"Malgrado le dimissioni di Berlusconi dal ruolo di premier, i mezzi d'informazione televisivi in Italia restano concentrati, con la statale RAI e la Mediaset di Berlusconi che controllano complessivamente l'87.5% delle quote di mercato. Ciò nonostante, un report del Consiglio d'Europa rilasciato nel febbraio 2006 ha dimostrato che, a dispetto della concentrazione della proprietà dei mezzi televisivi d'informazione in Italia, c'è una considerevole diversità di contenuti nelle informazioni del paese. Difatti, i mezzi d'informazione della carta stampata, che consistono in svariati quotidiani nazionali, continuano ad offrire diverse opinioni politiche, incluse quelle critiche verso il governo".
Queste erano le motivazioni sulla base delle quali l'Italia nel 2008 era tornata ad essere, secondo l'organo internazionale di monitoraggio sulle libertà civili, i diritti politici e la libertà di stampa nel mondo Freedom House, un paese libero.
L'informazione televisiva è concentrata in maniera spropositata, ma esistono diversi quotidiani (che non legge oramai quasi più nessuno) che offrono invece diversità di opinione. Per Freedom House questo era sufficiente per definire il nostro paese "libero".
Basta comprendere l'elevato grado di leggerezza usato da Freedom House in passato per attribuire patenti di "libertà" al nostro paese, per avere un'idea di quanto sia grave la situazione oggi in Italia, oggi che secondo quello stesso organo siamo tornati ad essere (come lo siamo stati dal 2003 al 2006) un paese "parzialmente libero" per quanto riguarda la libertà di stampa.
"Nonostante l'Europa Occidentale goda a tutt'oggi della più ampia libertà di stampa, l'Italia è stata retrocessa nella categoria dei Paesi parzialmente liberi, dal momento che la libertà di parola è stata limitata da nuove leggi, dai tribunali, dalle crescenti intimidazioni subite dai giornalisti da parte della criminalità organizzata e dei gruppi di estrema destra, e a causa dell'eccessiva concentrazione della proprietà dei media. Il ritorno al potere del magnate dei media Silvio Berlusconi ha risvegliato le paure relative alla concentrazione di mezzi d'informazione statali e privati sotto un unico leader".
Questo è ciò che leggiamo oggi.
Una meravigliosa analisi del nostro paese, accompagnata dalla classifica internazionale sulla libertà di stampa, che ci trova in 73ma posizione, superati, oltre che dai soliti noti, da Palau, Estonia, Isole Marshall, Repubblica Ceca, Lituania, Barbados, Costa Rica, Bahamas, Belize, Ungheria, Micronesia, Cipro, Malta, Lettonia, Slovacchia, Suriname, Taiwan, Trinidad & Tobago, Vanuatu, Grenada, Polonia, Slovenia, Ghana, Mali, Mauritius, Papa Nuova Guinea, Tuvalu, Uruguay, Kiribati, Capo Verde, Nauru, Cile, Grecia, Sao Tomè e Principe, Samoa, Guyana, Namibia, Sudafrica, Corea del Sud, Benin e Israele.
Una sfilza di campioni che hanno fatto della democrazia e della libertà di stampa una consuetudine secolare.
In rete si è discusso molto di questa notizia, in TV molto meno. Una sorta di dimostrazione implicita di quanto sia veritiero questo report internazionale.
Ciò di cui invece non si è parlato è ciò che riguarda la libertà in generale, che ci vede ancora catalogati come "paese libero", ma in netta discesa, a causa del declassamento in termini di libertà civili da "classe 1" a "classe 2".
Motivi? La concentrazione dei media nelle mani di una sola persona e l'accresciuta presenza della criminalità organizzata negli affari del paese.
A destra le critiche sono state rivolte agli autori di questo report, secondo alcuni evidentemente simpatizzanti di sinistra e mascherati oppositori di Berlusconi. Come se all'estero non avessero cose più importanti a cui pensare se non a contrastare il capo di governo di un paese internazionalmente quasi insignificante.
Vediamo allora chi sono i grandi "reggenti" bolscevichi di Freedom House.
Jennifer Windsor, direttore esecutivo: membro del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America, ex membro della Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID), professore aggiunto alla Georgetown University.
Thomas O. Melia, vice-direttore esecutivo: ex-direttore delle ricerche dell'Istituto per lo Studio della Diplomazia, professore aggiunto alla Georgetown University, ex Assistente Legale per gli affari esteri e la difesa del Senatore Daniel Patrick Moynihan.
Laura Ingalls, direttrice ufficio stampa: membro della Fondazione Internazionale per i Sistemi Elettorali, impiegata in Iraq per l'insegnamento delle nozioni tecniche di libero giornalismo, ex membro di "Save the Children" sempre in Iraq e produttrice senior della CNN.
Robert Herman, direttore dei programmi: ex membro del Dipartimento di Stato nello staff di Pianificazione Politica sulla democrazia e la tutela dei diritti umani, membro dell'USAID per l'Europa e impiegato per la stessa agenzia nell'ex Unione Sovietica per lo smantellamento delle istituzioni comuniste e la transizione verso la democrazia, impiegato per la Missione USA per la NATO a Bruxelles e "staff member" nel Congresso USA.
Curriculum che non lasciano appello alcuno: una chiara ed evidentissima colpevolezza di legami e collusioni con i potentissimi elementi di spicco in Italia di Sinistra e Libertà, Rifondazione Comunista e Italia dei Valori.
Anzi, forse è proprio a causa dell'eccessivo potere di questi elementi eversivi se veniamo considerati in questo modo...
Queste erano le motivazioni sulla base delle quali l'Italia nel 2008 era tornata ad essere, secondo l'organo internazionale di monitoraggio sulle libertà civili, i diritti politici e la libertà di stampa nel mondo Freedom House, un paese libero.
L'informazione televisiva è concentrata in maniera spropositata, ma esistono diversi quotidiani (che non legge oramai quasi più nessuno) che offrono invece diversità di opinione. Per Freedom House questo era sufficiente per definire il nostro paese "libero".
Basta comprendere l'elevato grado di leggerezza usato da Freedom House in passato per attribuire patenti di "libertà" al nostro paese, per avere un'idea di quanto sia grave la situazione oggi in Italia, oggi che secondo quello stesso organo siamo tornati ad essere (come lo siamo stati dal 2003 al 2006) un paese "parzialmente libero" per quanto riguarda la libertà di stampa.
"Nonostante l'Europa Occidentale goda a tutt'oggi della più ampia libertà di stampa, l'Italia è stata retrocessa nella categoria dei Paesi parzialmente liberi, dal momento che la libertà di parola è stata limitata da nuove leggi, dai tribunali, dalle crescenti intimidazioni subite dai giornalisti da parte della criminalità organizzata e dei gruppi di estrema destra, e a causa dell'eccessiva concentrazione della proprietà dei media. Il ritorno al potere del magnate dei media Silvio Berlusconi ha risvegliato le paure relative alla concentrazione di mezzi d'informazione statali e privati sotto un unico leader".
Questo è ciò che leggiamo oggi.
Una meravigliosa analisi del nostro paese, accompagnata dalla classifica internazionale sulla libertà di stampa, che ci trova in 73ma posizione, superati, oltre che dai soliti noti, da Palau, Estonia, Isole Marshall, Repubblica Ceca, Lituania, Barbados, Costa Rica, Bahamas, Belize, Ungheria, Micronesia, Cipro, Malta, Lettonia, Slovacchia, Suriname, Taiwan, Trinidad & Tobago, Vanuatu, Grenada, Polonia, Slovenia, Ghana, Mali, Mauritius, Papa Nuova Guinea, Tuvalu, Uruguay, Kiribati, Capo Verde, Nauru, Cile, Grecia, Sao Tomè e Principe, Samoa, Guyana, Namibia, Sudafrica, Corea del Sud, Benin e Israele.
Una sfilza di campioni che hanno fatto della democrazia e della libertà di stampa una consuetudine secolare.
In rete si è discusso molto di questa notizia, in TV molto meno. Una sorta di dimostrazione implicita di quanto sia veritiero questo report internazionale.
Ciò di cui invece non si è parlato è ciò che riguarda la libertà in generale, che ci vede ancora catalogati come "paese libero", ma in netta discesa, a causa del declassamento in termini di libertà civili da "classe 1" a "classe 2".
Motivi? La concentrazione dei media nelle mani di una sola persona e l'accresciuta presenza della criminalità organizzata negli affari del paese.
A destra le critiche sono state rivolte agli autori di questo report, secondo alcuni evidentemente simpatizzanti di sinistra e mascherati oppositori di Berlusconi. Come se all'estero non avessero cose più importanti a cui pensare se non a contrastare il capo di governo di un paese internazionalmente quasi insignificante.
Vediamo allora chi sono i grandi "reggenti" bolscevichi di Freedom House.
Jennifer Windsor, direttore esecutivo: membro del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d'America, ex membro della Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID), professore aggiunto alla Georgetown University.
Thomas O. Melia, vice-direttore esecutivo: ex-direttore delle ricerche dell'Istituto per lo Studio della Diplomazia, professore aggiunto alla Georgetown University, ex Assistente Legale per gli affari esteri e la difesa del Senatore Daniel Patrick Moynihan.
Laura Ingalls, direttrice ufficio stampa: membro della Fondazione Internazionale per i Sistemi Elettorali, impiegata in Iraq per l'insegnamento delle nozioni tecniche di libero giornalismo, ex membro di "Save the Children" sempre in Iraq e produttrice senior della CNN.
Robert Herman, direttore dei programmi: ex membro del Dipartimento di Stato nello staff di Pianificazione Politica sulla democrazia e la tutela dei diritti umani, membro dell'USAID per l'Europa e impiegato per la stessa agenzia nell'ex Unione Sovietica per lo smantellamento delle istituzioni comuniste e la transizione verso la democrazia, impiegato per la Missione USA per la NATO a Bruxelles e "staff member" nel Congresso USA.
Curriculum che non lasciano appello alcuno: una chiara ed evidentissima colpevolezza di legami e collusioni con i potentissimi elementi di spicco in Italia di Sinistra e Libertà, Rifondazione Comunista e Italia dei Valori.
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