29/07/09

Una giustizia ad uso e consumo - I casi De Magistris e Matteoli



Se il celebre illuminato Montesquieu osasse mettere piede nel nostro paese in questi giorni, farebbe difficoltà ad affermare che il suo principio di separazione dei poteri istituzionali, cardine di ogni sana democrazia, si trovi ad avere terreno fertile in Italia.

Le nemmeno poi tanto recenti storie di "esondazione" del potere politico a danno di quello giudiziario avrebbero già ridotto a monte ogni possibilità di giudizio positivo sulle istituzioni italiane. Ma i fatti degli ultimi giorni, sebbene meno noti, proprio per la loro palese "illegalità istituzionale" avrebbero procurato un infarto fulminante al buon filosofo francese.

I protagonisti sono due persone che mai nessuno avrebbe pensato di accomunare in uno stesso discorso: il ministro Altero Matteoli e il neo-eurodeputato Luigi De Magistris.

L'ex PM di Catanzaro ed ora eurodeputato per l'Italia dei Valori è una persona che in pochi potranno non conoscere. I dettagli della sua anomala vicenda sono forse meno noti ai più e la lezione che si può trarre dalla sua storia conflittuale con il potere politico italiano può assumere connotazioni profondamente differenti a seconda della natura "politica" del lettore che ne scopre la trama, ma una cosa è certa, obiettiva ed inconfutabile: la sua notorietà pubblica nasce dalla sua condizione di vittima della violazione della separazione dei poteri.
Si può pensare che il suo lavoro non sia stato gradito da una grossa fetta di rappresentanza politica (a partire dall'ex ministro Clemente Mastella) o che sia un burattino nelle mani "di una certa sinistra". In un modo o nell'altro, la sua "cacciata" è una diretta conseguenza di un pericoloso mix di poteri.

A mantenere saldo questo certo legame tra i due poteri in questione, quello legislativo e quello giudiziario, è ora lui stesso.
Il 19 marzo scorso, il giorno successivo all'annuncio ufficiale della sua candidatura all'europarlamento, annunciava la decisione irrevocabile di abbandonare per sempre la toga, eletto oppure no.
Oggi qualcosa è cambiato. Non ha presentato alcuna dimissione, ma ha fatto esplicita richiesta di "aspettativa". Richiesta accettata dal plenum del CSM che lo ha collocato in questa condizione di "sospensione a tempo" dal 14 luglio scorso.

Non riceve stipendio, contributi o scatti di anzianità. Il congelamento del suo ruolo di magistrato non gli attribuisce alcuna convenienza momentanea. Ma resta, di fatto, un magistrato. E al tempo stesso un politico.
Ieri ha confermato l'intenzione di dimettersi. Ma ha aggiunto che lo farà quando vorrà lui. Che non si farà condizionare da nessuno.
Il leader del partito per cui è stato candidato, dimessosi addirittura prima di ipotizzare anche soltanto la carriera politica, non è riuscito a fare una buona scuola questa volta.

Caso ben peggiore è quello che vede protagonista l'attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Altero Matteoli.
I fatti risalgono al 2003, quando Altero Matteoli, allora ministro dell'Ambiente, fu rinviato a giudizio con l'accusa di favoreggiamento e rivelazione di segreto d'ufficio, per aver avvertito il suo amico Vincenzo Gallitto, allora prefetto di Livorno, di un'indagine a suo carico per l'abuso edilizio noto con il nome "Mostro di Procchio", edificato a Marciana, nell'isola d'Elba.

L'indagine fu condotta dalla Procura di Genova, che raccolse numerose intercettazioni e svariati tabulati telefonici che andavano ad inchiodare il ministro Matteoli. Il fascicolo fu quindi trasferito per competenza territoriale alla procura di Livorno che, immediatamente, a sua volta, trasmise gli atti al Tribunale dei Ministri di Firenze, competente per la vicenda.
Quest'ultimo però determinò con chiarezza che il reato non rientrava nelle competenze "ministeriali" di Matteoli e restituì il faldone alla Procura di Livorno.
La Giunta della Camera, spinta da una precedente richiesta di annullamento del procedimento da parte dello stesso Matteoli nel 2005, ha sollevato un conflitto d'attribuzione di poteri, cui la Corte Costituzionale ha dato ragione lo scorso 7 luglio, constatando l'omissione da parte del Tribunale di Firenze di informare, come avrebbe dovuto fare, la Giunta per le Autorizzazioni della Camera, ma negando la richiesta di annullamento del procedimento, specificando che all'omissione era possibile porvi rimedio riapplicando la procedura corretta.

Una sentenza che non ha dato soddisfazione al ministro Matteoli, che ha quindi coinvolto la Giunta per le Autorizzazioni della Camera in un atto di una illegittimità spaventosa.
Ha chiesto alla Giunta di esprimere parere favorevole alla sua insindacabilità in quanto il reato contestato era una sua regolare prerogativa di ministro (informare amici indagati di accuse a loro carico), nonostante il Tribunale dei Ministri di Firenze abbia già stabilito il contrario.
Con un colpo di mano, senza che alla Giunta sia pervenuta alcuna autorizzazione a procedere da parte di una procura qualsiasi, necessaria per esprimere parere positivo o negativo sulla richiesta a procedere, contravvenendo alle procedure standard e al buon senso, ieri la Giunta per le Autorizzazioni a maggioranza ha stabilito che l'attuale Ministro e Senatore Matteoli è innocente, in quanto i fatti contestati "si configurano di carattere ministeriale e sono stati posti in essere per il perseguimento di un preminente interesse pubblico".

Avvisare un amico di un'indagine, violando il segreto istruttorio, è una prerogativa ministeriale. Ora non ci resta che sperare che nell'esecutivo non si sparga troppo la voce.

Fonte articolo

Stop al consumo di territorio
La Casta dei giornali
Firma la petizione per dire NO al NUCLEARE.

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