Una particolare ed inedita forma di contestazione ai servizi giornalistici targati TG1. Ci sono telegiornali che mostrano fieri i dati auditel il giorno del terremoto e qualcuno che "ricambia la cortesia" e mostra fiero qualcos'altro...
Il passaggio del G8 dalla terra di Lussu, Gramsci e Berlinguer a quella di Croce, Flaiano e Silone era stato presentato come un'ineguagliabile occasione di benefici per il popolo aquilano.
Se si esclude la promessa di ricostruzione degli edifici di interesse culturale fatta dai leader internazionali ospiti al summit (una promessa che al momento resta solo una promessa e che tale era anche 3 mesi fa), viene naturale chiedersi in che misura questo vertice abbia aiutato la popolazione locale.
O forse, meglio ancora chiedersi, cui prodest?
A chi è servito questo ennesimo vertice?
Non certo al popolo dell'Aquila che nulla ha ottenuto da questa riunione tanto dispendiosa quanto retorica, se non il disagio di non potersi muovere liberamente al di fuori delle tendopoli, di dover chiudere tutte le attività commerciali (un grande aiuto alla ripresa economica, vero?), di essere dirottati da un albergo all'altro per fare posto alle più importanti delegazioni del G8.
Qualche giornalista ha avuto anche la vergognosa sfacciataggine di imputare ai cortei anti-G8 la serrata delle attività. Lo scaricabarile tipico dei "potenti d'Italia".
Allo stesso modo non è servito ai popoli che abitano nel povero cuore di questo pianeta, l'Africa, costretti ad assistere alle solite vacue promesse fatte dalla porzione di mondo che vive, anche in tempi di crisi, con la pancia piena, dedita agli impegni caritatevoli che paesi come il nostro, dominati da Mr. 3% ("l'uomo che rispetta il 3% delle promesse fatte", parola di Bob Geldof), potranno rinnegare a cuor leggero.
Non è servito all'umanità e alla sua affannosa ricerca di uno sviluppo sostenibile, grazie all'ennesimo piano ambientale rigettato da Cina, India e Brasile; un piano che intendeva imporre una riduzione delle emissioni per il 2050 dell'80% per i paesi industrializzati e ben del 50% per tutti i paesi "non industrializzati", ignorando il fatto che questi ultimi complessivamente hanno emissioni di CO2 inferiori a quelle emesse dai soli Stati Uniti d'America.
Una logica perversa che dimostra l'acutezza di questi "grandi 8".
E' servito però ai tanti politici mondiali in cerca di un aumento di consensi e notorietà, in particolar modo al "padrone di casa", impegnato a mostrare a tutto il popolo italiano il grande successo di questo vertice.
Un successo innegabile se si esamina la forma. Un disastro, come tutti gli altri vertici, se si bada al contenuto.
Perché un vertice che si chiude con la pubblicazione di documenti che sembrano brutti temi da scuola elementare ("guerra brutta", "no alla fame del mondo", "ecologia bella", "bisogna aiutare") e che demanda le decisioni pratiche e reali ai singoli paesi, senza alcun vincolo, non solo è inutile, ma pensando ai costi per il suo mantenimento è quantomai dannoso.
Basta guardare al passato e pensare a quali battaglie abbia mai vinto il G8 nella sua storia, per capire che questo vertice è stato fallimentare tanto quanto gli altri.
Oppure ha ragione il nostro premier, è stato un successo! Ma solo se l'obiettivo era mostrare "a reti unificate" i libri d'arte regalati da Re Silvio ai capi di stato e di governo, i menù dei pranzi e delle cene ufficiali, i gelati delle graziose Malia e Sasha Obama, la camicia di Obama senza giacca, il look colorato di Michelle e quello sobrio di Carlà, le simpatiche gag tra la Presidentessa Stefania Pezzopane, George Clooney, Barack Obama e Bill Murray, i 3 canestri da 3 punti dell'ottimo cestista Barack, la passeggiata delle ministre Gelmini e Carfagna con le First Ladies (con le pericolosissime Last Ladies aquilane relegate a qualche chilometro di distanza, dietro le transenne) e la maxi-cazzata del pericolo "invasioni dei manifestanti al cantiere C.A.S.E. di Bazzano".
Si è parlato persino di un fantomatico piano USA per la rinascita dell'Università dell'Aquila, con fondi e tempistiche ancora da stabilire con certezza, mentre si è lasciata morire nel vuoto la proposta ancora in vita lanciata alcuni giorni fa alle 5 grandi forze politiche italiane di rinunciare alla quota di rimborso elettorale auto-aggiunta da lorsignori un mese prima delle elezioni europee "a danno" delle forze "minori" per destinarla istantaneamente alla ricostruzione dell'ateneo aquilano, primissima fonte di sostentamento della città.
Ma c'era da immaginarsi quale potesse essere la reazione dei "grandi gruppi di interesse" alla richiesta di rinunciare a parte delle proprie ricchezze per aiutare una città come l'Aquila...
E se i 5 partiti non escono certo bene da questa faccenda abilmente sottaciuta, non escono certamente meglio gli straordinari "pseudo-giornalisti" italiani, protagonisti di insulti, spintoni e risse nella sede del G8, durante la fila per la distribuzione dei gadget del G8 da parte del governo.
Una scena che ricorda molto bene gli occhi umidi e festosi dello schiavo il giorno in cui dal padrone al posto della solita frustata riceve un cioccolatino.
Gli unici ad uscire realmente bene dalle insulse e pietose 3 giornate aquilane sono proprio gli aquilani stessi, con la loro indignazione imperitura, forti della consapevolezza di meritare qualcosa di meglio e che se per avere l'attenzione che meritano sarà necessario lottare per altri 50 anni, loro saranno lì a farlo.
Contro la classe politica di questo paese ma anche contro quella giornalistica.
La stessa che ha raccontato, attraverso la voce dell'inviato del Tg1 Pino Scaccia, la protesta del maxi-striscione "Yes We Camp!" come un gesto simpatico per attirare l'attenzione dei "grandi della terra", una simpatica provocazione.
Eppure bastava andare sul sito del Comitato 3e32, autori dell'iniziativa, per leggere che lo striscione era "il grido di denuncia della gestione scellerata dell'emergenza post-sisma".
Una sottilissima differenza terminologica.
Lascio chiudere il mio post allo straordinario scrittore abruzzese Ignazio Silone e alle sue stupende parole scritte nel 1949 in memoria del terremoto che colpì la città di Avezzano nel 1915, nella speranza che fungano da monito per coloro da cui dipendono le sorti del popolo terremotato:
Fonte articoloIl passaggio del G8 dalla terra di Lussu, Gramsci e Berlinguer a quella di Croce, Flaiano e Silone era stato presentato come un'ineguagliabile occasione di benefici per il popolo aquilano.
Se si esclude la promessa di ricostruzione degli edifici di interesse culturale fatta dai leader internazionali ospiti al summit (una promessa che al momento resta solo una promessa e che tale era anche 3 mesi fa), viene naturale chiedersi in che misura questo vertice abbia aiutato la popolazione locale.
O forse, meglio ancora chiedersi, cui prodest?
A chi è servito questo ennesimo vertice?
Non certo al popolo dell'Aquila che nulla ha ottenuto da questa riunione tanto dispendiosa quanto retorica, se non il disagio di non potersi muovere liberamente al di fuori delle tendopoli, di dover chiudere tutte le attività commerciali (un grande aiuto alla ripresa economica, vero?), di essere dirottati da un albergo all'altro per fare posto alle più importanti delegazioni del G8.
Qualche giornalista ha avuto anche la vergognosa sfacciataggine di imputare ai cortei anti-G8 la serrata delle attività. Lo scaricabarile tipico dei "potenti d'Italia".
Allo stesso modo non è servito ai popoli che abitano nel povero cuore di questo pianeta, l'Africa, costretti ad assistere alle solite vacue promesse fatte dalla porzione di mondo che vive, anche in tempi di crisi, con la pancia piena, dedita agli impegni caritatevoli che paesi come il nostro, dominati da Mr. 3% ("l'uomo che rispetta il 3% delle promesse fatte", parola di Bob Geldof), potranno rinnegare a cuor leggero.
Non è servito all'umanità e alla sua affannosa ricerca di uno sviluppo sostenibile, grazie all'ennesimo piano ambientale rigettato da Cina, India e Brasile; un piano che intendeva imporre una riduzione delle emissioni per il 2050 dell'80% per i paesi industrializzati e ben del 50% per tutti i paesi "non industrializzati", ignorando il fatto che questi ultimi complessivamente hanno emissioni di CO2 inferiori a quelle emesse dai soli Stati Uniti d'America.
Una logica perversa che dimostra l'acutezza di questi "grandi 8".
E' servito però ai tanti politici mondiali in cerca di un aumento di consensi e notorietà, in particolar modo al "padrone di casa", impegnato a mostrare a tutto il popolo italiano il grande successo di questo vertice.
Un successo innegabile se si esamina la forma. Un disastro, come tutti gli altri vertici, se si bada al contenuto.
Perché un vertice che si chiude con la pubblicazione di documenti che sembrano brutti temi da scuola elementare ("guerra brutta", "no alla fame del mondo", "ecologia bella", "bisogna aiutare") e che demanda le decisioni pratiche e reali ai singoli paesi, senza alcun vincolo, non solo è inutile, ma pensando ai costi per il suo mantenimento è quantomai dannoso.
Basta guardare al passato e pensare a quali battaglie abbia mai vinto il G8 nella sua storia, per capire che questo vertice è stato fallimentare tanto quanto gli altri.
Oppure ha ragione il nostro premier, è stato un successo! Ma solo se l'obiettivo era mostrare "a reti unificate" i libri d'arte regalati da Re Silvio ai capi di stato e di governo, i menù dei pranzi e delle cene ufficiali, i gelati delle graziose Malia e Sasha Obama, la camicia di Obama senza giacca, il look colorato di Michelle e quello sobrio di Carlà, le simpatiche gag tra la Presidentessa Stefania Pezzopane, George Clooney, Barack Obama e Bill Murray, i 3 canestri da 3 punti dell'ottimo cestista Barack, la passeggiata delle ministre Gelmini e Carfagna con le First Ladies (con le pericolosissime Last Ladies aquilane relegate a qualche chilometro di distanza, dietro le transenne) e la maxi-cazzata del pericolo "invasioni dei manifestanti al cantiere C.A.S.E. di Bazzano".
Si è parlato persino di un fantomatico piano USA per la rinascita dell'Università dell'Aquila, con fondi e tempistiche ancora da stabilire con certezza, mentre si è lasciata morire nel vuoto la proposta ancora in vita lanciata alcuni giorni fa alle 5 grandi forze politiche italiane di rinunciare alla quota di rimborso elettorale auto-aggiunta da lorsignori un mese prima delle elezioni europee "a danno" delle forze "minori" per destinarla istantaneamente alla ricostruzione dell'ateneo aquilano, primissima fonte di sostentamento della città.
Ma c'era da immaginarsi quale potesse essere la reazione dei "grandi gruppi di interesse" alla richiesta di rinunciare a parte delle proprie ricchezze per aiutare una città come l'Aquila...
E se i 5 partiti non escono certo bene da questa faccenda abilmente sottaciuta, non escono certamente meglio gli straordinari "pseudo-giornalisti" italiani, protagonisti di insulti, spintoni e risse nella sede del G8, durante la fila per la distribuzione dei gadget del G8 da parte del governo.
Una scena che ricorda molto bene gli occhi umidi e festosi dello schiavo il giorno in cui dal padrone al posto della solita frustata riceve un cioccolatino.
Gli unici ad uscire realmente bene dalle insulse e pietose 3 giornate aquilane sono proprio gli aquilani stessi, con la loro indignazione imperitura, forti della consapevolezza di meritare qualcosa di meglio e che se per avere l'attenzione che meritano sarà necessario lottare per altri 50 anni, loro saranno lì a farlo.
Contro la classe politica di questo paese ma anche contro quella giornalistica.
La stessa che ha raccontato, attraverso la voce dell'inviato del Tg1 Pino Scaccia, la protesta del maxi-striscione "Yes We Camp!" come un gesto simpatico per attirare l'attenzione dei "grandi della terra", una simpatica provocazione.
Eppure bastava andare sul sito del Comitato 3e32, autori dell'iniziativa, per leggere che lo striscione era "il grido di denuncia della gestione scellerata dell'emergenza post-sisma".
Una sottilissima differenza terminologica.
Lascio chiudere il mio post allo straordinario scrittore abruzzese Ignazio Silone e alle sue stupende parole scritte nel 1949 in memoria del terremoto che colpì la città di Avezzano nel 1915, nella speranza che fungano da monito per coloro da cui dipendono le sorti del popolo terremotato:
"Nel terremoto morivano ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, autorità e sudditi. Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie. Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia per opera dello Stato, a causa del modo come fu effettuata, dei numerosi brogli frodi furti camorre truffe malversazioni d’ogni specie cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale. A quel tempo risale l’origine della convinzione popolare che, se l’umanità una buona volta dovrà rimetterci la pelle, non sarà in un terremoto o in una guerra, ma in un dopo-terremoto o in un dopo-guerra".
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