Soldi pubblici per Fannie e Freddie e ricerca di un cavaliere bianco per Bear Stearns, mentre Lehman Brothers viene abbandonata al fallimento. Due pesi e due misure e un segnale contraddittorio nella ricerca di un equilibrio tra i bisogni di stabilità del sistema finanziario e i limiti all'intervento pubblico. Ma il perimetro del rischio si è drammaticamente allargato e bisogna mettere in campo nuovi strumenti per far fronte agli shock di liquidità. Soprattutto, definire criteri oggettivi per individuare chi salvare e secondo quali modalità, per dare certezze al mercato.
Bisogna rassegnarsi: nonostante le polemiche sul fatto che alla fine a pagare sono i contribuenti, e che così facendo si corre il rischio di privatizzare i guadagni socializzando le perdite, Fannie e Freddie andavano salvate, e senza perdere troppo tempo.
SOLDI PUBBLICI PER FANNIE E FREDDIE
Le interconnessioni con i mercati sono tali che un’insolvenza avrebbe avuto conseguenze disastrose, e non solo perché le obbligazioni sono finite nei portafogli di grandi investitori istituzionali e di molti operatori internazionali che avrebbero immediatamente sfiduciato tutto il sistema finanziario statunitense. Fannie e Freddie hanno anche rapporti con moltissime banche regionali statunitensi impegnate nel settore dei mutui, e non ci si può permettere in un settore già duramente colpito dalla crisi dei subprime un effetto a catena dalle conseguenze imprevedibili, non solo sulle banche, ma anche sui mutuatari.
Il segretario al Tesoro Paulson ha fatto bene quindi a intervenire, e ha fatto bene a non aspettare troppo tempo: uno dei problemi della Northern Rock, l’altro grande salvataggio degli ultimi tempi nel Regno di sua Maestà, è stata proprio l’esitazione delle autorità, accusate dalla successiva indagine parlamentare di essersi letteralmente “addormentate”, generando le ormai note e traumatiche file dei depositanti davanti agli sportelli. Probabilmente, le autorità dovranno fare un serio esame di coscienza sulle evidenti carenze nei controlli, dovute anche a un sistema di vigilanza talmente frammentato da mostrare enormi buchi. Rimane però il dato oggettivo che, come sempre avvenuto nelle crisi finanziarie, quando il bubbone scoppia, è troppo forte il pericolo di contagio per affidarsi alle sole forze di mercato e l’interesse alla stabilità del sistema non richiede, ma impone l’intervento pubblico.
IL FALLIMENTO PER LEHMAN
Ma Fannie e Freddie rappresentano, nel panorama delle crisi, una novità. Finora il salvataggio pubblico era esclusivamente riservato alle banche per tutelare i risparmiatori e per evitare la trasmissione dell’insolvenza da un istituto all’altro. Per semplificare: se io vedo la fila dei depositanti davanti alla filiale mi spavento e per sicurezza mi metto anch’io in fila, inevitabilmente la tentazione di tenere i soldi sotto il materasso si diffonde come un virus e si trasmette a tutto il sistema. Solo che Fannie e Freddie non sono banche, ma intermediari che comprano mutui e si finanziano con l’emissione di obbligazioni: sono state salvate lo stesso perché il pericolo che dopo il primo crollassero tutti i mattoni del mercato, era reale.
Anche Lehman non è una banca commerciale, ma di investimento. Henry Paulson ha però deciso di non intervenire, lasciandola al suo triste destino, con un comportamento diverso da quello seguito per Bear Stearns, dove invece si era abbondantemente foraggiato l’arrivo di un cavaliere bianco pronto a comprarsi la preda in default senza perderci troppi soldi. La ragione è semplice: non si vuole lanciare il pessimo messaggio che qualsiasi cosa succeda il salvataggio pubblico è comunque assicurato e che fallire è impossibile, altrimenti più che del pericolo di “azzardo morale” si potrebbe cominciare a parlare di libero azzardo che uccide il libero mercato.
LA DIFFICILISSIMA SFIDA
Due pesi e due misure, quindi, e un segnale contraddittorio nella ricerca di un equilibrio tra i bisogni di stabilità del sistema finanziario e i limiti all’intervento pubblico. Come uscirne?
È fin troppo evidente la lezione delle vicende oltreoceano: il perimetro del rischio si è drammaticamente allargato e pensare a gestire le crisi con gli strumenti classici utilizzati per le banche, come l’assicurazione ai depositi e il prestatore di ultima istanza, è ormai pia illusione.
Bisogna inventarsi meccanismi attenti non più a singole categorie di intermediari che raccolgono risparmio tra il pubblico, ma a tutto il mercato e mettere in campo nuovi strumenti per far fronte agli shock di liquidità. E, soprattutto, definire criteri oggettivi per individuare chi salvare e secondo quali modalità, per dare certezze al mercato.
In un articolo di qualche giorno fa l’Economist parlava di Fannie e Freddie come di un “inquietante precedente”: una volta iniziato con i mutui perché non le carte di credito e il credito al consumo? E perché allora non General Motors o la Ford?
Appunto. Bisogna tirare una linea, tracciare nuovi confini: è questa la imprevista e difficilissima sfida che attende Autorità di vigilanza e banche centrali.
SOLDI PUBBLICI PER FANNIE E FREDDIE
Le interconnessioni con i mercati sono tali che un’insolvenza avrebbe avuto conseguenze disastrose, e non solo perché le obbligazioni sono finite nei portafogli di grandi investitori istituzionali e di molti operatori internazionali che avrebbero immediatamente sfiduciato tutto il sistema finanziario statunitense. Fannie e Freddie hanno anche rapporti con moltissime banche regionali statunitensi impegnate nel settore dei mutui, e non ci si può permettere in un settore già duramente colpito dalla crisi dei subprime un effetto a catena dalle conseguenze imprevedibili, non solo sulle banche, ma anche sui mutuatari.
Il segretario al Tesoro Paulson ha fatto bene quindi a intervenire, e ha fatto bene a non aspettare troppo tempo: uno dei problemi della Northern Rock, l’altro grande salvataggio degli ultimi tempi nel Regno di sua Maestà, è stata proprio l’esitazione delle autorità, accusate dalla successiva indagine parlamentare di essersi letteralmente “addormentate”, generando le ormai note e traumatiche file dei depositanti davanti agli sportelli. Probabilmente, le autorità dovranno fare un serio esame di coscienza sulle evidenti carenze nei controlli, dovute anche a un sistema di vigilanza talmente frammentato da mostrare enormi buchi. Rimane però il dato oggettivo che, come sempre avvenuto nelle crisi finanziarie, quando il bubbone scoppia, è troppo forte il pericolo di contagio per affidarsi alle sole forze di mercato e l’interesse alla stabilità del sistema non richiede, ma impone l’intervento pubblico.
IL FALLIMENTO PER LEHMAN
Ma Fannie e Freddie rappresentano, nel panorama delle crisi, una novità. Finora il salvataggio pubblico era esclusivamente riservato alle banche per tutelare i risparmiatori e per evitare la trasmissione dell’insolvenza da un istituto all’altro. Per semplificare: se io vedo la fila dei depositanti davanti alla filiale mi spavento e per sicurezza mi metto anch’io in fila, inevitabilmente la tentazione di tenere i soldi sotto il materasso si diffonde come un virus e si trasmette a tutto il sistema. Solo che Fannie e Freddie non sono banche, ma intermediari che comprano mutui e si finanziano con l’emissione di obbligazioni: sono state salvate lo stesso perché il pericolo che dopo il primo crollassero tutti i mattoni del mercato, era reale.
Anche Lehman non è una banca commerciale, ma di investimento. Henry Paulson ha però deciso di non intervenire, lasciandola al suo triste destino, con un comportamento diverso da quello seguito per Bear Stearns, dove invece si era abbondantemente foraggiato l’arrivo di un cavaliere bianco pronto a comprarsi la preda in default senza perderci troppi soldi. La ragione è semplice: non si vuole lanciare il pessimo messaggio che qualsiasi cosa succeda il salvataggio pubblico è comunque assicurato e che fallire è impossibile, altrimenti più che del pericolo di “azzardo morale” si potrebbe cominciare a parlare di libero azzardo che uccide il libero mercato.
LA DIFFICILISSIMA SFIDA
Due pesi e due misure, quindi, e un segnale contraddittorio nella ricerca di un equilibrio tra i bisogni di stabilità del sistema finanziario e i limiti all’intervento pubblico. Come uscirne?
È fin troppo evidente la lezione delle vicende oltreoceano: il perimetro del rischio si è drammaticamente allargato e pensare a gestire le crisi con gli strumenti classici utilizzati per le banche, come l’assicurazione ai depositi e il prestatore di ultima istanza, è ormai pia illusione.
Bisogna inventarsi meccanismi attenti non più a singole categorie di intermediari che raccolgono risparmio tra il pubblico, ma a tutto il mercato e mettere in campo nuovi strumenti per far fronte agli shock di liquidità. E, soprattutto, definire criteri oggettivi per individuare chi salvare e secondo quali modalità, per dare certezze al mercato.
In un articolo di qualche giorno fa l’Economist parlava di Fannie e Freddie come di un “inquietante precedente”: una volta iniziato con i mutui perché non le carte di credito e il credito al consumo? E perché allora non General Motors o la Ford?
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