"La riforma non dovrà riguardare solo la seconda parte della Costituzione, ma anche la prima. A partire dall'articolo 1: stabilire che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro non significa assolutamente nulla".
Sono queste le ormai celebri parole usate dal Ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, per cavalcare quell'onda politica dall'imponente volume di 512 parlamentari che da parecchio tempo aspetta solo il momento giusto per abbattersi come un maremoto sui fogli dattiloscritti della Costituzione Italiana.
Se qualcuno pensava che la proposta di sostituire l'inutile parola "lavoro" con i vocaboli più appropriati e visionari quali "mercato", "concorrenza" e "merito" fosse l'ennesima trovata "brunettiana" dal respiro cortissimo, si dovrà ricredere profondamente.
A rafforzare la campagna governativa di "ammodernamento" della Costituzione è sceso ancora una volta in campo l'organo di stampa della famiglia Berlusconi, il Giornale, con un pezzo dal titolo fortemente espressivo: "Quell'articolo della Carta ispirato dall'ideologia sovietica".
Il suo autore Francesco Forte si lancia in un poco approfondito ma molto spregiudicato resoconto storico sulla nascita di quell'articolo 1 mai tanto discusso. A partire dalla condivisione a titolo personale della posizione ministeriale, Forte ricorda il presunto accordo tra Fanfani e Togliatti del 22 marzo 1947 per mezzo del quale il tentativo comunista di approvare la dicitura "Repubblica Democratica di lavoratori" (dal forte sapore "orientaleggiante") venne abbandonato per una più condivisa "fondata sul lavoro".
Questa "critica del compromesso" termina con l'attribuzione alla convergenza catto-comunista dei tanti guai di questo nostro paese, a partire dalla piaga dei presunti "privilegi" dei pubblici lavoratori su tutte le altre categorie sociali.
Eppure, nella sua attenta disamina, Forte dimentica, o finge di dimenticare, (e con lui moltissimi dietrologi della politica) che in quel 22 marzo 1947 la dicitura ancora vigente dell'articolo 1 della Costituzione targata Fanfani venne messa ai voti dopo la votazione sulla proposta togliattiana, immediatamente respinta con 12 voti di scarto.
Il PCI aveva già perso la sua battaglia sul "lavoro costituzionale". La proposta della DC e di Fanfani era, quindi, libera e scevra da ogni logica di compromesso.
Invece ciò che Forte e Brunetta ignorano senza ombra di dubbio è la reale storia di questo "insopportabile" primo articolo della Carta. La dicitura precedente a questa aggiunta ritenuta inutile, così tanto reclamata dal giornalista del Giornale e dall'esponente del PDL, aveva origine il 28 novembre 1946 nella Prima Sottocommissione per la Costituzione e recitava come segue:
"L'Italia è una Repubblica Democratica.
Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori alla organizzazione economica, sociale e politica del Paese".
Formulazione approvata con 12 voti favorevoli e 4 contrari.
Fu la formulazione della DC in aula nel 1947 a comportare l'abrogazione di questo secondo comma dal sapore ben più "rivoluzionario" di quanto si percepisca dalla lettura della Carta attuale. Se Fanfani non avesse aggiunto il concetto di "fondatezza costituzionale sul lavoro", questo sarebbe oggi il primo articolo della Costituzione Italiana.
E se la DC non avesse agito analogamente in altre occasioni di discussione in aula, rovesciando quanto stabilito a larghissima maggioranza nelle commissioni, oggi la nostra Costituzione sarebbe arricchita dal seguente articolo:
"La resistenza, individuale e collettiva, agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino".
La resistenza è diritto e dovere di ogni cittadino. Approvato con 10 voti favorevoli e solo 2 voti contrari. Era il 3 dicembre 1946.
Sono queste le ormai celebri parole usate dal Ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, per cavalcare quell'onda politica dall'imponente volume di 512 parlamentari che da parecchio tempo aspetta solo il momento giusto per abbattersi come un maremoto sui fogli dattiloscritti della Costituzione Italiana.
Se qualcuno pensava che la proposta di sostituire l'inutile parola "lavoro" con i vocaboli più appropriati e visionari quali "mercato", "concorrenza" e "merito" fosse l'ennesima trovata "brunettiana" dal respiro cortissimo, si dovrà ricredere profondamente.
A rafforzare la campagna governativa di "ammodernamento" della Costituzione è sceso ancora una volta in campo l'organo di stampa della famiglia Berlusconi, il Giornale, con un pezzo dal titolo fortemente espressivo: "Quell'articolo della Carta ispirato dall'ideologia sovietica".
Il suo autore Francesco Forte si lancia in un poco approfondito ma molto spregiudicato resoconto storico sulla nascita di quell'articolo 1 mai tanto discusso. A partire dalla condivisione a titolo personale della posizione ministeriale, Forte ricorda il presunto accordo tra Fanfani e Togliatti del 22 marzo 1947 per mezzo del quale il tentativo comunista di approvare la dicitura "Repubblica Democratica di lavoratori" (dal forte sapore "orientaleggiante") venne abbandonato per una più condivisa "fondata sul lavoro".
Questa "critica del compromesso" termina con l'attribuzione alla convergenza catto-comunista dei tanti guai di questo nostro paese, a partire dalla piaga dei presunti "privilegi" dei pubblici lavoratori su tutte le altre categorie sociali.
Eppure, nella sua attenta disamina, Forte dimentica, o finge di dimenticare, (e con lui moltissimi dietrologi della politica) che in quel 22 marzo 1947 la dicitura ancora vigente dell'articolo 1 della Costituzione targata Fanfani venne messa ai voti dopo la votazione sulla proposta togliattiana, immediatamente respinta con 12 voti di scarto.
Il PCI aveva già perso la sua battaglia sul "lavoro costituzionale". La proposta della DC e di Fanfani era, quindi, libera e scevra da ogni logica di compromesso.
Invece ciò che Forte e Brunetta ignorano senza ombra di dubbio è la reale storia di questo "insopportabile" primo articolo della Carta. La dicitura precedente a questa aggiunta ritenuta inutile, così tanto reclamata dal giornalista del Giornale e dall'esponente del PDL, aveva origine il 28 novembre 1946 nella Prima Sottocommissione per la Costituzione e recitava come segue:
"L'Italia è una Repubblica Democratica.
Essa ha per suo fondamento il lavoro e la partecipazione concreta di tutti i lavoratori alla organizzazione economica, sociale e politica del Paese".
Formulazione approvata con 12 voti favorevoli e 4 contrari.
Fu la formulazione della DC in aula nel 1947 a comportare l'abrogazione di questo secondo comma dal sapore ben più "rivoluzionario" di quanto si percepisca dalla lettura della Carta attuale. Se Fanfani non avesse aggiunto il concetto di "fondatezza costituzionale sul lavoro", questo sarebbe oggi il primo articolo della Costituzione Italiana.
E se la DC non avesse agito analogamente in altre occasioni di discussione in aula, rovesciando quanto stabilito a larghissima maggioranza nelle commissioni, oggi la nostra Costituzione sarebbe arricchita dal seguente articolo:
"La resistenza, individuale e collettiva, agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino".
La resistenza è diritto e dovere di ogni cittadino. Approvato con 10 voti favorevoli e solo 2 voti contrari. Era il 3 dicembre 1946.
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