Nel Centro (Toscana, Marche, Lazio e Umbria) la relazione è quella di una U rovesciata; nel Sud, invece, la relazione Pil-rifiuti non sembra essersi invertita (vedi grafico 1).
Da questo semplice approccio grafico è possibile evidenziare la forte correlazione tra crescita economica e sostenibilità ambientale e quindi l’importanza non solo della raccolta differenziata e del riciclo, ma anche di misure e politiche che incoraggino sempre più una forma di tassazione dei rifiuti capace di indurre il singolo fruitore a comportamenti più virtuosi, orientati a ridurre la quantità di rifiuti prodotta.
La crescita economica della popolazione, la disponibilità di superficie e la densità abitativa esercitano una grande pressione sull’ambiente. I recenti fatti verificatisi a Napoli e in Campania lo dimostrano. Occorre dare il giusto prezzo e il giusto valore alle risorse ambientali, applicando il principio “chi inquina paga”. E il passaggio a una forma di tassazione commisurata alla quantità di rifiuti prodotta o al reale costo sociale dello smaltimento costituisce senz'altro un primo traguardo per una soluzione di lungo periodo al problema dei rifiuti.
La situazione italiana evidenzia una grande diversità nei metodi di calcolo della tariffa. Non va combattuta, può anzi essere considerata una risorsa, perché non tutti i comuni hanno le stesse problematiche. Ma solo dopo aver definito il quadro generale e gli obiettivi da perseguire, si può lasciare all'ente locale un margine di manovra nella definizione della tariffa.
(1) Il compostaggio è il processo mediante il quale i rifiuti organici e biodegradabili vengono decomposti e trasformati, attraverso microrganismi, in una sostanza, il compost che ha le stesse caratteristiche dell'humus e può essere utilizzato come fertilizzante. Il “decoupling” è lo sganciamento tra tasso di crescita economica e tasso di prelievo/utilizzo/pressione sull’ambiente naturale.
(2) Per approfondimenti vedi Altili P, Orecchia C. e Zoppoli P. (2007), “Strumenti fiscali per l’ambiente nel settore dei rifiuti”, in Isae, Ires, Irpet, Srm e IReR (a cura di), La Finanza locale in Italia, FrancoAngeli.
(3) Per approfondimenti vedi Orecchia C., Zoppoli P. (2007): “Consumerism and Environment: does consumption behaviour affect environmental quality?”, Working Paper CEIS (Centre for Economic and International Studies) n. 261.
Tabella 1 – Numero di comuni italiani passati a Tia per regione, nel 2000 e nel 2006
Fonte: Apat (2006)
Grafico 1 - Rifiuti smaltiti (tonnellate) e Pil (migliaia di euro) pro-capite - tendenza e intervallo di confidenza
Grafico 1 - Rifiuti smaltiti (tonnellate) e Pil (migliaia di euro) pro-capite - tendenza e intervallo di confidenza
Fonte: nostra elaborazione su dati Apat e Istat
Fonte articolo
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