25/04/09

Protezionismo all’italiana

Banca Mondiale, Francia, Giappone, Giulio Tremonti, governo Berlusconi, il peggio è passato, protezionismo, spagna
Sorrisi. Flash. Strette di mano. E una promessa, tra le tante, più solenne delle altre. Dire - crisi o non crisi economica del secolo - sempre “sì” a concorrenza e libero mercato. E sempre “no” a protezionismo e barriere (doganali) varie. Poi si sa come vanno a finire queste cose. Capi di governo e ministri di turno son tornati a casa dalla riunione del G20 a Londra. E ognuno ha tirato acqua al proprio mulino. Perchè i politici, sotto ogni cielo, hanno pur sempre un cuore che batte innanzitutto per il destino della loro nazione. Ma soprattutto hanno degli elettori. E una poltrona da difendere.
Risultato. Qualcuno, ovvero il presidente della Banca mondiale, si è pure lamentato. Ma invano. Solo questa settimana: “Le Monde” ha annunciato con orgoglio (e come da copione, visto la mezza imposizione da parte del governo francese) che Renault produrrà anche i suoi nuovi motori diesel in Francia. Alla faccia delle tante fabbriche sempre di quattroruote e sempre francesi sparse in Est Europa. Mentre il New York Times, con tanto di bell’articolone di costume e intervista strappalacrime, ci ha raccontato che i giapponesi - alle prese con un’economia in caduta libera - hanno escogitato, al solito, una soluzione particolarmente ingegnosa. Impacchettare e rispedire a casa, con posta o meglio posto aereo prioritario, i lavoratori (mezzi) stranieri. Con tanto di incentivo. E tanti saluti e baci (e chissà, magari pure un dvd con il meglio di “Mila e Shiro e i ragazzi della pallavolo”).
E’ il caso della signora Yamaoka, ritratta dal fotografo del New York Times - va detto con molta sensibilità e rispetto del dolore altrui (e detto, ovviamente, in senso ironico) - mentre piange a calde lacrime. In effetti: la signora aveva ottimi motivi per disperarsi. Lei (brasiliana) e suo marito (pure lui brasiliano, ma con antenato giapponese) hanno perso il lavoro. E deciso di accettare qualche migliaia di dollari dell’ufficio immigrazione. In cambio dovranno lasciare il Paese del Sol levante. E impegnarsi a non tornare. Mai più. Per l’ora l’incentivo ad andarsene è rivolto solo ai lavoratori stranieri che, come il signor Yamaoka, possono vantare un avo del Giappone. E in cento hanno già accettato. In futuro, si vedrà.
Già un annetto fa, però: la Spagna aveva adottato - per proteggere i lavoratori spagnoli - un provvedimento simile. Solo su più vasta scala. Perchè in questo caso l’offerta “soldi e te ne vai” era (ed è ancora) rivolta a tutti i lavoratori extracomunitari. Offerta, va detto, per altro più che giustificata. Visto che - come ha scritto oggi il “Financial Times” - nel Paese di Zapatero, l’ex señor “sorpasso (a todo el mundo)”, lavoro non ce n’è proprio più. Lì - probabilmente grazie ai primi segnali positivi subito intravisti dal nostro occhiutissimo ministro delle Finanze, in arte il commercialista Giulio Tremonti - i disoccupati sono arrivati, a marzo 2009, alla stratosferica quota del 17,4%. O se preferite: a 4 milioni (di persone) tondi tondi. Che, presumibilmente a breve, con Zapatero cominceranno a giocare alla corrida. Usandolo come toro. Per poi tagliargli i cosiddetti attributi.
E in Italia? E in Italia, queste notizie non hanno, tanto per cambiare, riscosso grande successo. Insomma: le Cnn e i New York Times de’ noantri questi segnali - da Francia&Giappone&Spagna - di una globalizzazione e di un mondo che cambia non se li sono filati granchè. Preferendo anche oggi - nel giorno dei dati schock sull’occupazione spagnola - dar spazio a Tremonti e ai suoi “il peggio è alle spalle”. Ma pure nel Belpaese dell’ottimismo berlusconiano si è - già - cominciato a fare qualcosa sul fronte lavoratori. Stranieri, s’intende.
Sempre a colpi di incentivi? No. Niente vil danaro. Solo tante buone parole e tanta arte della persuasione. Per esempio: da mesi - e, coincidenza vuole, con particolare vigore, da quando è iniziata la crisi - il quotidiano berlusconiano “Il Giornale” ha cominciato una battaglia culturale tutta sua. A colpi di titoli garbati: “Clandestini liberi. Di stuprare” (17 febbraio 2009). Storie rasserenanti: “Arianna, 2 anni, sgozzata dal padre marocchino. Youssef, 9 anni, ucciso dal papà egiziano”; e editoriali ineccepibili: “La Tragedia dei matrimoni misti” (27 febbraio 2009). Fino a una prima pagina, quella di ieri, destinata a passare alla storia del giornalismo italiano: “Attenti a queste moschee, sono covi di estremisti”. Con tanto di “Mappa dell’odio” a seguire.
Odio? Oddio, sì. Unico neo: in questi anni di politica dell’immigrazione fatta solo di buone (centrosinistra) e cattive (centrodestra) parole, di immigrati in Italia ne sono arrivati a carrettate. Nel 2000 i “regolari” erano poco più di un milione. Oggi, 8 anni dopo, sono 4 milioni. Centinaia di migliaia di lavoratori arrivati alla spicciolata. Che nel 2008 hanno prodotto quasi il 10% del Pil italiano. E che hanno contribuito con il loro arrivo in massa - se la legge della domanda e dell’offerta non è un’opinione - a tenere bassi gli stipendi. Con grave scorno dei lavoratori italiani, che hanno buste paga ferme inchiodate dall’inizio del millennio e tra le più misere d’Europa. E per la gioia dei prenditori imprenditori tricolori, che tra l’altro - a differenza di quando accadde, per esempio, in Francia ai tempi dell’immigrazione di massa post seconda guerra mondiale - non hanno speso un euro neppure per dargli un alloggio. Mentre i governi (di turno) se ne sono lavati le mani. Ben guardandosi anche dal solo far ripartire un qualsiasi di edilizia popolare. Edilizia popolare che è ancora ferma dagli anni Settanta. Del secolo scorso.
E allora? E allora, siccome oltre ai 4 milioni ci sono anche chissà quanti clandestini, il Giornale ne avrà da scrivere. E già c’immaginiamo i prossimi titoli in tema. Prima cose soft come: “Rom go home”. Fino alla prima pagina definitiva: “Berlusconi: o andate via o vi pigliamo a calci nel sedere”. Sottotitolo: “Questa è una battuta detta con carineria, ma avete dieci giorni per fare le valigie”.
Certo: nell’ex Belpaese dei prenditori degli imprenditori con le pezze al culo, anche il protezionismo non poteva essere che a costo zero e quindi un po’ straccione. Ma forse si poteva seguire una strada un po’ meno squallida. E soprattutto, meno razzista.

Fonte articolo


Stop al consumo di territorio
La Casta dei giornali
Firma la petizione per dire NO al NUCLEARE.

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