18/06/10

Pomigliano: silenzio sull’essenziale


Abbiamo scelto un insieme di lavoratori con un’immagine francamente indifendibile per iniziare a introdurre deroghe altrimenti impresentabili, o perlomeno allarmanti, a diritti fondamentali e indisponibili. Questa è ingegneria sociale. Ma è anche solo l’inizio di un processo epocale.

L’immagine dei dipendenti Fiat di Pomigliano, vera o falsa che sia, è appunto pessima, indecente, indifendibile: decenni di impudente assenteismo, di finte malattie e finti certificati medici, record di improduttività, irresponsabilità e doppiolavorismo in malattia, infortunio e cassa integrazione.

Abbiamo detto a loro e a tutti: adesso siamo globalizzati e in recessione, voi state in competizione di libero mercato anche coi metalmeccanici cinesi; il capitale va dove le condizioni gli sono più favorevoli: è il libero mercato, il bene di tutti; se rinunciate a diritti economici sindacali e costituzionali con un libero referendum, allora investiamo i nostri soldi qui in Campania e vi diamo un reddito, altrimenti andiamo altrove. Vedete voi.

La maggioranza dei sindacalisti e dei politici, e gli economisti di governo, approvano dichiarando che è una scelta dura ma positiva e realistica, intelligente, da prendere ad esempio, giustificata dalla necessità di attrarre investimenti, invertire la delocalizzazione e mantenere i posti di lavoro.

La FIOM e pochi altri rifiutano dichiarando che è un ricatto con la minaccia della fame, e che su diritti fondamentali e costituzionali non si deve transigere; confidano che i giudici invalideranno le clausole che derogano ad essi. Vi è chi ricorda che, come diceva Karl Marx, l’interesse e la tendenza obiettivi del capitalismo sono a massimizzare i profitti minimizzando i costi, quindi anche i salari, fino al livello di sussistenza e riproduzione della forza lavoro. Io però direi fino al semplice livello di sussistenza, perché oggi la forza lavoro si trova già riprodotta gratis nel Terzo Mondo, a josa. Basta lasciarla entrare, e arriva persino a proprie spese. I costi sociali si scaricano sulla collettività.

Ambo i fronti hanno in parte torto, in parte ragione.

Ma entrambi mentono, anzi osservano il silenzio sull’essenziale, sulla vera causa del decadimento industriale occidentale. Ossia sui seguenti fatti:

La competizione dei salariati italiani con quelli cinesi, anzi dell’Italia e dell’Occidente con la Cina, non è solo e non è tanto sui salari e sugli altri diritti del lavoratore, quanto e soprattutto sul fatto che in Italia, USA, Germania, Giappone etc. la spesa pubblica avviene mediante indebitamento dello Stato, e in Cina no.

E che quindi la Cina, diversamente da noi, può finanziare lo sviluppo senza debito.

E lo sviluppo senza debito è anche senza inflazione, perché:
a) il debito genera interessi passivi e tasse, che sono costi di produzione, quindi vanno a rincarare i prodotti e i servizi;
b) la spesa pubblica senza debito, aumentando le infrastrutture, quindi la produttività e la produzione, cioè l’offerta di beni e servizi, si tiene basso il loro prezzo anche se aumenta la domanda a seguito dell’aumento di liquidità;
c) lo Stato, creando e immettendo moneta nella società, dà a questa (imprese e cittadini) il denaro per pagare gli interessi sui crediti che ottengono.

Per contro, i paesi che non adottano questo sistema monetario, o uno simile – America, Giappone ed Europa in primis – hanno i grafici dell’indebitamento (pubblico e privato) in ascesa costante e sempre più rapida, e ricorrenti crisi di insolvenza. Si ammette oramai pubblicamente che non potranno mai pagare i loro debiti sovrani. La loro massa monetaria è, infatti, interamente generata dal sistema bancario mediante creazione di debito di pari importo capitale e gravato di interesse composto, che determina appunto e automaticamente l’ascesa inevitabile e sempre più rapida dell’indebitamento e del costo del servizio del debito, cioè il drenaggio degli interessi passivi sui margini di profitto, fino a renderli negativi, come già avviene in molti settori produttivi, che hanno quindi chiuso o stanno chiudendo. Oramai circa la metà dei costi di produzione è costituita da costi finanziari, diretti e indiretti – molto più dei costi del lavoro, soprattutto nelle produzioni a media e altra tecnologia. Anche la Germania, entrata nell’Euro, è lontana dal modello renano di sviluppo, coi tassi intorno all’1%. Quindi le nuove tecnologie, sostenute da maggiore disciplina, potranno sì, anche a Pomigliano, dare un recupero di produttività quindi competitività, ma sarà un fuoco di paglia: la curva esponenziale del costo del debito lo riassorbirà prestissimo.

E su tutto ciò le manovre e i tagli e i sacrifici non hanno influenza perché non toccano il meccanismo di fondo, che è quello della moneta-debito. E’ come gettare a mare i mobili del Titanic che sta affondando perché ha la chiglia squarciata.

E vi è di più: la Cina non ha bisogno di adattarsi alle avide condizionalità del FMI e dei capitalisti sovrannazionali per attrarre capitali di investimento al fine di sviluppare la propria economia, dato che può generare la liquidità in proprio e senza debito e finanziare da sé lo sviluppo.

E ciò vale non solo per la concorrenza tra imprese e lavoratori cinesi e occidentali, ma anche per la concorrenza tra Cina e altri Stati, in fatto di creazione di infrastrutture di supporto all’economia.

Inoltre, non avendo bisogno di emettere titoli di debito pubblico per finanziare la propria spesa pubblica, la Cina non è esposta agli attacchi speculativi della finanza internazionale, tipo short selling, sul proprio debito pubblico; quindi non può essere depredata né ricattata come la Grecia o l’Italia. Anzi, poiché il governo ritira la valuta straniera ricevuta in pagamento dagli esportatori cinesi cambiandola contro la valuta nazionale, esso può usare la valuta straniera per comperare bonds americani, europei etc. in quantità tali, da acquisire un potere di destabilizzazione e condizionamento su quei medesimi paesi.

Se non adotta il sistema monetario cinese, che libera la spesa pubblica dall’indebitamento, e che affranca dal capitale straniero (spesso di rapina), l’Italia, anzi l’Occidente, va semplicemente a fondo, anno dopo anno. Punto e fine.

Queste cose non le dice la FIOM né gli altri sindacati, non le dice Tremonti né Trichet, non le dice Berlusconi né la Marcegaglia, né (quasi dimenticavo) il Bersani. Silenzio sull’essenziale. Anzi, tutti collaborano nel nasconderle all’opinione pubblica, agli imprenditori, ai lavoratori. Collaborano, pur con le loro divergenze di superficie, a costruire e confermare, nella gente, l’idea ingannevole che si tratti solo di un problema di concorrenza, di costi del lavoro, e che le variabili, le leve, su cui si può agire siano quelle dei tagli, dei sacrifici, delle rinunce – nella spesa pubblica e nei diritti di lavoratori, risparmiatori, contribuenti. Quindi occorrono, e bastano, ragionevolezza e sopportazione, per uscire dalla crisi (quella che già ieri era superata, naturalmente). Del resto, quelle inutili leve sono le uniche di cui i governi dispongano, visto che le leve che contano, quelle monetarie, sono saldamente in mani bancarie private, come le banche centrali. Tanto saldamente, che i politici non ardiscono nemmeno parlarne. Solo Tremonti ha fatto accenni a questi temi.

Dato che sacrifici, tagli e rinunce non possono avere, non hanno mai avuto, né mai avranno, alcun effetto sulla causa reale e diretta del problema, essi vengono, oramai da almeno 15 anni, continuamente rinnovate, perché sempre ci si accorge, pochi mesi dopo, che sono insufficienti.

Quindi i tagli dei diritti sindacali e costituzionali dei lavoratori di Pomigliano sono solamente l’inizio. I tagli si allargheranno e si espanderanno via via che la curva del debito e conseguentemente degli interessi e della non-redditività delle imprese si impennerà nel suo andamento esponenziale. Oggi li facciamo rinunciare a certi diritti di sciopero e di retribuzione in malattia come condizione per dargli una misera paga, domani li faremo rinunciare a tutele contro infortuni e malattie professionali per conservare il diritto alla pensione; dopodomani, a parte del pagamento in denaro se vogliono avere alloggio e servizi pubblici “liberalizzati”. Poi toccherà alla generalità dei cittadini, ai diritti civili e politici, iniziando con la privacy.

Per paesi sottoposti alla moneta-debito e alla sovranità monetaria privata delle banche, il peggioramento delle condizioni di vita e di diritti, nella competizione con paesi dotati di un sistema monetario come quello cinese, che sgancia la spesa pubblica dall’indebitamento. Proseguirà senza limiti e recuperi. E’ come partecipare a una maratona tenendo le gambe nel sacco, con uno che ti bastona perché ti devi sforzare di più.

Taglio dopo taglio, perciò si arriva, inevitabilmente, alle tensioni sociali in popolazioni che vengono rapidamente impoverite e alla necessità di gestirle con nuovi strumenti di polizia, di sorveglianza, di tutela dell’ordine pubblico e di law enforcement, ossia di imposizione della “legge”. A questo fine sono state rese disponibili e vengono introdotte molte nuove tecnologie di monitoraggio, di tracciamento, di ispezione (vedi, da ultimo, Maroni che pare voglia introdurre il bodyscan anche nelle stazioni ferroviarie). Vengono altresì derogate o abrogate norme che proibiscono l’uso delle forze armate sul territorio nazionale in funzione di ordine pubblico contro le proteste della popolazione (vedi l’abrogazione del Posse Comitatus negli USA, l’uso dell’esercito contro i cittadini che si opponevano alla lottizzazione privata di aree della Louisiana colpite dall’uragano Katrina, l’impiego dei mercenari contractors della Blackwater Corp. verso popolazioni civili). Le stesse agitazioni sociali creano le condizioni politiche per imporre tali misure.

Certo, render noti questi fatti alla popolazione la renderebbe inutilmente ingovernabile, il che sarebbe ancora peggio, quindi non lo si fa. Sappiano però FIOM, Marcegaglia, Tremonti, Trichet, Bersani, Berlusconi, Draghi e compagni, che alcuni osservatori, pur comprendendo le loro ragioni, non bevono il loro catechismo economico per ragionevoli pappagalli.

di Marco Della Luna

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