La politica europea dei trasporti riflette per forza di cose questa situazione e si manifesta ricca di contraddizioni, scarsamente realistica e quasi unicamente finalizzata ad agevolare una sempre più spinta circolazione delle merci che consenta di sostenere la pratica della delocalizzazione. Si guarda ai territori sotto forma di “corridoi di transito” e alle popolazioni come potenziali viaggiatori ipercinetici, inseriti nel meccanismo di un pendolarismo sempre più esasperato. Si sostiene la necessità di salvaguardare l’ambiente e diminuire i livelli d’inquinamento, inseguendo al tempo stesso obiettivi di crescita economica ed incremento della movimentazione di merci e persone che inevitabilmente determineranno alti impatti sia in termini ambientali che d’inquinamento atmosferico. Si guarda agli scenari futuri senza fare alcuno sforzo per tentare d’interpretare il presente, ma semplicemente limitandosi ad immaginare i prossimi decenni come una replica fedele di quelli passati. Nonostante qualunque prospettiva realistica negli scenari di medio e lungo termine debba per forza di cose partire da presupposti di riduzione dei traffici di merci e persone, a causa del progressivo aumento dei costi delle risorse petrolifere e dell’insostenibile incidenza che i trasporti hanno (a livello globale circa il 40% sulla produzione di gas serra) in termini d’inquinamento ambientale, la politica trasportistica europea procede esattamente in senso inverso.
Nel “Libro Bianco” del 2001 i trasporti vengono considerati unicamente come una risorsa da preservare ed incrementare in quanto “rappresentano il 7% del PIL dell’Unione Europea e il 5% dei posti di lavoro”. La mobilità delle merci e delle persone viene illustrata “oltre che come un diritto dei cittadini, come una fonte di coesione e un elemento essenziale della competitività dell’industria e dei servizi europei”. Viene posto l’accento sull’impatto dei trasporti in materia d’inquinamento e produzione delle emissioni di gas a effetto serra, così come si evidenzia il fatto che il settore dei trasporti assorba il 71% di tutto il petrolio che viene annualmente consumato all’interno dell’UE, ma manca qualsiasi approccio costruttivo al problema. Nel testo si auspica semplicemente un miglioramento del rendimento energetico e l’introduzione sul mercato di nuove tecnologie, senza mettere assolutamente in dubbio l’opportunità di continuare a far crescere a dismisura la movimentazione schizofrenica di merci e persone. E’ indicativo a questo riguardo che si esprima preoccupazione per la prossima saturazione, nel 2020, di 60 grandi aeroporti, alla quale si ritiene necessario ovviare tramite la costruzione di nuove infrastrutture o l’ampliamento di quelle esistenti, la qual cosa contribuirà a creare nuovi incrementi dei traffici che in un futuro appena più lontano imporranno nuove costruzioni e nuovi ampliamenti, determinando un circolo perverso che propone un modello di sviluppo basato sulla crescita infinita, all’interno di un mondo le cui risorse, i cui spazi e la cui possibilità di assorbire emissioni velenose, sono al contrario estremamente limitate.
L’Europa, come sottolineato in una relazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), risulta uno dei continenti più urbanizzati del pianeta ed il 75% della sua popolazione vive in aree urbane. Più di un quarto del territorio europeo è ormai direttamente destinato ad usi urbani. Entro il 2020 circa l’80% degli europei vivrà in aree urbane e in 7 paesi questa proporzione salirà addirittura oltre il 90%. L’espansione incontrollata del tessuto urbano determina una domanda sempre crescente di suoli disponibili, destinati a venire cementificati e la creazione di nuove infrastrutture che rimodellano i paesaggi e modificano l’ambiente in maniera profonda. Quello dell’urbanizzazione incontrollata viene considerato (anche dall’AEA stessa) uno dei principali problemi con i quali l’Europa dovrà confrontarsi ed è in parte alimentato proprio dai fondi strutturali e di coesione che l’UE destina allo sviluppo delle infrastrutture. La sovracrescita urbana risulta infatti accelerata in concomitanza con il potenziamento dei collegamenti di trasporto e dell’accresciuta mobilità delle persone. Le infrastrutture compromettono profondamente l’ambiente, sostituendo terreni naturali con superfici inorganiche, impermeabilizzando i suoli con il conseguente rischio di inondazioni, mettendo a repentaglio gli equilibri degli ecosistemi.
L’estensione delle aree edificate in Europa è aumentata in maniera molto più consistente, fino al 20% negli ultimi 20 anni, rispetto alla crescita della popolazione che nello stesso periodo è stata solamente del 6%.
Se l’impatto ambientale determinato dai mezzi di trasporto (TIR, autovetture, treni, navi, aerei) è elevato a causa dell’emissione di gas serra ed altri agenti inquinanti, non meno elevati risultano gli impatti determinati dalla costruzione delle infrastrutture deputate a far circolare alcuni di questi mezzi di trasporto. Le autostrade e le linee ferroviarie, con annessi viadotti e megatunnel, comportano pesantissimi stravolgimenti ambientali ed enormi costi in termini di risorse economiche ed energetiche che determinano altrettanto alti costi dal punto di vista ecologico.
Questa realtà oggettiva viene totalmente misconosciuta dalla politica dei trasporti europea che prende in considerazione solamente gli impatti ambientali derivanti dai mezzi di trasporto, senza considerare assolutamente quelli determinati dalla costruzione delle infrastrutture sulle quali i mezzi dovranno correre. Nel tentativo di coniugare il rispetto per l’ambiente, con la volontà d’incrementare in maniera sempre più spinta la movimentazione di merci e persone (due propositi in realtà inconciliabili) si resta così vittima di un cortocircuito logico che intende privilegiare i mezzi di trasporto ritenuti meno impattanti, attraverso la costruzione di nuove infrastrutture dagli impatti ambientali estremamente elevati. Un atteggiamento di questo genere determina per forza di cose delle scelte che se portate a compimento si riveleranno tanto inefficaci quanto controproducenti.
L’approccio al problema si manifesta fuorviante, poiché parte da presupposti (incrementi esponenziali del traffico merci nei decenni futuri) che non si basano su studi scientifici oggettivi, bensì semplicemente sulla riproposizione degli andamenti del traffico merci dei decenni precedenti, coniugato con la volontà di far si che tali andamenti possano riproporsi immutati all’infinito. Nel Libro Bianco del 2001 sui trasporti, leggiamo che i traffici merci transfrontalieri su strada dovrebbero raddoppiare entro il 2020, ma non esiste alcun elemento oggettivo in grado di suffragare questa supposizione.
Siamo veramente dinanzi ad un futuro nel quale i traffici merci continueranno ad aumentare a ritmi sostenuti, oppure l’incremento del costo del petrolio e le sempre più scarse disponibilità finanziarie di larga parte della popolazione europea, unitamente alla palese insostenibilità ambientale di un tale processo, lasciano intravedere in realtà un’inversione di tendenza?
Chi gestisce la politica dell’Unione Europea preferisce non porsi questa domanda e continua a basare le proprie scelte su previsioni di traffico totalmente disancorate dalla realtà, la cui unica funzione è quella di giustificare cospicui investimenti nella costruzione di infrastrutture che se valutate obiettivamente non avrebbero alcun senso.
Fulcro della politica dei trasporti europea è il proposito di ridurre l’inquinamento derivante dal trasporto di merci e persone (pur nell’ottica di un progressivo aumento quantitativo) attraverso una redistribuzione modale che penalizzi i sistemi di trasporto più inquinanti (la circolazione stradale e quella aerea) favorendo al contrario quelli “più ecologici” (le ferrovie e la navigazione).
Un ragionamento di questo genere potrebbe manifestarsi logico e condivisibile qualora s’intendesse ottenere il risultato voluto attraverso il miglioramento della logistica e l’ottimizzazione delle infrastrutture esistenti, ma non è in questo senso che l’Europa intende procedere.
La rete di trasporto transeuropea (RTE-T) nel 2004 ha infatti individuato 30 progetti prioritari, finalizzati a creare una mobilità più sostenibile, a fronte di un investimento stimato in 250 miliardi di euro. Quasi tutti questi progetti comportano la costruzione di nuove infrastrutture, in larga parte ferroviarie, alcune delle quali aventi per oggetto tratte ad alta velocità.
Queste infrastrutture determineranno impatti ambientali elevatissimi, il più delle volte con scarse prospettive di ottenere un reale riequilibrio modale, e contribuiranno a rendere i trasporti europei sempre più inquinanti ed energevori e per nulla sostenibili.
E’ difficile immaginare che il progetto di Corridoio 5 Lisbona – Kiev che prevede il controverso attraversamento delle Alpi in Val di Susa per mezzo di un tunnel di 50 km (a fronte di un trasferimento modale stimato dagli esperti in meno dell’1%) e successivamente la perforazione dell’altopiano carsico nei pressi di Trieste, possa rappresentare un esempio di mobilità sostenibile, in quanto gli impatti ed i costi dell’infrastruttura, in parte destinata ai soli treni ad alta velocità/capacità, sia in termini ambientali che economici superano di gran lunga gli eventuali (neppure dimostrati) benefici derivanti dal trasferimento gomma-ferro.
Così come è difficile guardare all’asse ferroviario Berlino – Messina che comporterà un doppio tunnel (BBT) di 55 km nelle Alpi altoatesine, spostando sulla rotaia del TAV/TAC lo 0,5% dei TIR che attualmente corrono sull’autostrada del Brennero, come ad un progetto volto a diminuire gli impatti ambientali del sistema dei trasporti.
In realtà l’oligarchia che gestisce l’Unione Europea, per nulla interessata a i problemi ambientali, anche se simbolicamente impegnata nella riduzione delle emissioni di gas serra, sta usando il “problema ambiente” a proprio uso e consumo come uovo di Colombo utile per giustificare gli investimenti sempre più massicci nella costruzione di nuove infrastrutture cementizie, che comportano l’accumulo di profitti miliardari per la consorteria del cemento e del tondino della quale tutti i poteri finanziari ed economici fanno parte. Ovviamente con un occhio di riguardo per i grandi gruppi industriali che hanno necessità di delocalizzare in maniera sempre più spinta le proprie produzioni e vogliono poter movimentare sempre più velocemente merci e materie prime.
All’Europa dei popoli resteranno in dono solo precarietà, disoccupazione, un ambiente malsano e violentato e l’aria sempre più irrespirabile delle metropoli atomizzate nelle quali la maggior parte di noi saranno costretti a sopravvivere.
Marco Cedolin
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