E l’amico Meneguzzo è pronto a scommettere (dopo attento studio) che queste sono le aree più probabili (vedi mappe): Trino (Vercelli) Fossano (Cuneo) Chioggia, Monfalcone, Ravenna, Caorso (Piacenza) Scarlino (Grosseto) San Benedetto (Ascoli Piceno) Termoli (Campobasso) Latina Garigliano (Caserta) Scanzano Jonico (Matera) Palma (Ragusa).
Ce ne sarebbe per un’immediata insurrezione delle popolazioni di queste aree. Gli italiani sono lenti e per incazzarsi aspetteranno quando vedranno muoversi la macchina nucleare sotto casa loro. Basta un solo discorso per dire quanto questo progetto questo sia folle. I dati ce li dà Repubblica dei primi di marzo, in un articolo che finge di essere imparziale e ci presenta il piano di Edison per 5-10 centrali nucleari sparse per il Paese. Una vera follia. Vediamo perché. Innanzi tutto se si partisse immediatamente a costruire entrerebbero in funzione (secondo i tecnici Edison) nel 2019. | La spesa prevista da Edison per 10 centrali è di 40 miliardi di euro |
Se ciò si avverasse sarebbe la prima volta in Italia che un’opera viene realizzata nel tempo previsto. Poniamo pure che ci riescano, sarebbe una realizzazione tardiva visto che la crisi energetica e gli alti costi del petrolio stroncheranno l’economia italiana entro 5 anni se non si troveranno delle soluzioni a più breve termine. Al di là di questo, la spesa prevista da Edison per 10 centrali è di 40 miliardi di euro (ottantamila miliardi di lire) con un costo di duemila euro a kilowatt. Con duemila euro a kilowatt posso installare le turbine ad acqua di nuova generazione che lavorano spinte dalle maree o dalla corrente dei fiumi e che non hanno bisogno di cascate. Ogni singola turbina produce 1 kilowatt di potenza e ha un diametro di 120 centimetri, è piccola e può essere installata sul fondo di un corso d’acqua senza interferire con la navigazione. E queste turbine potrebbero iniziare a installarle domani mattina e si ripagherebbero con l’energia prodotta prima che le centrali nucleari possano entrare in funzione.
Tra 3-4 anni il solare dovrebbe diventare conveniente rispetto al nucleare anche senza finanziamenti pubblici | L’articolo di Repubblica ci informa anche che Moody’s, la nota agenzia di rating (valuta l’affidabilità di un investimento) ha stimato che il prezzo reale di una centrale nucleare arriverebbe a quattromila euro per ogni kilowatt di potenza, mentre il prezzo attuale di un kilowatt prodotto con l’eolico è intorno ai tremila euro. |
Inoltre bisognerebbe calcolare che nei prossimi anni i prezzi di idrico ed eolico continueranno a scendere grazie alla massificazione dei sistemi di produzione e alle nuove tecnologie che stanno per arrivare sul mercato. E si calcola che tra 3-4 anni il solare dovrebbe diventare conveniente rispetto al nucleare anche senza finanziamenti pubblici. Infine, nel costo del nucleare non è conteggiata la spesa per stoccare le scorie radioattive per decine di millenni, scorie che in mano a dei terroristi si trasformerebbero in bombe atomiche sporche (composte di esplosivi convenzionali e scorie che vengono sparse nell’atmosfera dalla deflagrazione).
Infine, se ci fossero ancora dubbi potremmo aggiungere che l’uranio, che alimenta le centrali nucleari, è agli sgoccioli: nei prossimi anni sarà sempre più raro e più caro. In sintesi: oggi costruire centrali nucleari è pericoloso, stupido e soprattutto antieconomico.
Sinceramente non credo che alla fine riusciranno a farle. Credo però che riusciranno a spendere un mare di soldi nel tentativo.
Riportiamo qui di seguito un breve elenco di incidenti nucleari avvenuti dal 2000 ad oggi.
5 gennaio 2000 – Blayais (Francia) (scala Ines 2). Una tempesta provoca un incidente alla centrale di Blayais, nella Gironda, dove due dei quattro reattori vengono fermati. L’acqua invade alcuni locali della centrale: danneggiati pompe e circuiti importanti.
27 gennaio 2000 – Giappone. Un incidente a una installazione per il riprocessamento dell’uranio in Giappone provoca livelli di radiazioni 15 volte superiori alla norma in un raggio di circa 1,2 miglia. Funzionari locali segnalano che almeno 21 persone sono state esposte alle radiazioni.
15 febbraio 2000 – Indian Point (USA). Una piccola quantità di vapore radioattivo fuoriesce dal reattore Indian Point 2 vicino alla cittadina di Buchanan sul fiume Hudson, località a circa 70 chilometri da New York. La perdita di gas radioattivo costringe la società che gestisce l’impianto a chiudere la centrale e a dichiarare lo stato di allerta. La perdita è di circa mezzo metro cubo di vapori radioattivi.
10 aprile 2003 – Paks (Ungheria) (scala Ines 3). L’unità numero 2 del sito nucleare di Paks (costituito da quattro reattori è l’unico in Ungheria a 115 chilometri da Budapest) subisce il surriscaldamento e la distruzione di trenta barre di combustibile altamente radioattive. Solo un complesso intervento di raffreddamento scongiura il pericolo di un’esplosione nucleare, limitata ma incontrollata con gravi conseguenze per l’area intorno a Paks.
17 ottobre 2003 – Arcipelago de La Maddalena (Italia). Sfiorato incidente nucleare: il sottomarino americano Hartford s’incaglia nella Secca dei Monaci a poche miglia dalla base di La Maddalena dove solo l’abilità del comandante riesce a portare in porto il mezzo avariato. Il licenziamento di alcuni militari induce a pensare che il rischio corso non sia stato risibile.
9 agosto 2004 – Mihama (Giappone). Nel reattore numero 3 nell’impianto di Mihama, 350 chilometri a ovest di Tokyo, una falla provoca la fuoriuscita di vapore ad alta pressione che raggiunge i 270 gradi e provoca quattro morti tra gli operai. Altri sette lavoratori vengono ricoverati in fin di vita. È l’incidente più tragico nella storia nucleare del Giappone. La centrale viene chiusa.
9 agosto 2004 – Shimane (Giappone). Scoppia un incendio nel settore di smaltimento delle scorie in una centrale nella prefettura di Shimane.
9 agosto 2004 – Ekushima-Daini (Giappone). L’impianto viene fermato per una perdita d’acqua dal generatore.
Aprile 2005 – Sellafield (Gran Bretagna). Viene denunciata la fuoriuscita di oltre 83mila litri di liquido radioattivo in 10 mesi a causa di una crepa nelle condotte e di una serie di errori tecnici.
Maggio 2006 – Laboratori Enea di Casaccia (Italia). Fuoriuscita di plutonio, ammessa solo quattro mesi dopo, che ha contaminato sei persone addette allo smantellamento degli impianti.
Maggio 2006 – Mihama (Giappone). Ennesimo incidente con fuga di 400 litri di acqua radioattiva nella ex centrale nucleare di Mihama.
26 luglio 2006 – Oskarshamn (Svezia) (scala Ines 2). Corto circuito nell’impianto elettrico della centrale a 250 chilometri a sud di Stoccolma per cui due dei quattro generatori di riserva non sono stati in grado di accendersi. Vengono testate tutte le centrali nucleari del Paese e quella di Forsmark viene spenta.
7 ottobre 2006 – Kozlodui (Bulgaria). Viene intercettato un livello di radioattività venti volte superiore ai limiti consentiti e le verifiche portano a scoprire una falla in una tubazione ad alta pressione. La centrale, che sorge nei pressi del Danubio, scampa a una gravissima avaria. Secondo la stampa locale la direzione cerca di nascondere l’accaduto e di minimizzarlo nel rapporto all’Agenzia nazionale dell’Energia Atomica.
28 giugno 2007 – Kruemmel (Germania). Scoppia un incendio nella centrale nucleare di Krummel, nel nord della Germania vicino ad Amburgo. Le fiamme raggiungono la struttura che ospita il reattore e si rende necessario fermare l’attività dell’impianto. In pochi mesi si verificano avarie anche nelle centrali di Forsmark, Ringhals e Brunsbuttel. Secondo il rapporto 2006 del ministero federale dell’Ambiente, l’impianto di Kruemmel è il più soggetto a piccoli incidenti tra le 17 centrali. Stando ai piani di uscita dal nucleare, fissati in una legge del 2002, il reattore dovrebbe essere spento al più tardi nel 2015.
16 luglio 2007 – Kashiwazaki (Giappone). La centrale nucleare di Kashiwazaki-Kariwa, la più grande del mondo che fornisce elettricità a 20 milioni di abitanti, viene chiusa in seguito ai danneggiamenti
provocati dal terremoto. L’Agenzia di controllo delle attività nucleari giapponesi ammette una serie di fughe radioattive dall’impianto, ma precisa che si tratta di iodio fuoriuscito da una valvola di scarico. Il direttore generale dell’AIEA, Mohammed El Baradei, dice che il sisma: “è stato più forte di quello per cui la centrale era stata progettata”. Il terremoto provoca un grosso incendio in un trasformatore elettrico, la fuoriuscita di 1.200 litri di acqua radioattiva che si riversano nel Mar del Giappone e una cinquantina di altri incidenti. Si teme che la faglia sismica attiva passi proprio sotto la centrale.
Giugno 2008 - Una perdita di materiale refrigerante si è verificata nel sistema di raffreddamento della centrale di Krsko in Slovenia. L’impianto è stato spento per qualche ora.
In un articolo apparso su “The Wall Street Journal” del 30 maggio Henry Sokolski, il direttore dell’ organizzazione di ricerca “Nonproliferation Policy” di Washington, afferma che la società elettrica tedesca E.On che sta costruendo una centrale in Finlandia ha individuato in 6 miliardi di euro il costo di un singolo impianto. Questi costi coprono solo la costruzione dell’ impianto e non comprendono nè lo smaltimento dei rifiuti radioattivi nè le spese operative.
In un altro articolo apparso il 2 giugno su “Il Sole 24 Ore” Giuseppe Oddo fa una breve analisi della situazione economica della società leader nel settore elettrico in Italia e che sicuramente avrebbe un ruolo chiave nel ritorno del nucleare: l’ Enel. Oddo ricorda che l’ Enel è una società ancora oggi in buona parte di proprietà pubblica, ed elenca i due motivi per cui è difficilmente plausibile che l’ Enel scenda adesso in campo nel nucleare senza aiuti economici di Stato: l’ indebitamento totale dell’ Enel ha superato a fine 2007 i 60 miliardi di euro (per via della recente acquisizione della spagnola Endesa) e l’ esposizione finanziaria dell’ Enel potrebbe essere già destinata ad aumentare dal 2010 (se la società Acciona eserciterà il diritto d’opzione per vendere all’ Enel anche la sua quota di minoranza in Endesa).
Per costruire la centrale nucleare Usa di Maine Yankee negli anni ‘60 sono stati investiti 231 milioni di dollari correnti. Recentemente questa centrale ha terminato il suo ciclo produttivo e per smantellarla sono stati allocati 635 milioni di dollari correnti. Soltanto per smantellare le quattro centrali nucleari italiane l’International Energy Agency ha stimato un costo pari a 2 miliardi di dollari.
Secondo l’International Energy Agency (IEA) il contributo al fabbisogno energetico mondiale fornito dal nucleare è solo del 6,5% dell’energia primaria ed è destinato a ridursi al 4,5% nel 2030.
Il nucleare è la fonte energetica più costosa e con il maggior bisogno di sussidi statali.
Secondo il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti (DOE) il costo di 1 kWh di energia elettrica costa 6,13 cent/$, da gas 4,96 cent/$, da carbone 5,34 cent/$, da fonte eolica 5,05 cent/$. Risultati analoghi sono stati presentati da studi della Chicago University e del Massachusetts Institute of Technology. Queste valutazioni economiche sono sottostimate perché non comprensive dei costi del decommissionamento degli impianti e del trattamento delle scorie di lungo periodo.
Le scorie nucleari vengono classificate in tre livelli a seconda della loro attività radioattiva.
Quelle di terzo livello sono le ceneri scaturite dalla combustione dell’uranio nei reattori, e per il loro stoccaggio è prevista la vetrificazione e il deposito in bunker sotterranei realizzati in maniera tale da
non permettere la fuoriuscita del materiale radioattivo. Queste scorie possono decadere anche in 100.000 anni, e il plutonio può esigerne addirittura 250.000.
Ora, se nel mondo esistono oltre settanta depositi dove sistemare le scorie a bassa e media radioattività - quelli europei si trovano a Le Hague (Francia), Sellafield (Gran Bretagna), Oskarshamn (Svezia) e Olkiluoto (Finlandia) -, non esiste ancora in Europa un luogo sicuro ove procedere allo stoccaggio delle scorie ad alta attività senza alcun rischio per la salute e l’ambiente, per non parlare del rischio di possibili incidenti, attentati terroristici e calamità naturali, tutte possibili fonti di disastri lungo un arco temporale estremamente dilatato.
Ad oggi, in tutto il mondo, mentre le 439 centrali in funzione continuano ad accumulare tonnellate di scorie (2300 ogni anno nei soli Stati Uniti), si è individuato un deposito geologico, sotto il monte Yucca, nel Nevada meridionale, dove trasportare e interrare oltre 70.000 tonnellate di rifiuti radioattivi speciali.
Solo per gli studi preliminari del terreno e il progetto sono stati spesi circa 7 miliardi di dollari; per la costruzione del deposito, si prevede una spesa di almeno 58 miliardi di dollari. Si tratta poi di trasferirvi il materiale radioattivo, attualmente conservato in 131 depositi sotterranei distribuiti in 39 stati: per il trasporto occorreranno 4600 treni e autocarri che dovranno attraversare 44 stati. A quanto dicono gli esperti, quando questo deposito sarà ultimato (con tutta probabilità dopo il 2010), si sarà accumulata una quantità tale di scorie radioattive da richiedere la costruzione di un altro deposito. Sostengono inoltre che, in base a studi scientifici effettuati da commissioni non-governative, sarà impossibile impedire a lungo termine infiltrazioni di acque sotterranee nel deposito.
In Italia sono rimasti, dopo la chiusura delle centrali nucleari, 55000 metri cubi di scorie radioattive, 35000 dei quali sono conservati nelle centrali in attesa di demolizione. Il resto è conservato in altri siti, principalmente negli impianti di Saluggia in Piemonte e Casaccia nel Lazio.
Il deposito di Saluggia, dove vengono tenuti 1500 metri cubi di scorie altamente radioattive, si trova sulle sponde della Dorea Baltea, a due chiilometri dalla confluenza con il Po, in una zona a forte rischio di alluvione, sopra le più importanti falde acquifere del Piemonte.
Circa 1500 tonnellate di scorie altamente radioattive, prodotte dal combustibile nucleare usato nelle centrali nucleari italiane, sono state inviate nell’impianto di ritrattamento di Sellafield in Gran Bretagna per estrarne uranio e plutonio. Ciò che rimane è un materiale altamente radioattivo a periodo di dimezzamento lunghissimo, ammontante a circa 600 tonnellate, che l’Italia deve provvedere a stoccare in condizioni di sicurezza.
La produzione mondiale di uranio alla fine del 2006 si è attestata a 39.603 tonnellate, incontrando solo il 60% della domanda globale per il funzionamento di reattori nucleari.
È il dato stimato dall’agenzia per l’energia nucleare Ocse nel suo rapporto biennale. Il fabbisogno mondiale di uranio annuale è pari a 66.500 tonnellate per i 435 reattori nucleari in funzione.
Il gap tra domanda e offerta di uranio viene colmato tramite fonti secondarie, come scorte governative e commerciali, smantellamento di armi nucleari o i processi di arricchimento. Si stima il raggiungimento del picco dell’uranio (cioè quando la domanda sarà maggiore dell’offerta) nel 2060, ma se il numero di impianti dovesse crescere la data si sposterebbe al 2040-2050, cioè nello stesso periodo in cui si può collocare il picco combinato di petrolio e metano.
Fonte articolo
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