Vabbè, diciamocelo. Quanto durerà questa volta? Ancora una settimana? Un mese? Esageriamo: due mesi? Poi - a meno di altri sproloqui dell’acerba Noemi o di altre sparate di donna Veronica - anche il divorzio-spettacolo del nostro premier finirà nel dimenticatoio. E’ già successo - tanto per fare un paio di esempi recenti - con il terremoto in Abruzzo e con il caso della povera Eluana Englaro. Prima: luce dei riflettori; lacrime; e rabbia. Poi giù il sipario; qualche applauso e qualche sbadiglio. Infine, il silenzio. E niente paura: succederà ancora. L’agenda di giornali e tivù - suggerita a colpi di conferenze stampa e soffiate da questure, procure, partiti e imprenditori - è potenzialmente infinita. Ergo: si troveranno alla svelta altre storie e facce per riempire schermi e prime pagine. Per far commuovere e indignare lettori e spettatori. Per far passare il tempo. Lasciando tutto e tutti al loro posto. E spostando magari giusto qualche voto (da destra a sinistra, o viceversa). Come in un eterno presepe vivente. E secondo la regola aurea del “molto rumore per nulla”.
Per ora e per intanto, comunque, giornali e tivù possono dirlo forte: meno male che Silvio c’è. E infatti: l’agenzia di stampa americana Bloomberg - specializzata, per la cronaca e per chi non lo sapesse, in notizie economiche e di proprietà del sindaco di New York, Micheal Bloomberg - ieri, si è cimentata nello sport meno amato dagli italiani. Quello dei conti della serva. E ha scoperto l’ovvio:
“Finora nella battaglia per il divorzio tra il primo ministro italiano, Silvio Berlusconi e sua moglie Veronica, il vero vincitore sono i news media”, hanno scritto le giornaliste Flavia Krause Jackson e Flavia Rotondi su Bloomberg.
Ovvero? Ovvero e per esempio: l’intramontabile “Porta a Porta”. Che - nel giorno in cui Berlusconi ha ammesso (parole sue, “con classe”) che qualcosa con l’amata Veronica non funzionava - ha festeggiato il suo record di ascolti. O l’edizione on line del Corriere della Sera. Che quello stesso giorno ha polverizzato, con ogni probabilità ogni record di ingressi, con ben 1,4 milioni di visitatori (unici). Il tutto per la gioia degli inserzionisti pubblicitari. E pure della Borsa di Milano. Da quando Veronica ha cominciato a sparare ad alzo zero sul marito, le azioni del gruppo editoriale “L’Espresso” - che con il quotidiano Repubblica è stato tra i primi a montare il caso - hanno preso a schizzare verso l’alto (+6%). E pure quelle di Mediaset, in questi giorni, stanno facendo - è proprio il caso di dirlo - la loro porca figura (+7%). E verrebbe da aggiungere: giustamente. In fin dei conti, e come in tutti i reality show che si rispettino, l’indiscusso mattatore dello show meritava un premio.
Insomma: dubbi non ce n’è. Concentrarsi su emergenze, scandali e scandaletti paga. Focalizzarsi sui problemi di oggi e di sempre - dalla silenziosa ondata di licenziamenti che sta investendo il Belpaese all’eterno strapotere delle mafie - evidentemente no. E infatti non lo si fa. Anche perchè sbattere queste questioni - al posto dei mostri di turno - ogni giorno in prima pagina avrebbe uno spiacevole effetto collaterale: mettere alla berlina questure, procure, partiti e imprenditori di cui sopra. Che di fatto hanno in mano le leve del potere del Paese. E che - nel migliore dei casi - non sono in grado di risolvere questi problemi. Nel peggiore, se ne nutrono. Ipotesi ardite? Illazioni fantasiose? No, semplici constatazioni. Come quelle delle due giornaliste di Bloomberg. Che sempre ieri osservavano che
“Per Berlusconi un circo mediatico (sul suo divorzio, ndA) può distrarre (l’opinione pubblica, ndA) da questioni di Stato, in un momento in cui la disoccupazione sta montando e l’economia si sta infilando nella peggior recessione dalla seconda guerra mondiale” a oggi.
Ma - per fare il pieno di audience e per far sì che tutto cambi senza che nulla cambi - anche le emergenze, gli scandali e gli scandaletti vanno maneggiati con cura. Come le bolle di sapone. La notizia infatti va gonfiata a dovere. Riempiendo pagine, schermi e tivù. E riempiendo le persone di indignazione, rabbia, e dolore. Fino a stancare. Ed è a quel punto che la bolla esplode. Senza lasciare traccia o ricordi. Solo una voglia dilagante - da parte del pubblico pagante - di altra indignazione, rabbia e dolore. Cioè di altre bolle.
Si dirà: è la stampa, bellezza. Che è un’industria e che come tutte le industrie ha degli interessi e deve fare profitti. D’accordo. Ma allora forse si dovrebbe piantarla - quando si parla di giornali e telegiornali - di usare parole come “informazione” o “servizio pubblico”. Questa non è informazione. E’ intrattenimento per menti deboli e bocche buone. E soprattutto non è un servizio pubblico. Si tratta di business e interessi privati. Che non meritano canoni (Rai). E tantomeno finanziamenti di Stato (circa 1 miliardo di euro all’anno che ogni anno vanno a tutti i giornali). Se i media sono un’industria specializzata nel ramo svago&propaganda - e se le notizie sono come i cartoni del latte al supermercato (con tanto di data di scadenza e fretta di vendere) - che se la paghino interamente i proprietari e gli affezionati del genere. Che, comunque e purtroppo, non mancano. Non sono mancati. E non mancheranno. Mai.
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