29/12/08

Francesco Musotto

Musotto Francesco, Pdl, eletto in Provincia di Palermo. La Costituzione Europea, in tema di giustizia penale, nell’articolo II-108, recita: “Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato”. Francesco Musetto, di questo diritto fondamentale dell’uomo, ne ha fatto una bandiera, una missione, una virtù. Da semplice penalista si è trasformato in crociato dei diritti degli sfortunati, o sventuratteddi, per dirla come la dicono i suoi assistiti. Per non essere ambiguo e voltagabbana, Musotto è sempre stato con gli imputati. E non di furto o diffamazione. È stato l'avvocato dei più pericolosi e sanguinari capimafia siciliani appartenenti a cosa nostra: da Raffaele Ganci, mafioso della famiglia della Noce, ai fratelli Graviano, organizzatori delle stragi del 1993 e dell’omicidio di Padre Puglisi, da Salvatore Sbeglia, fornitore del telecomando utilizzato per la strage di Capaci, ad alcuni affiliati del clan Farinella. Per non farsi mancare nulla nel proprio curriculum, Musotto ha anche difeso terroristi rossi del calibro di Renato Curcio e Toni Negri. Non è certo per il tenore e la qualità dei suoi clienti che l’8 novembre del 1995, alle quattro del mattino, viene arrestato insieme al fratello Cesare. I due erano accusati di aver fornito assistenza ai latitanti di cosa nostra, di aver passato loro notizie riservate sui provvedimenti giudiziari, di aver dato ospitalità, nel giugno 1993, nella villa di famiglia a Pollina, nei pressi di Cefalù, addirittura al boss corleonese Leoluca Bagarella, cognato di Salvatore Riina, che il dizionario del pc corregge come Cagarella. E proprio il cognato di Riina, ad un uomo d'onore che, dopo alcune pubbliche dichiarazioni antimafia di Musotto, metteva in dubbio la sua fedeltà ai corleonesi, rispondeva: “Che ci vuoi fare? Non vedi che lo attaccano tutti? Iddu cerca di difennisi. L'importanti è ca iddu sia dda (Quello cerca di difendersi. L’importante è che stia li)”. E se Bagarella era tranquillo, non lo possiamo essere noi. Ben 13 collaboratori di giustizia, lo tiravano in ballo, due dei quali, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo, raccontano di provvidenziali "soffiate" ai boss quando spirava aria di manette. “Voci” confermate dal pentito Salvatore Cancemi: per il collaboratore di giustizia già alla metà degli anni 80 Musotto passava informazioni alla famiglia Ganci su emissioni di ordini di cattura, tramite il costruttore Salvatore Sbeglia, peraltro suo assistito. Il discorso fila troppo bene. Qualcuno potrà dire, al solito, “parole di pentiti”. Certo, ma a parte i pentiti, spuntano anche due carabinieri ad aggravare la posizione dell’avvocato dei boss: i due esponenti dell’Arma dichiarano di avere visto uscire dalla villa dei Musotto, a Finale di Pollina, il fior fior della mafia della zona, come Domenico Farinella e Gioacchino Spinnato. Delle frequentazioni mafiose di Musotto ne scrive anche il giornalista Vincenzo Pinello, che seppur querelato da Musotto per un suo articolo, non rivela la fonte e rimane con la schiena dritta. Brutte notizie per il presidente arrivano anche da Paternò, dal consigliere comunale di Forza Italia Giuseppe Orfanò. Secondo alcune indagini che hanno coinvolto Orfanò, il consigliere ad una tornata delle Europee avrebbe utilizzato la forza di cosa nostra per fare campagna elettorale in favore di Francesco Musotto, che effettivamente ottenne un'ottima affermazione, al di là di ogni previsione, totalizzando oltre mille preferenze in paese. Secondo i magistrati della procura di Catania, Orfanò avrebbe appoggiato Musotto con la speranza di ottenerne in cambio finanziamenti con fondi dell' Unione europea, soldi con cui il Orfanò voleva realizzare una fabbrica di jeans. I pm, nel descrivere le indagini, non lesinano particolari. Giuseppe Orfanò è in intimi rapporti con Salvatore Rapisarda, capo del clan Laudania a Paternò e per gli investigatori il consigliere è il tramite tra Musotto e il boss. In alcune intercettazioni Rapisarda si vanta di conoscere bene Francesco Musotto per aver trascorso con il presidente della Provincia un comune periodo di detenzione. E, sorpresa delle sorprese, in almeno due occasioni il presidente della Provincia di Palermo avrebbe incontrato Rapisarda durante alcuni incontri pubblici molto particolari. Infatti, dicono gli inquirenti, di questi incontri tra candidato ed elettori non fu data alcuna comunicazione ai carabinieri, cosa scontata e che si fa di routine. Per i magistrati le forze dell'ordine non furono avvertite per evitare "che si potesse scoprire la presenza di mafiosi tra i sostenitori di Musotto". Tornando da Paternò a Palermo, secondo le intercettazioni depositate dalla Procura, sul presidente Musotto faceva invece cieco affidamento Franco Bonura, noto boss mafioso, per sistemare Giovanna Marcianò, nipote del capo della famiglia di Boccadifalco, Vincenzo Marcianò. La ragazza lavorava alla Gesap, la società che ha in gestione l' aeroporto Falcone Borsellino, e voleva stabilizzare la sua posizione. Tutti in Sicilia sembrano contare su Musotto. Enzo Brusca racconta a Caselli nel 1994: "Nel mio paese che è San Giuseppe Jato noi Brusca controlliamo più di mille voti e alle ultime provinciali abbiamo appoggiato Francesco Musotto perché noi non abbiamo mai votato per la sinistra". Il capomafia di Carini, Giuseppe Leone avrebbe ottenuto attraverso il presidente della Provincia l' assunzione della figlia. E ancora Musotto viene citato, nei dialoghi intercettati, come lo sponsor di un’altra nomina di un uomo di cosa nostra: Francesco Paolo Cerami, nipote acquisito di Bonura, nominato consigliere di amministrazione del Cerisdi dopo la trombatura alle elezioni regionali del 2001. Il processo di primo grado sui favori e sull’assistenza ai boss mafiosi da parte di Musotto si concluse il 4 aprile 1998: l’accusa chiedeva nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Il Tribunale invece assolve Musotto ma con formula dubitativa per insufficienza di prove. La sentenza, oltre all’assoluzione, racconta altri particolari interessanti: è accertato che Leoluca Bagarella fu ospite a casa Musotto e infatti condanna il fratello Cesare a cinque anni di carcere, ma ritiene che l’accusa non abbia presentato elementi sufficienti a dimostrare che di quell’ospitalità mafiosa fosse a conoscenza anche Francesco, che dunque fu assolto. Il fratello Cesare verrà condannato anche per avere detenuto nella propria abitazione diverse armi da fuoco per conto di Leoluca Bagarella. Anche i più strenui garantisti non possono non sorridere di fronte ai proclami di vittoria di Musotto. Riesce difficile immaginare un boss che ti gira per casa, un boss del calibro di Bagarella, senza destare il minimo sospetto. Riesce ancora più difficile immaginare di non notarlo, di non chiedere al fratello chi sia quell’uomo, il perché lo stesse ospitando. Viene da dire che Musotto, oltre ad essere il principe dei difensori dei mafiosi, è anche un gran distratto, tanto da non accorgersi di aver Bagarella tra i piedi. Tra le accuse dei pm c’era anche quella di aver firmato una delibera in favore della Rgl, l'impresa, fallita dopo avere avuto un finanziamento di 680 milioni, riconducibile a Giovanni Brusca, Bagarella e Santino Pullarà e che avrebbe dovuto realizzare la strada Palermo-Sciacca, splendidamente mai finita e tra le più pericolose dell’isola. Le accuse a Musotto, però, non arrivano solo dai pentiti e dai carabinieri. A metterlo nei guai questa volta è l'ex sindaco di un piccolo comune del messinese in cui i Musotto hanno delle proprietà, Giuseppe Abbate, primo cittadino di Pollina. Abbate ha dichiarato che l'ex presidente della provincia di Palermo Francesco Musotto nel 1990 lo aveva fatto intimidire dal boss della zona Peppino Farinella, per convincerlo a non espropriargli dei terreni. Infami, sbirri e pure sindaci, tutti a sparlare di Ciccio Musotto. Nel 1994 l’avvocato Musotto crea un conflitto elefantiaco tra funzione pubblica e attività privata, che si risolve sempre nel peggiore dei casi: decide di mantenere la difesa di un suo cliente imputato nel processo della strage di Capaci, e allo stesso tempo, la Provincia di Palermo, che lui presiede, si costituisce parte civile nel processo. Per aver raccontato questa vicenda e criticato il comportamento di Musotto in un articolo, paragonandolo a Dottor Jekill e Mister Hide, un politologo siciliano, Claudio Riolo, viene citato in giudizio da Musotto e condannato a pagare 140 milioni di lire per diffamazione. Così imparano a raccontare. Solo che Riolo ricorre a Strasburgo e ottiene ragione dalla Corte europea: la sua condanna viola l’articolo 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo, lo Stato italiano deve risarcirlo con 60 mila euro più 12 mila di spese legali. La Corte però non si limita a dare ragione al politologo, ma spiega bene (“con gli italiani è meglio essere ridondanti” avranno pensato) le motivazioni: «l’articolo incriminato era fondato sulla situazione in cui si trovava Musotto all’epoca dei fatti». Il suo «doppio ruolo» di presidente della Provincia e di difensore di un mafioso «poteva dar luogo a dubbi sull’opportunità delle scelte di un alto rappresentante dell’amministrazione su un processo concernente fatti di estrema gravità» (la strage di Capaci). L’articolo «s’inseriva in un dibattito di pubblico interesse generale»: Musotto è «uomo politico in un posto chiave nell’amministrazione», dunque «deve attendersi che i suoi atti siano sottoposti a una scrupolosa verifica della stampa». «Sapeva o avrebbe dovuto sapere che, continuando a difendere un accusato di mafia… si esponeva a severe critiche». Riolo non ha scritto che Musotto abbia «commesso reati» o «protetto gli interessi della mafia»: ha solo osservato che «un eletto locale potrebbe essere influenzato, almeno in parte, dagli interessi di cui sono portatori i suoi elettori». Un’«opinione che non travalica il limite della libertà di espressione in una società democratica». Riolo l’ha pure sbeffeggiato con «espressioni ironiche». Ma «la libertà giornalistica può contemplare il ricorso a una certa dose di provocazione», che non va confusa con «insulti e offese gratuite» se «si attiene alla situazione esaminata» e se «nessuno contesta la veridicità delle principali informazioni fattuali nell’articolo». Come vedete, prima o poi si trova sempre quel famoso giudice a Berlino, qui l’abbiamo pescato a Strasburgo. In ultimo, ad onor del vero c’è da dire che Francesco “Ciccio” Musotto fa poco e nulla per allontanare i nuvoloni dei sospetti dalla sua testa. L’11 giugno 1998, infatti, da presidente della Provincia di Palermo, annulla il provvedimento della precedente giunta che aveva escluso dai bandi per gli appalti pubblici le ditte rinviate a giudizio per turbativa d'asta o per mafia. Tutti hanno diritto a lavorare, per Musotto, anche i collusi con la mafia, perché, spiegaglielo tu Ciccio, il nostro problema non è la mafia. Questo, purtroppo non è tutto. Il resto lo racconto Attilio Bolzoni in un pezzo impietoso apparso su Repubblica. Fatti che il solo raccontarli fa davvero star male. Racconta che Musotto, mentre era Presidente della Provincia di Palermo, ogni qual volta si doveva votare qualche delibera, qualche provvedimento che ponesse la Provincia, e quindi il suo presidente Musotto contro la mafia, lui semplicemente non c’era mai. Mai vuol dire mai, non qualche volta. Ed ecco l’imbarazzante dettaglio: prima "assenza" pesante 20 ottobre del 1994. Si riunisce la giunta provinciale per discutere la costituzione di parte civile dell'Ente nel processo contro i presunti esecutori materiali della strage di Via D’Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e i 5 poliziotti della sua scorta: Eddi Walter Cosina, Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano. La giunta provinciale decide, fortunatamente, di costituirsi parte civile. Basta però controllare la delibera 1147/1 per accorgersi che in un momento così importante e significativo per un Ente come la Provincia di Palermo, Musotto non è presente. Esce al momento della votazione. Il 7 febbraio 1995, la giunta provinciale si riunisce nuovamente per costituirsi parte civile nel processo contro gli assassini di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e i tre ragazzi della scorta, Vito Schifani, Antonio Montanaro e Rocco Di Cillo. E se consultate la delibera 0098/24, non troverete di certo il nome del Presidente della Provincia di Palermo. Quello stesso giorno Musotto firmò però 36 delibere su 37. Uscì dalla stanza solo quando si trattava di firmare giusto la 0098/24. Scampata l’occasione che fa l’uomo nobile, tornò regolarmente in sala. Proseguiamo: 14 febbraio del 1995. La giunta approva una seconda delibera riguardo la costituzione parte civile nel processo per la strage di Capaci. Delibera 0117/4. Anche quel giorno, Musotto firma 30 delibere su 31, e indovinate quale non firmò? Primo giugno del 1995. La giunta provinciale decide di costituirsi parte civile nel processo contro gli assassini di Libero Grassi, l’imprenditore siciliano che non volle piegarsi al racket delle estorsioni. Quel giorno si votano altre dodici delibere nelle quali Musotto risulta sempre presente. Alla tredicesima, quella riguardo il processo Grassi, Musotto esce magicamente dall’aula. Non abbiamo finito. Due mesi dopo, in giunta ci sono 15 delibere da approvare e solo una non portava la firma di Musotto: quella per la costituzione di parte civile contro gli assassini del giudice Antonino Saetta e suo figlio Stefano. Sempre il signor Musotto e sempre in quei giorni si macchiò di un’altra becera iniziativa: commissionò all' Azienda Provinciale per il Turismo un’ indagine per dimostrare che a causa della strage di Capaci il flusso turistico in provincia di Palermo ha subìto un calo e quindi un danno economico. L’ultima notizia di reato che riguarda l’avvocato dei boss risale al luglio del 1999, ed è relativa ad un'indagine della Procura di Palermo su una discarica abusiva nel comune di Pollina, in cui dal 1987 vengono scaricati rifiuti (si sospetta anche tossici) senza le dovute autorizzazioni, con la complicità degli amministratori locali e con tangenti pagate alla mafia della zona come permesso, concessione. Rimane da chiedersi: ma perché ce l’hanno tutti con Musotto? Lui, serafico, risponderebbe, come ha già fatto: “Perché prendo tanti voti”.

Fonte articolo

Firma la petizione per dire NO al NUCLEARE.
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