Si impadroniscono delle risorse naturali sempre più scarse attraverso la guerra delle armi o il danaro. La scomparsa delle popolazioni in via di sviluppo a loro non importa.
Lo sfruttamento delle terre coltivabili ha raggiunto il suo limite ma, non contenti, adesso distruggono le foreste. I cambiamenti climatici non garantiscono nessuna sicurezza alimentare per il futuro; i paesi industrializzati e dipendenti aspirano ad una crescita economica permanente e quindi allo sfruttamento irrazionale dell’ambiente; nel 2050, 3 miliardi di persone in più avranno bisogno di interventi di sostegno alimentare; il petrolio si esaurisce e le terre vengono occupate per la produzione di biocombustibili; i prezzi alimentari sono saliti provocando fame ed instabilità sociale.
Di fronte a questa prospettiva crepuscolare, la borghesia cerca la propria sicurezza. Il metodo chiamato agro-colonialismo consiste nel lanciarsi, a livello internazionale, in una valanga di acquisti di terreni appartenenti a popolazioni povere.[1] I loro governi e gli imprenditori legati alla corrotta borghesia locale acquistano queste terre oppure le prendono in affitto per lunghi periodi.
Bahrein, Omán, Qatar, Cina, Corea del Sud, Kuwait, Malesia, India, Svezia, Libia, Brasile, Russia ed Ucraina hanno comprato terre in Africa. Nel 2008 l’Arabia Saudita ha concordato con il governo della Tanzania l’affitto di 500.000 ettari per la produzione di riso e frumento, imprenditori del Kuwait hanno affittato terreni in Cambogia e il governo del Qatar ha creato una società agricola in Sudan insieme ai cittadini del luogo. Nello stesso anno, il Ghana, l’Etiopia, il Mali ed il Kenia hanno concesso loro in locazione milioni di ettari per la produzione agricola o di biocarburanti. In Sud America sono state vendute decine di migliaia di ettari in Argentina, Uruguay e Paraguay. Associazioni indiane stanno comprando intere piantagioni di palma da olio indonesiane e cercano in Uruguay, Paraguay e Brasile terre per coltivare lenticchie e soia.
Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca sulle Politiche Alimentari che ha sede a Washington DC, nei paesi poveri di Africa, Cambogia, Pakistan e Filippine sono stati ceduti tra i 15 e i 20 milioni di ettari di terreni coltivabili. Per quanto riguarda il denaro utilizzato non c’è chiarezza alcuna ma per avere un’idea è sufficiente pensare che in cinque paesi subsahariani, per la vendita o l’affitto di 2,5 milioni di ettari di terreno, negli ultimi anni sono stati spesi 920 miliardi di dollari.
Solo un sistema predatore di essere umani e di terre, insieme ai governi locali indifferenti al futuro delle loro popolazioni, può concepire l’idea che persone denutrite possano essere private delle loro terre a favore di paesi ricchi in cui l’obesità rappresenta un grave problema di salute.
La macchina di propaganda giustifica tale conquista coloniale affermando che si tratta di un’azione conveniente per entrambe le parti perché i paesi ricchi apportano tecnologie, capitale, affari e conoscenze. Nascondono che il problema della fame è cronico e, senza ombra di dubbio, nessuno ha mai apportato alcun contributo. Si parla anche del libero commercio, della necessità di concorrenza per sradicare i produttori inefficienti. Principi che non possono essere considerati validi nell’economia dei paesi industrializzati che sovvenzionano i propri agricoltori portando alla rovina quelli dei paesi più poveri.
In realtà gli investitori stranieri sanno perfettamente di pregiudicare gravemente gli sfruttati di sempre. Provocano danni alla terra con le coltivazioni intensive che rompono i ritmi naturali, esauriscono le riserve d’acqua sotterranee, inquinano con prodotti chimici. Sanno che i coltivatori locali saranno allontanati, che si truffano i piccoli proprietari con il pagamento delle loro terre, che le loro coltivazioni di biocarburanti significano minor quantità di prodotti locali e prezzi irraggiungibili. Sanno che il cambiamento di proprietà e l’occupazione hanno aumentato il tasso di suicidio degli agricoltori in paesi come Sri Lanka, Cina e Corea del Sud. In India tra il 1997 al 2007 si sono tolte la vita 182.936 persone. Non conosciamo la cifra in Africa.
I capitalisti si sono impadroniti del mondo. Il loro modo violento di farlo viene condannato ma le loro subdole tecniche di conquista attraverso l’acquisto della natura (petrolio, coltan, diamanti, rame, ferro)…sì, anche se significa privarci del nostro futuro.
La risposta popolare a tale privazione è indispensabile. Quando il Madagascar raggiunse l’accordo con la Daewoo Logistics per la concessione di 1,3 milioni di ettari di terreno per 99 anni e consentì la coltivazione ed esportazione di mais e di olio di palma alla Corea del Sud per 6 mila miliardi di dollari, gli agricoltori impedirono l’operazione fecendo cadere il governo.
L’Associazione degli Agricoltori Asiatici e la Lega Internazionale Panasiatica degli Agricoltori hanno realizzato, in dieci paesi del continente, una campagna il cui motto è: “fermiamo l’occupazione della terra! Lottiamo per una vera riforma agraria e per la sovranità alimentare dei popoli”.
E’ necessario conoscere il presente e i pericoli del futuro per intraprendere attraverso la lotta, l’unica via d’uscita possibile: il socialismo post capitalista solidale, sostenibile, programmato, di decrescita dei paesi industrializzati.
Nota: [1] Vedi Ama Binev http://www.rebelion.org/noticia.php?id=94638
Lo sfruttamento delle terre coltivabili ha raggiunto il suo limite ma, non contenti, adesso distruggono le foreste. I cambiamenti climatici non garantiscono nessuna sicurezza alimentare per il futuro; i paesi industrializzati e dipendenti aspirano ad una crescita economica permanente e quindi allo sfruttamento irrazionale dell’ambiente; nel 2050, 3 miliardi di persone in più avranno bisogno di interventi di sostegno alimentare; il petrolio si esaurisce e le terre vengono occupate per la produzione di biocombustibili; i prezzi alimentari sono saliti provocando fame ed instabilità sociale.
Di fronte a questa prospettiva crepuscolare, la borghesia cerca la propria sicurezza. Il metodo chiamato agro-colonialismo consiste nel lanciarsi, a livello internazionale, in una valanga di acquisti di terreni appartenenti a popolazioni povere.[1] I loro governi e gli imprenditori legati alla corrotta borghesia locale acquistano queste terre oppure le prendono in affitto per lunghi periodi.
Bahrein, Omán, Qatar, Cina, Corea del Sud, Kuwait, Malesia, India, Svezia, Libia, Brasile, Russia ed Ucraina hanno comprato terre in Africa. Nel 2008 l’Arabia Saudita ha concordato con il governo della Tanzania l’affitto di 500.000 ettari per la produzione di riso e frumento, imprenditori del Kuwait hanno affittato terreni in Cambogia e il governo del Qatar ha creato una società agricola in Sudan insieme ai cittadini del luogo. Nello stesso anno, il Ghana, l’Etiopia, il Mali ed il Kenia hanno concesso loro in locazione milioni di ettari per la produzione agricola o di biocarburanti. In Sud America sono state vendute decine di migliaia di ettari in Argentina, Uruguay e Paraguay. Associazioni indiane stanno comprando intere piantagioni di palma da olio indonesiane e cercano in Uruguay, Paraguay e Brasile terre per coltivare lenticchie e soia.
Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca sulle Politiche Alimentari che ha sede a Washington DC, nei paesi poveri di Africa, Cambogia, Pakistan e Filippine sono stati ceduti tra i 15 e i 20 milioni di ettari di terreni coltivabili. Per quanto riguarda il denaro utilizzato non c’è chiarezza alcuna ma per avere un’idea è sufficiente pensare che in cinque paesi subsahariani, per la vendita o l’affitto di 2,5 milioni di ettari di terreno, negli ultimi anni sono stati spesi 920 miliardi di dollari.
Solo un sistema predatore di essere umani e di terre, insieme ai governi locali indifferenti al futuro delle loro popolazioni, può concepire l’idea che persone denutrite possano essere private delle loro terre a favore di paesi ricchi in cui l’obesità rappresenta un grave problema di salute.
La macchina di propaganda giustifica tale conquista coloniale affermando che si tratta di un’azione conveniente per entrambe le parti perché i paesi ricchi apportano tecnologie, capitale, affari e conoscenze. Nascondono che il problema della fame è cronico e, senza ombra di dubbio, nessuno ha mai apportato alcun contributo. Si parla anche del libero commercio, della necessità di concorrenza per sradicare i produttori inefficienti. Principi che non possono essere considerati validi nell’economia dei paesi industrializzati che sovvenzionano i propri agricoltori portando alla rovina quelli dei paesi più poveri.
In realtà gli investitori stranieri sanno perfettamente di pregiudicare gravemente gli sfruttati di sempre. Provocano danni alla terra con le coltivazioni intensive che rompono i ritmi naturali, esauriscono le riserve d’acqua sotterranee, inquinano con prodotti chimici. Sanno che i coltivatori locali saranno allontanati, che si truffano i piccoli proprietari con il pagamento delle loro terre, che le loro coltivazioni di biocarburanti significano minor quantità di prodotti locali e prezzi irraggiungibili. Sanno che il cambiamento di proprietà e l’occupazione hanno aumentato il tasso di suicidio degli agricoltori in paesi come Sri Lanka, Cina e Corea del Sud. In India tra il 1997 al 2007 si sono tolte la vita 182.936 persone. Non conosciamo la cifra in Africa.
I capitalisti si sono impadroniti del mondo. Il loro modo violento di farlo viene condannato ma le loro subdole tecniche di conquista attraverso l’acquisto della natura (petrolio, coltan, diamanti, rame, ferro)…sì, anche se significa privarci del nostro futuro.
La risposta popolare a tale privazione è indispensabile. Quando il Madagascar raggiunse l’accordo con la Daewoo Logistics per la concessione di 1,3 milioni di ettari di terreno per 99 anni e consentì la coltivazione ed esportazione di mais e di olio di palma alla Corea del Sud per 6 mila miliardi di dollari, gli agricoltori impedirono l’operazione fecendo cadere il governo.
L’Associazione degli Agricoltori Asiatici e la Lega Internazionale Panasiatica degli Agricoltori hanno realizzato, in dieci paesi del continente, una campagna il cui motto è: “fermiamo l’occupazione della terra! Lottiamo per una vera riforma agraria e per la sovranità alimentare dei popoli”.
E’ necessario conoscere il presente e i pericoli del futuro per intraprendere attraverso la lotta, l’unica via d’uscita possibile: il socialismo post capitalista solidale, sostenibile, programmato, di decrescita dei paesi industrializzati.
Nota: [1] Vedi Ama Binev http://www.rebelion.org/noticia.php?id=94638
di RÓMULO PARDO SILVA
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SILVIA DAMMACCO
Fonte articolo
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