20/11/08

D’Alema, l’immune a tutto. Anche alla parola data.

Sfido chiunque a dare torto sul punto a Mario Borghezio: “Come previsto, il Parlamento europeo, chiamato qui a Strasburgo a decidere sull’immunità nei casi D’Alema e Vanhecke, applica due pesi e due misure per un deputato accusato di un reato d’opinione e per un altro coinvolto in un caso di insider trading. Ciò, proprio quando tutta l’opinione pubblica europea chiede misure durissime nei confronti di chi viola i principi di trasparenza dei mercati finanziari, danneggiando i risparmiatori”, ha detto ieri capo della delegazione della Lega all’Europarlamento a proposito della decisione dell’assemblea di Strasburgo di mantenere l’immunità di Massimo D’Alema e di revocarla all’eurodeputato fiammingo Franck Vanhecke. E in effetti, stretta tra l’ennesimo suicidio del Partito Democratico sulla commissione di vigilanza Rai e le intemperanze di Silvio Berlusconi a Ballarò, la notizia del No del Parlamento europeo all’autorizzazione a procedere nei confronti di D’Alema è passata quasi inosservata ieri, se non fosse stato per le parole di sollievo giunte da GIuseppe Gargani di Forza Italia alla notizia della decisione.

Ed è un vero peccato. Perché, a prescindere dagli errori commessi dal giudice Clementina Forleo nello scrivere una richiesta di utilizzo delle intercettazioni che sembrava quasi una messa in stato d’accusa nei suoi confronti (e l’errore di inviarlo al parlamento italiano invece che a quello europeo), con questo voto la “risorsa per la sinistra” riesce a mettere una pietra tombale su una di quelle questioni che invece meriterebbero un approfondimento ben diverso. Già all’epoca, nel luglio 2007, lui e Piero Fassino erano riusciti nell’abile impresa di “buttarla in caciara, prendendosela con la “maleducazione” e l’impertinenza del giudice, e riuscendo a far passare sotto silenzio la “ciccia” della questione. Ricordiamo i fatti salienti della vicenda: nell’estate 2005, il mondo finanziario era in fermento perché due banche - l’Antonveneta e la Bnl - erano sotto scalata surrettizia. Ovvero, c’era gente che comprava d’accordo le azioni in Borsa senza però che nessuno superasse la soglia del 30% del capitale, quella oltre la quale è obbligatorio lanciare un’offerta pubblica di acquisto su tutte le azioni delle due aziende di credito. D’Alema intanto parlava al telefono con i protagonisti della scalata (tra cui l’ad di Unipol Giovanni Consorte), così come sul tema-Bnl diceva che uno di quelli che doveva vendere le sue azioni - Vito Bonsignore, europarlamentare Udc - era interessato a una “contropartita su un tavolo politico“. Fassino faceva più o meno la stessa cosa, e l’amministratore delegato di Unipol lo informava che la compagnia di assicurazioni bolognese aveva il 51% delle azioni della banca, in concerto con altri (il che costituiva reato, visto che c’è una legge che obbliga, superata la soglia del 30%, all’Opa). Nicola La Torre intanto - dalemiano di stretta osservanza, lo stesso beccato in TV a passare i “pizzini” a Italo Bocchino per consigliarlo cosa rispondere a un parlamentare dipietrista - faceva il bulletto al cellulare con Ricucci, promettendo favori e dando consigli su come muovere le carte.

Dire che i protagonisti coinvolti nelle intercettazioni stessero semplicemente chiedendo lumi sull’evolversi della situazione, significa pensare che gli altri siano fessi. La politica, nell’estate del 2005, non era una semplice spettatrice interessata. Voleva invece “cambiare il volto del potere italiano” (l’ha detto La Torre, non io), affidandosi a due come Ricucci e Consorte. “Facci sognare”, diceva invece il lider Maximo a Consorte, e lo avvertiva di essere prudente al telefono perché forse in quel momento era intercettato (e come faceva a saperlo?). Eppure, chi ha la memoria non troppo corta ricorda che D’Alema aveva annunciato che, non avendo niente da nascondere, avrebbe dato tutti i chiarimenti a chi di dovere e chiesto il via libera all’autorizzazione a procedere nei suoi confronti al Parlamento italiano. Gesto nobile, ancorché inutile visto che la Giunta respinse la richiesta perché andava fatta al Parlamento europeo. Dove però purtroppo Massimo si è ben guardato dal chiedere l’ok. S’è dimenticato. Cose che capitano.

Respingendo la richiesta, Strasburgo chiude definitivamente il caso. L’illustre stratega perderà così l’occasione di spiegare in che modo voleva cambiare il capitalismo italiano affidandosi a un bancarottiere come Ricucci e a Consorte, nel frattempo condannato anche in appello per insider trading, mentre è stato chiesto il suo rinvio a giudizio insieme al suo storico collaboratore Ivano Sacchetti e all’immobiliarista Vittorio Casale per appropriazione indebita. Al centro della vicenda la dismissione di 133 immobili che sarebbe avvenuta a prezzi inferiori a quelli di mercato in favore di una societa’ facente capo a Casale. Per questa operazione a Consorte e Sacchetti sarebbero stati consegnati 9,5 milioni di euro. Insomma, D’Alema non potrà spiegarci perché credeva di poter vincere alle corse dei cavalli scommettendo sugli asini. Un vero peccato. Per lui, ma soprattutto per noi.

Fonte articolo

Firma la petizione per dire NO al NUCLEARE.

Clicca qui sotto per sapere dove si firma nella tua città
Firma la petizione per dire NO al NUCLEARE.

Condividi su Facebook

Nessun commento:

Posta un commento

Visto lo spam con link verso truffe o perdite di tempo i commenti saranno moderati. Se commenti l'articolo sarà pubblicato al più presto, se invece vuoi lasciare link a siti porno o cose simili lascia perdere perdi solo tempo.