04/01/10

Martino Morsello. Quando il pesce grande mangia il pesce piccolo



“Io ho paura delle Istituzioni perché quando devo combattere il mafioso, o il delinquente, lo denuncio e ho dalla mia parte le Istituzioni. Ma quando devo combattere, invece, contro le stesse Istituzioni non mi trovo dalla mia parte né i mafiosi e neanche le Istituzioni”. A parlare è Martino Morsello. Uno che della sua storia sta facendo una battaglia di legalità. Uno che si sente tradito dallo Stato. Da quello Stato a cui crede, e per il quale non ha avuto timore nel denunciare avvocati e magistrati. Una parabola, la sua, che inizia da lontano. Dal lontano 1992. Consigliere di maggioranza al suo Comune di residenza, Marsala, con il partito del Psi. Il giudice Paolo Borsellino, sei mesi prima di venire fatto saltare in aria in via D’Amelio insieme agli agenti della sua scorta, rilascia delle dichiarazioni pesanti sull’ente locale di cui è amministratore. “Infiltrazioni mafiose”, accusa. Lui non ci sta. Vuole vederci chiaro. Si mette contro i pesci grossi del suo stesso partito. Come Pietro Pizzo, già assessore regionale al Turismo. Il sospetto lo lacera dentro, e propone lo scioglimento del Comune. La sua proposta è forte. Nessuno sembra seguirlo. Ma alla fine viene accettata. L’Assemblea consiliare si autoscioglie. Da quel giorno lascia la politica e si dedica totalmente all’imprenditoria. Fonda una società, la Ittica Mediterranea, che produce venti milioni di avannotti all’anno. I pesci piccoli sono la sua passione. Ironia della sorte, però, non aveva messo in conto quelli “grossi”. Pensava di esserseli lasciati alle spalle, abbandonando la politica. Pensava.
Diventa uno dei maggiori imprenditori di pesce del Sud Europa con ben 120 dipendenti. Esporta in Croazia, in Slovenia, in Grecia e nel nord Europa. Nonostante il costo dell’energia elettrica, superiore di ben quattro volte ad altri paesi concorrenti nel Mediterraneo, il suo nome si fa largo nel mercato dell’acquacoltura. La sua forza è la quantità. Nell’anno 2000 qualcosa va storto nelle vasche di coltivazione dei pesci. E questi muoiono. La famiglia Morsello rischia il tracollo finanziario. I creditori aumentano. L’Enel gli stacca la luce per morosità. L’Ittica fa ricorso. I contatori non funzionavano granché. Sbagliavano il computo del consumo. Ma mai in difetto della società. Sempre a loro vantaggio. Imprecisioni, che poi la stessa Enel riconosce. Poi, quando altri pesci grossi vi erano già entrati nell’Ittica per mangiarsela del tutto.
I creditori, dunque, aumentano. Fra questi un avvocato del posto che ne propone il fallimento. Si chiama Francesco Trapani. Martino Morsello si mostra tranquillo. Sa che la sua azienda è garantita dalla legge 102 del 1992, che considera l’acquacoltura “a tutti gli effetti attività imprenditoriale agricola”. Non soggetta, quindi, al regime fallimentare di altri settori economici. Spingono anche le banche. L’Antonveneta matura interessi che raggiungono livelli usurai. Tutti si danno sotto all’Ittica. Si aspetta con ansia la decisione del Tribunale. Che arriva come un fulmine a ciel sereno. Fallimento. Quella legge viene derogata d’autorità. Come se non fosse mai esistita. Ma il peggio non è questo, è che il collegio dei giudici, presieduto da Benedetto Giaimo e Caterina Greco, relatore, ne affida la curatela fallimentare proprio a Francesco Trapani, che aveva proposto il fallimento per conto della Hendrix, una ditta di mangimi. Un avvocato con l’hobby degli affari. Sua zia ha sposato Pietro Alagna, il magnate del vino di Marsala. Suo padre, Nicola, è stato deputato tra le file di Forza Italia. Non certo un signor nessuno. Ma il legale si vuole fare strada da solo. Con le sue gambe.
Intorno all’azienda possiede insieme alla famiglia circa 50 ettari di terreno. Ci sono anche vitigni. Ma non producono granché. Il suo sogno, quindi, è creare un vasto complesso alberghiero turistico. L’Ittica Mediterranea per lui è un boccone prelibato. Il fallimento lo gestisce alla lettera. E fa di tutto per affondarla del tutto, l’Ittica. Costringendo Francesca Marino, che l’ha in gestione dalla pronuncia del Tribunale, a fallire a sua volta, obbligandola ad allevare il pesce senza rimborsarle le spese. Inviando i Nas sospettando l’uso di antibiotici. Non garantendo la giusta difesa contro i decreti ingiuntivi dell’Enel, che aveva pure riconosciuto i suoi errori. Marino si rivolge alla Procura di Marsala e di Palermo, al ministro della Giustizia per sostituire il custode cautelare. Ma invano. E Morsello si sente come un avannotto in bocca a pesci più grandi lui. Denuncia tutti, allora. Banche, giudici, curatore. Fa ricorso alla Corte d’Appello. E dopo tre anni viene giudicato inammissibile perché presentato “fuori termine”. La sua azienda subisce anche tre incendi dolosi. Fa lo sciopero della fame insieme alla moglie. Nessuna Istituzione gli tende una mano. E' da solo.
Oggi il Tribunale ha messo all’asta terreni e impianti dell’Ittica. Prezzo fissato 870 mila euro. Poi aggiornato a 1039 mila, in seguito alle denuncia del Morsello. Comunque poco più del valore dei pesci morti, lasciati morire per disperazione nel 2007. Poco più anche degli 800 mila euro che valgono gli 80 mila metri quadri vista mare a Triglia Scaletta di Petrosino, dove si trova l’azienda, quando ne sono voluti ben 7 milioni per costruirla.
La vendita è fissata per il prossimo 25 gennaio. Manca l’ultimo boccone e poi è fatta. Tuttavia, il signor Morsello non si dà per vinto. Spera nella Cassazione. Spera ancora in uno Stato di diritto. Dove a far da padrone non sono i pesci grossi, e nemmeno gli avannotti, ma la giustizia e la dignità umana.

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