IMPEGNI EUROPEI PER SKY
Nel 2003 la Commissione europea approvò l’acquisizione di Tele+ e Stream da parte di NewsCorp, con la creazione di un unico operatore, Sky, nel segmento della televisione a pagamento in Italia, ponendo tuttavia una serie di paletti che permettessero negli anni uno sviluppo della concorrenza. A Sky veniva proibito di acquisire in esclusiva contenuti, come gli incontri sportivi o i film, per piattaforme tecnologiche diverse da quella satellitare, in modo da evitare una chiusura del mercato a operatori che agissero ad esempio nel digitale terrestre o via Internet privandoli dei programmi più richiesti. Veniva imposto inoltre a Sky un duplice obbligo di accesso: in primo luogo alle proprie infrastrutture di trasmissione satellitare, i cui servizi dovevano essere ceduti a operatori che desiderassero trasmettere i propri contenuti raggiungendo i clienti Sky, come ad esempio ha fatto da Conto TV. In secondo luogo, Sky doveva cedere i propri contenuti premium ad altri operatori televisivi che trasmettessero su piattaforme diverse dal satellite e che desiderassero inserire nel proprio pacchetto di canali anche quelli di Sky, strada percorsa da Fastweb.
Con questi obblighi, quindi, la Commissione europea imponeva a Sky una serie di provvedimenti che consentissero ad altri operatori televisivi di utilizzare la piattaforma satellitare per trasmettere propri programmi o di utilizzare i contenuti Sky per trasmetterli sulle proprie piattaforme tecnologiche alternative. Limitava così le possibilità di esercitare un considerevole potere di mercato sfruttando la propria posizione di forza sulla piattaforma satellitare e sui contenuti premium acquisiti. Questi impegni, estesi a tutto il 2011, rimangono operanti.
IL DECOLLO DEL DIGITALE
La decisione del 2003, inoltre, imponeva a Sky, sempre con scadenza al dicembre 2011, forti vincoli a una presenza nel segmento del digitale terrestre, principale piattaforma tecnologica alternativa al satellite. Vincoli nei confronti del pubblico finale, impedendo a Sky la vendita di servizi di televisione a pagamento sul digitale terrestre, e vincoli infrastrutturali, impedendo a Sky di costruire una rete di ripetitori per il digitale terrestre e di acquisire le frequenze necessarie alla trasmissione dei programmi.
In questi anni, il digitale terrestre si è sviluppato più rapidamente di quanto probabilmente si immaginava all’inizio del decennio, anche per una strategia attiva di Mediaset nell’ambito dei servizi a pagamento (i canali premium e le carte prepagate) e di Rai in quelli in chiaro, oltre che per i generosi contributi statali all’acquisto del decoder digitale, censurati recentemente dalla Commissione come improprio aiuto di Stato. Inoltre, la migrazione dalla trasmissione analogica a quella digitale ha permesso di liberare frequenze, il cosiddetto dividendo digitale, che possono essere messe a disposizione di altri operatori. L’Autorità di garanzia per le comunicazioni ha quindi deciso di promuovere una gara per l’assegnazione di nuovi multiplex, i pacchetti di canali digitali, prima del dicembre 2011 e con un obbligo a quanti si aggiudicassero le frequenze a non rivenderle ad altri per cinque anni. Nei fatti, l'iniziativa impediva a Sky, per gli impegni europei, di partecipare alla gara per le frequenze digitali e la tagliava fuori anche negli anni successivi dal segmento digitale.
La Commissione ha valutato l’evoluzione del mercato televisivo italiano e ha stabilito di rimuovere uno degli impegni, consentendo a Sky di partecipare alla gara per l’assegnazione delle frequenze digitali, pur mantenendo il vincolo di trasmettere solamente contenuti distribuiti gratuitamente. In questo modo, il segmento pay del digitale terrestre, su cui Mediaset vanta una posizione di forza, viene protetto per cinque anni dalla competizione dei servizi a pagamento di Sky, che potrà offrire i suoi pacchetti a pagamento solamente sul satellite. Mentre il segmento della televisione generalista vede la possibile entrata di un nuovo soggetto forte come Sky, che forse riuscirà a rompere la situazione di quiete collusiva che oggi caratterizza il cosiddetto (finto) duopolio Raiset.
Le decisioni della Commissione mantengono quindi la possibilità di entrata per altri operatori che volessero usufruire delle infrastrutture satellitari o dei contenuti di Sky, protegge per alcuni anni un operatore pay (Mediaset) che in termini di fatturato è ancora molto indietro rispetto agli introiti di Sky, pur potendo vantare oltre 4 milioni di carte prepagate, e introduce nuova concorrenza nel segmento della televisione generalista in chiaro, oggi paralizzato dal patto di non belligeranza tra Mediaset e Rai. Un provvedimento quindi equilibrato e capace di introdurre qualche stimolo concorrenziale nel panorama televisivo italiano.
Colpisce quindi l’incredibile attivismo del viceministro Paolo Romani con delega alle Comunicazioni, che in questi mesi si è speso a Bruxelles come un vero e proprio lobbista di Mediaset e che ha evidentemente immaginato di presiedere una sezione staccata del ministero dello Sviluppo economico con sede a Cologno Monzese. Per fortuna, fuori dai patri confini, lo smaccato conflitto di interesse italiano è ancora capace di suscitare reazioni di ripulsa.
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