Parte 1
Magari ci avrò capito poco. O magari la colpa è dei giornali, compreso quello su cui scrivo ora. Ma sta di fatto che quest’estate le notizie sparate in prima pagina mi sembrano per lo più altrettante bufale, storielle buone per i grulli. O meglio, non tanto le notizie: gli annunci di notizie, le trovate reboanti che la politica strombazza ai quattro venti.
Metti le misure contro il bullismo a scuola. Era ora, verrebbe da esclamare. E dunque bentornato al 7 in condotta, che il ministro Gelmini rispolvera dagli archivi del proprio dicastero. Bisogna misurare la disciplina, non solo le interrogazioni in classe. Ma perché, fin qui non succedeva? Nella scuola italiana era forse lecito prendere a pernacchie i professori? No di certo: la condotta già concorre alla valutazione complessiva degli alunni. Tanto che l’anno scorso fece rumore una decisione del Tar che restituì la promozione a un ragazzino dell’istituto Franceschi-Quasimodo di Milano, bocciato perché disturbava le lezioni. Dice: ma il nuovo provvedimento del ministro traduce la condotta in voto, al pari del voto d’italiano. Falso anche questo, almeno per le medie. C’era un «giudizio» sulla condotta, continuerà ad esserci un giudizio.
Però alla riforma Gelmini va attribuito quantomeno il merito d’imporre lo studio dell’educazione civica. Questa sì, è una grande innovazione. Sarà per il mestiere con cui mi guadagno lo stipendio, ma ho sempre un lutto al braccio quando vedo quanta ignoranza circola sulla Costituzione. Solo che nei programmi scolastici l’educazione civica c’è già, e c’è dal 1958. Non a caso digitando «manuale di educazione civica» su Google s’aprono 113 mila siti. Non a caso fra tali manuali s’incontrano quelli scritti da colleghi insigni come Sabino Cassese e Gustavo Zagrebelsky. Poi magari ben pochi professori ne chiedono conto agli studenti, ma questo è un altro paio di maniche.
Tuttavia la Gelmini è in buona compagnia. Qualche settimana fa il ministro Maroni propose di concedere la cittadinanza italiana ai bimbi rom abbandonati dai genitori. C’era stata una polemica furiosa sulla schedatura dei minori nei campi nomadi, e tutti lì a dire quant’è bravo Maroni, lo vedete che non è affatto un orco. Nessuno che gli abbia ricordato come il diritto in questione sia già vigente nel nostro ordinamento dal 1912, con una legge firmata da Vittorio Emanuele III. Dopo di che la legge attuale, che a sua volta risale al 1992, conferma integralmente quel diritto: è cittadino per nascita il figlio di genitori ignoti, e se papà e mamma ti lasciano per strada evidentemente sono ignoti. D’altronde che mai dovremmo fare di questi bambini, attribuirgli la cittadinanza del Burundi?
Infine c’è Brunetta, il ministro che caccia i fannulloni. Visita fiscale al primo giorno di malattia, ha tuonato come Giove. Peccato che essa fosse già prevista dal contratto dei ministeriali, anno 1995. Per essere precisi, quel contratto stabilisce che la visita possa essere disposta al primo giorno d’assenza, ma in seguito varie circolari hanno trasformato il «può» in «deve». Ah, la forza della circolare! Anche Brunetta ne ha appena emanata una (la n. 7), dopo aver dettato l’obbligo di produrre solo certificati rilasciati da una struttura sanitaria pubblica; anche perché altrimenti sui pronto soccorso si sarebbe riversata una folla scalpitante. Sicché la circolare di Brunetta dice che va bene anche il certificato del medico di base. Tutto più o meno come prima, ma intanto l’annuncio ha fatto il giro del pianeta.
Insomma delle due l’una. O i ministri non conoscono le leggi che cercano invano d’emendare, col risultato d’aggiungere diritto alle botti di diritto da cui ci abbeveriamo tutto il santo giorno. O le conoscono, e ne conoscono altresì la scarsa applicazione. Perché in Italia, dopotutto, la vera rivoluzione sarebbe il rispetto delle leggi. Tuttavia per questo servono le competenze giuste, non basta improvvisare. Io però un consiglio ce l’avrei. Abbiamo un ministro per l’Attuazione del programma; affianchiamogli un ministro per la Conoscenza delle leggi, nonché un terzo ministro per la loro Applicazione. Ma per quest’ultimo incarico dovremmo riesumare Che Guevara.
(Di MICHELE AINIS , da “La Stampa .it” )
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Parte 2
L’esercito e la percezione!
Ministro La Russa(Pdl):
“Non ha la pretesa di essere una soluzione risolutiva ma è un passo che va nella giusta direzione, dando ai cittadini una percezione di maggiore sicurezza".
Diliberto (CI):
L'esercito in strada? Una fiction, per stessa ammissione del governo. Il ministro La Russa dice, testuale, 'che l'esercito in strada serve a far aumentare la percezione di sicurezza ai cittadini. Ecco, non serve ad aumentare la sicurezza, ma la percezione della sicurezza. La Russa non vuole che i cittadini siano più sicuri, ma che percepiscano di esserlo.
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