E' il 4 aprile 2005. In tarda serata, dopo una misteriosa attesa dell'esito sulle elezioni regionali durata ore, giungono i dati definitivi della competizione elettorale: 11 regioni su 13 finiscono nelle mani del centrosinistra. L'Unione raccoglie complessivamente il 52,1% delle preferenze, la Casa delle Libertà si arresta al 44,8%.
Mai fino ad allora il centrosinistra aveva superato la soglia del 50%. Mai il centrodestra aveva raggiunto percentuali di voto così basse.
Un anno più tardi, 9-10 aprile 2006, le elezioni politiche nazionali. Il dato nazionale è stravolto: il centrosinistra prevale alla Camera per appena 24 mila voti e perde al Senato di oltre 428 mila. Il resto, il governo Prodi e l'affaire Dini-Mastella, è storia nota.
Tra queste due date l'evento a cui molti assegnano il pesante ruolo di "sovvertitore dell'andamento elettorale politico nazionale": la vicenda giudiziaria dell'illecita scalata a BNL tentata da Unipol all'interno del più grosso scandalo finanziario denominato Bancopoli.
Il 27 dicembre 2005 "Il Giornale" pubblica in esclusiva le trascrizioni delle intercettazioni tra l'allora leader dei DS Piero Fassino e l'AD di Unipol Giovanni Consorte. E tra di esse, la celebre domanda del politico: "Allora, abbiamo una banca?". Altri stralci troveranno luce, sullo stesso quotidiano, nei giorni a seguire, fino al 2 gennaio.
L'intercettazione non era stata ancora depositata agli atti e nemmeno trascritta ad uso dei magistrati. Ma finisce sulla scrivania del direttore Maurizio Belpietro. E da lì nei tg e sui quotidiani di tutta Italia per oltre 4 mesi. Il bombardamento mediatico è in grado di distruggere l'immagine di un centrosinistra che sembra interessato quasi più alle scalate bancarie illecite che alle emergenze di un intero paese. Ed è questo ciò che accade.
Nel mese di ottobre 2009 la Procura di Milano, con oltre 4 anni di ritardo, giunge ad una possibile verità sull'intera vicenda, la storia di un nastro che potrebbe aver stravolto le preferenze elettorali di milioni di italiani.
Parla uno dei presunti protagonisti della vicenda, Fabrizio Favata, imprenditore milanese socio ed amico di Paolo Berlusconi. Racconta di quando viene contattato da Roberto Raffaelli, AD di Research Control System, azienda affittuaria alla procura di Milano degli strumenti per le intercettazioni. Illustra il suo ruolo di tramite tra il possessore illecito dei nastri segreti (Raffaelli) e il suo ex socio (Paolo Berlusconi). E riferisce del celebre incontro a Villa San Martino, dimora di Silvio Berlusconi, alla vigilia di Natale del 2005, durante il quale, seduti su candide poltrone e accanto ad un bianco albero di natale, Raffaelli e Favata consegnano il celebre nastro all'allora premier che riconoscerà la consistenza dell'inaspettato regalo natalizio con la frase "“Grazie, la mia famiglia vi sarà grata in eterno”.
Sulla vicenda indaga la Procura di Milano, che ad oggi ha incriminato per concorso in curruzione, rivelazione del segreto d'ufficio e accesso abusivo a sistema informatico il duo Favata-Raffaelli. Il primo è indagato, inoltre, per la ripetuta estorsione operata a danno dello stesso Raffaelli: minacciando di rivelare tutto ai giornali, si sarebbe fatto donaro ben 300 mila euro dal co-indagato.
Favata, nel 2007, in piena crisi economica personale, dapprima cerca la promessa ricompensa a Paolo Berlusconi, che si nega, poi comincia un personale giro delle sette chiese alla ricerca di possibili compratori di verità: Il Foglio, Panorama, L'Espresso, L'Unità.
Tra le due fasi, la richiesta di denaro all'avvocato del premier, Niccolò Ghedini, per mezzo del suo collaboratore, l'avvocato Piersilvio Cipollotti.
Il 21 dicembre 2009, dopo le confessioni di Favata, Ghedini viene chiamato a deporre in Procura. Si presenta rivelando non più di quanto già di pubblico dominio (Repubblica pubblicava un primo articolo esclusivo sulle rivelazioni di Favata il 10 dicembre) e, alla richiesta di fornire "sommarie informazioni" sulla vicenda in questione, decide di presentare, 8 giorni più tardi, una nota in cui nega di aver mai incontrato i due indagati. Ma non fa alcuna menzione alla vicenda del nastro.
Tra l'11 gennaio 2010 e l'8 febbraio 2010, viene richiesta la sua presenza in Procura in diverse occasioni (almeno 4 convocazioni ufficiali), che Niccolò Ghedini dribblerà sistematicamente, talvolta non adducendo alcuna motivazione.
In seguito all'ultimo rifiuto, 4 giorni fa il pm di Milano Massimo Meroni ha fatto formale richiesta alla Camera dei Deputati di autorizzazione alla misura dell'accompagnamento coattivo per mezzo della forza pubblica dell'Onorevole Niccolò Ghedini presso gli uffici dei magistrati inquirenti.
Questa mattina, la Camera dei Deputati ha reso pubblico il documento [PDF] della richiesta avanzata dalla Procura di Milano. Nella serata di ieri, Niccolò Ghedini diramava una nota in cui informa la stampa della decisione, non confermata, della Procura di ritirare la richiesta. Ed aggiungeva la propria disponibilità ufficiale a recarsi dagli inquirenti, ma a patto di non testimoniare sull'intera vicenda, in quanto protetta dal segreto professionale che lo lega ai fratelli Berlusconi, "potenziali indagati", come li definiva lo stesso Ghedini in una nota depositata in Procura l'8 febbraio scorso.
Eppure, l'incompatibilità a testimoniare addotta da Ghedini (art. 197 lettera d del codice di procedura penale), fa riferimento alle sole informazioni ottenute in fase investigativa ed è stata introdotta nell'ordinamento italiano nel 2003 con la legge 397 che garantisce per la prima volta ai difensori il diritto alle indagini, al pari delle Procure della Repubblica.
Allo stato attuale delle cose, Niccolò Ghedini conferma di possedere notizie sulle vicende del nastro incriminato, definisce curiosamente il premier "potenziale indagato" e rifiuta di comparire in qualità di teste presso gli uffici della Procura, adducendo inoltre motivazioni legali ritenute inconsistenti dai pubblici ministeri (deputati a giudicare, loro e solo loro, le ragioni di legittimo impedimento alla deposizione dei testimoni).
Il mistero delle presunte responsabilità di Silvio Berlusconi, Paolo Berlusconi e Niccolò Ghedini a proposito della ricettazione dei nastri oggi si lega ad un mistero ben più corposo: il numero di mancate udienze dell'onorevole Ghedini alle quali dovranno prepararsi i giudici di Milano in attesa di conoscere la realtà dei fatti.
Mai fino ad allora il centrosinistra aveva superato la soglia del 50%. Mai il centrodestra aveva raggiunto percentuali di voto così basse.
Un anno più tardi, 9-10 aprile 2006, le elezioni politiche nazionali. Il dato nazionale è stravolto: il centrosinistra prevale alla Camera per appena 24 mila voti e perde al Senato di oltre 428 mila. Il resto, il governo Prodi e l'affaire Dini-Mastella, è storia nota.
Tra queste due date l'evento a cui molti assegnano il pesante ruolo di "sovvertitore dell'andamento elettorale politico nazionale": la vicenda giudiziaria dell'illecita scalata a BNL tentata da Unipol all'interno del più grosso scandalo finanziario denominato Bancopoli.
Il 27 dicembre 2005 "Il Giornale" pubblica in esclusiva le trascrizioni delle intercettazioni tra l'allora leader dei DS Piero Fassino e l'AD di Unipol Giovanni Consorte. E tra di esse, la celebre domanda del politico: "Allora, abbiamo una banca?". Altri stralci troveranno luce, sullo stesso quotidiano, nei giorni a seguire, fino al 2 gennaio.
L'intercettazione non era stata ancora depositata agli atti e nemmeno trascritta ad uso dei magistrati. Ma finisce sulla scrivania del direttore Maurizio Belpietro. E da lì nei tg e sui quotidiani di tutta Italia per oltre 4 mesi. Il bombardamento mediatico è in grado di distruggere l'immagine di un centrosinistra che sembra interessato quasi più alle scalate bancarie illecite che alle emergenze di un intero paese. Ed è questo ciò che accade.
Nel mese di ottobre 2009 la Procura di Milano, con oltre 4 anni di ritardo, giunge ad una possibile verità sull'intera vicenda, la storia di un nastro che potrebbe aver stravolto le preferenze elettorali di milioni di italiani.
Parla uno dei presunti protagonisti della vicenda, Fabrizio Favata, imprenditore milanese socio ed amico di Paolo Berlusconi. Racconta di quando viene contattato da Roberto Raffaelli, AD di Research Control System, azienda affittuaria alla procura di Milano degli strumenti per le intercettazioni. Illustra il suo ruolo di tramite tra il possessore illecito dei nastri segreti (Raffaelli) e il suo ex socio (Paolo Berlusconi). E riferisce del celebre incontro a Villa San Martino, dimora di Silvio Berlusconi, alla vigilia di Natale del 2005, durante il quale, seduti su candide poltrone e accanto ad un bianco albero di natale, Raffaelli e Favata consegnano il celebre nastro all'allora premier che riconoscerà la consistenza dell'inaspettato regalo natalizio con la frase "“Grazie, la mia famiglia vi sarà grata in eterno”.
Sulla vicenda indaga la Procura di Milano, che ad oggi ha incriminato per concorso in curruzione, rivelazione del segreto d'ufficio e accesso abusivo a sistema informatico il duo Favata-Raffaelli. Il primo è indagato, inoltre, per la ripetuta estorsione operata a danno dello stesso Raffaelli: minacciando di rivelare tutto ai giornali, si sarebbe fatto donaro ben 300 mila euro dal co-indagato.
Favata, nel 2007, in piena crisi economica personale, dapprima cerca la promessa ricompensa a Paolo Berlusconi, che si nega, poi comincia un personale giro delle sette chiese alla ricerca di possibili compratori di verità: Il Foglio, Panorama, L'Espresso, L'Unità.
Tra le due fasi, la richiesta di denaro all'avvocato del premier, Niccolò Ghedini, per mezzo del suo collaboratore, l'avvocato Piersilvio Cipollotti.
Il 21 dicembre 2009, dopo le confessioni di Favata, Ghedini viene chiamato a deporre in Procura. Si presenta rivelando non più di quanto già di pubblico dominio (Repubblica pubblicava un primo articolo esclusivo sulle rivelazioni di Favata il 10 dicembre) e, alla richiesta di fornire "sommarie informazioni" sulla vicenda in questione, decide di presentare, 8 giorni più tardi, una nota in cui nega di aver mai incontrato i due indagati. Ma non fa alcuna menzione alla vicenda del nastro.
Tra l'11 gennaio 2010 e l'8 febbraio 2010, viene richiesta la sua presenza in Procura in diverse occasioni (almeno 4 convocazioni ufficiali), che Niccolò Ghedini dribblerà sistematicamente, talvolta non adducendo alcuna motivazione.
In seguito all'ultimo rifiuto, 4 giorni fa il pm di Milano Massimo Meroni ha fatto formale richiesta alla Camera dei Deputati di autorizzazione alla misura dell'accompagnamento coattivo per mezzo della forza pubblica dell'Onorevole Niccolò Ghedini presso gli uffici dei magistrati inquirenti.
Questa mattina, la Camera dei Deputati ha reso pubblico il documento [PDF] della richiesta avanzata dalla Procura di Milano. Nella serata di ieri, Niccolò Ghedini diramava una nota in cui informa la stampa della decisione, non confermata, della Procura di ritirare la richiesta. Ed aggiungeva la propria disponibilità ufficiale a recarsi dagli inquirenti, ma a patto di non testimoniare sull'intera vicenda, in quanto protetta dal segreto professionale che lo lega ai fratelli Berlusconi, "potenziali indagati", come li definiva lo stesso Ghedini in una nota depositata in Procura l'8 febbraio scorso.
Eppure, l'incompatibilità a testimoniare addotta da Ghedini (art. 197 lettera d del codice di procedura penale), fa riferimento alle sole informazioni ottenute in fase investigativa ed è stata introdotta nell'ordinamento italiano nel 2003 con la legge 397 che garantisce per la prima volta ai difensori il diritto alle indagini, al pari delle Procure della Repubblica.
Allo stato attuale delle cose, Niccolò Ghedini conferma di possedere notizie sulle vicende del nastro incriminato, definisce curiosamente il premier "potenziale indagato" e rifiuta di comparire in qualità di teste presso gli uffici della Procura, adducendo inoltre motivazioni legali ritenute inconsistenti dai pubblici ministeri (deputati a giudicare, loro e solo loro, le ragioni di legittimo impedimento alla deposizione dei testimoni).
Il mistero delle presunte responsabilità di Silvio Berlusconi, Paolo Berlusconi e Niccolò Ghedini a proposito della ricettazione dei nastri oggi si lega ad un mistero ben più corposo: il numero di mancate udienze dell'onorevole Ghedini alle quali dovranno prepararsi i giudici di Milano in attesa di conoscere la realtà dei fatti.
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