L’uomo di Berlusconi è il presidente dell’istituto fiorentino dal 1990: un piccolo "sportello" al centro di grandi relazioni
È cominciato tutto qui, a Campi Bisenzio. L’inchiesta sul G8 ha radici nelle intercettazioni della Procura di Firenze sul progetto di Castello. A loro volta partite da un fascicolo su operazioni immobiliari, che fece tremare il piccolo comune dell’hinterland fiorentino, dove l’odore dei campi appena tagliati si confonde con quello della città. Non solo: il potere di Denis Verdini ha le basi nel Credito Cooperativo Fiorentino di Campi, di cui il coordinatore Pdl è presidente dal 1990. La banca che Denis in vent’anni ha fatto crescere dieci volte, portandola al centro del potere finanziario – ma anche politico – di Firenze e di mezza Italia. Ancora: a Campi Bisenzio si scorgono le tracce di quel legame tra il Pdl di Verdini e il Pd di cui a Firenze parlano tutti, ma nessuno ha le prove.
Per capire la parabola di Verdini è giusto partire da questo palazzo squadrato che sembra un condominio qualunque, non una banca. Sono le dieci di mattina, ecco i correntisti: gente comune, come Aldo con quelle mani grosse che tradiscono le giornate in cascina. Se entri ti ritrovi in uno stanzone, un po’ banca, un po’ caffè di paese: da una parte gli sportelli, dall’altra il bar dove i correntisti fanno colazione gratis. “Abbiamo paura per la nostra banchina”, la chiamano così i clienti, con affetto. Tutta gente del paese, come la maggior parte degli ottomila correntisti. Già, perché il Credito Cooperativo Fiorentino ha una tradizione: nato un secolo fa per iniziativa del parroco, per dare credito ai contadini cui le grandi banche sbattevano la porta in faccia. Una via di mezzo tra banca e confessionale.
Poi, nel 1990, arrivò il ciclone Verdini. “Da quando è diventato presidente il Credito ha cambiato faccia”, raccontano i dirigenti. Basta leggere i dati: prima c’era uno sportello, oggi sette, sparsi per la provincia. I clienti sono passati da mille a più di ottomila. I depositi sono volati a 519 milioni, il capitale sociale supera i 56 milioni. “Merito di Verdini”, non ha dubbi Marco Rocchi, vicepresidente della banca e avvocato di Denis. Un boom, ma qualcuno teme che la situazione possa sfuggire di mano. Fa un certo effetto aprire il giornale e trovare la tua banca in prima pagina: all’inizio sono stati i dieci milioni che l’istituto ha erogato alla Holding Brm di Riccardo Fusi (il grande amico di Verdini, accusato con lui di corruzione) e alla Edil-Invest della famiglia Bartolomei, che detenevano il 50 per cento ognuna del gruppo Btp (Baldassini-Tognozzi-Pontello), il colosso toscano del mattone.
Era il 14 ottobre 2008, le banche di mezzo mondo tremavano e il piccolo Credito Cooperativo offriva una somma pari a un quinto del suo patrimonio netto: “Un prestito normale, garantito da ipoteca. Il nostro patrimonio è molto maggiore”, garantisce Rocchi. Gli ispettori della Banca d’Italia che sono piombati nella sede del Credito Cooperativo si stanno occupando anche di questo. “Una visita prevista da tempo”, per Rocchi. Chissà, la domanda echeggia davanti al bancone del bar, vicino ai quadri di campi e vacche che tirano l’aratro. Un mondo che sta scomparendo.
Certo, la banca non punta più solo su coltivatori e artigiani. E i correntisti del paese sfogliano la cronaca con Marcello Dell’Utri avrebbe “consigliato” a Flavio Carboni di dirottare verso il Credito Cooperativo Fiorentino capitali degli imprenditori alla ricerca di “contatti” con i politici. Aldo il contadino e Carboni, difficile immaginare due mondi più distanti. Ma il Credito timonato da Verdini sa avvicinare gli opposti. Basta leggere la composizione del consiglio di amministrazione: accanto a Verdini e a Rocchi ecco il nome di Fabrizio Nucci. Lo stesso Nucci che secondo le visure camerali risulta essere stato socio di Verdini nelle sue società editrici e che è direttore del giornale locale Metropoli (con loro c’era anche Massimo Parisi, braccio destro di Verdini e oggi parlamentare del Pdl).
Lo stesso Nucci, confermano i dirigenti locali del Partito Democratico, che faceva parte del direttivo dei Ds locali e poi dell’assemblea Pd. Che ha diretto “Il ponte”, la pubblicazione del Pd locale. Niente di illecito, ma la conferma delle capacità di aggregazione di Denis e della sua banca. Bisogna venire a Campi Bisenzio per capire Verdini. Che tanti, anche tra questa gente con il cuore a sinistra, apprezzano. Ma qualcuno, come l’ex segretario dei Verdi Paolo Della Giovampaola (solo un’omonimia con il dirigente del ministero delle Infrastrutture arrestato), storce il naso: “La banca di Verdini ha sempre avuto rapporti stretti con le amministrazioni di centrosinistra. Dal 2000 al 2006 il Comune ha impegnato e in parte dato circa 90.000 euro a Nuova Toscana Editrice spa, di cui Fabrizio Nucci è socio con Verdini”.
E in paese c’è chi ricorda: “Alle ultime elezioni il candidato del Pd, Adriano Chini, ha preso più voti della sua coalizione, lo hanno votato anche da destra”. Le stesse cose che si sentono dire a Firenze dove il sistema Verdini collaudato a Campi è poi sbarcato. Ma oggi è giorno di consiglio di amministrazione. Denis dimentica gli impegni romani e torna sempre qui. Per la riunione e per ascoltare il paese che gli chiede udienza. Una bella soddisfazione, essere ricevuti dal braccio destro del Cavaliere.
È cominciato tutto qui, a Campi Bisenzio. L’inchiesta sul G8 ha radici nelle intercettazioni della Procura di Firenze sul progetto di Castello. A loro volta partite da un fascicolo su operazioni immobiliari, che fece tremare il piccolo comune dell’hinterland fiorentino, dove l’odore dei campi appena tagliati si confonde con quello della città. Non solo: il potere di Denis Verdini ha le basi nel Credito Cooperativo Fiorentino di Campi, di cui il coordinatore Pdl è presidente dal 1990. La banca che Denis in vent’anni ha fatto crescere dieci volte, portandola al centro del potere finanziario – ma anche politico – di Firenze e di mezza Italia. Ancora: a Campi Bisenzio si scorgono le tracce di quel legame tra il Pdl di Verdini e il Pd di cui a Firenze parlano tutti, ma nessuno ha le prove.
Per capire la parabola di Verdini è giusto partire da questo palazzo squadrato che sembra un condominio qualunque, non una banca. Sono le dieci di mattina, ecco i correntisti: gente comune, come Aldo con quelle mani grosse che tradiscono le giornate in cascina. Se entri ti ritrovi in uno stanzone, un po’ banca, un po’ caffè di paese: da una parte gli sportelli, dall’altra il bar dove i correntisti fanno colazione gratis. “Abbiamo paura per la nostra banchina”, la chiamano così i clienti, con affetto. Tutta gente del paese, come la maggior parte degli ottomila correntisti. Già, perché il Credito Cooperativo Fiorentino ha una tradizione: nato un secolo fa per iniziativa del parroco, per dare credito ai contadini cui le grandi banche sbattevano la porta in faccia. Una via di mezzo tra banca e confessionale.
Poi, nel 1990, arrivò il ciclone Verdini. “Da quando è diventato presidente il Credito ha cambiato faccia”, raccontano i dirigenti. Basta leggere i dati: prima c’era uno sportello, oggi sette, sparsi per la provincia. I clienti sono passati da mille a più di ottomila. I depositi sono volati a 519 milioni, il capitale sociale supera i 56 milioni. “Merito di Verdini”, non ha dubbi Marco Rocchi, vicepresidente della banca e avvocato di Denis. Un boom, ma qualcuno teme che la situazione possa sfuggire di mano. Fa un certo effetto aprire il giornale e trovare la tua banca in prima pagina: all’inizio sono stati i dieci milioni che l’istituto ha erogato alla Holding Brm di Riccardo Fusi (il grande amico di Verdini, accusato con lui di corruzione) e alla Edil-Invest della famiglia Bartolomei, che detenevano il 50 per cento ognuna del gruppo Btp (Baldassini-Tognozzi-Pontello), il colosso toscano del mattone.
Era il 14 ottobre 2008, le banche di mezzo mondo tremavano e il piccolo Credito Cooperativo offriva una somma pari a un quinto del suo patrimonio netto: “Un prestito normale, garantito da ipoteca. Il nostro patrimonio è molto maggiore”, garantisce Rocchi. Gli ispettori della Banca d’Italia che sono piombati nella sede del Credito Cooperativo si stanno occupando anche di questo. “Una visita prevista da tempo”, per Rocchi. Chissà, la domanda echeggia davanti al bancone del bar, vicino ai quadri di campi e vacche che tirano l’aratro. Un mondo che sta scomparendo.
Certo, la banca non punta più solo su coltivatori e artigiani. E i correntisti del paese sfogliano la cronaca con Marcello Dell’Utri avrebbe “consigliato” a Flavio Carboni di dirottare verso il Credito Cooperativo Fiorentino capitali degli imprenditori alla ricerca di “contatti” con i politici. Aldo il contadino e Carboni, difficile immaginare due mondi più distanti. Ma il Credito timonato da Verdini sa avvicinare gli opposti. Basta leggere la composizione del consiglio di amministrazione: accanto a Verdini e a Rocchi ecco il nome di Fabrizio Nucci. Lo stesso Nucci che secondo le visure camerali risulta essere stato socio di Verdini nelle sue società editrici e che è direttore del giornale locale Metropoli (con loro c’era anche Massimo Parisi, braccio destro di Verdini e oggi parlamentare del Pdl).
Lo stesso Nucci, confermano i dirigenti locali del Partito Democratico, che faceva parte del direttivo dei Ds locali e poi dell’assemblea Pd. Che ha diretto “Il ponte”, la pubblicazione del Pd locale. Niente di illecito, ma la conferma delle capacità di aggregazione di Denis e della sua banca. Bisogna venire a Campi Bisenzio per capire Verdini. Che tanti, anche tra questa gente con il cuore a sinistra, apprezzano. Ma qualcuno, come l’ex segretario dei Verdi Paolo Della Giovampaola (solo un’omonimia con il dirigente del ministero delle Infrastrutture arrestato), storce il naso: “La banca di Verdini ha sempre avuto rapporti stretti con le amministrazioni di centrosinistra. Dal 2000 al 2006 il Comune ha impegnato e in parte dato circa 90.000 euro a Nuova Toscana Editrice spa, di cui Fabrizio Nucci è socio con Verdini”.
E in paese c’è chi ricorda: “Alle ultime elezioni il candidato del Pd, Adriano Chini, ha preso più voti della sua coalizione, lo hanno votato anche da destra”. Le stesse cose che si sentono dire a Firenze dove il sistema Verdini collaudato a Campi è poi sbarcato. Ma oggi è giorno di consiglio di amministrazione. Denis dimentica gli impegni romani e torna sempre qui. Per la riunione e per ascoltare il paese che gli chiede udienza. Una bella soddisfazione, essere ricevuti dal braccio destro del Cavaliere.
Da il Fatto Quotidiano del 14 maggio
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