28/07/10

Pasta, tra spot e truffe è addio al made in Italy

IL CASO. Cala il prezzo del grano, ma aumenta quello di produzione. Molte aziende sono costrette a chiudere. E gli oltre 1,5 milioni di tonnellate consumati ogni anno parleranno sempre più messicano, turco e canadese.

E' tempo di mietitura del grano e numerose imprese agricole, invece di veder ricompensate le fatiche di mesi di lavoro, rischiano di chiudere. 474.000 sono le aziende perse dall’agricoltura negli anni dal 2000 al 2007, un quinto del totale censito. Non è difficile da credere visto che i prezzi pagati agli agricoltori sono in costante diminuzione da anni. Basti pensare che il prezzo per un quintale di grano è arrivato a 13-15 euro, contro i 25 di vent’anni fa. Come conferma il rapporto Ismea 2008 sulla filiera del grano, la redditività della coltivazione del frumento duro ha mostrato negli ultimi anni un andamento altalenante, diretta conseguenza dell’estrema volatilità dei prezzi all’origine, a fronte di costi di produzione costantemente in crescita. «Siamo arrivati al punto che andrebbe bene il commercio equo e solidale per i nostri contadini», ha scritto Carlo Petrini in un articolo di qualche giorno fa.

«Secondo dati ufficiali, nel 2009 i prezzi all’ingrosso sono diminuiti rispetto all’anno precedente del 71% per le carote, del 53 per le pesche, del 30 il grano, del 30 il latte, del 19 l’uva e il trend quest’anno non sembra migliorare, anzi». Cala il grano dunque, e la pasta? Al di là della diminuzione rilevata dall’Istat dell’1,2% rispetto all’anno precedente, il prezzo medio di un chilo di pasta varia da 1,39 euro di Napoli a 1,70€ della capitale a 1,91 di Milano. Pochi centesimi pagati agli agricoltori diventano, nel passaggio dal campo alla tavola, euro al consumo. Questo enorme divario ha portato ad un crollo delle semine di grano duro destinato alla produzione di pasta, a fronte di consumi stabili, con un consumo medio pro capite di 26 chili, tre volte tanto quello di un francese o di uno statunitense. Altro che made in Italy. Di questo passo gli oltre 1,5 milioni di tonnellate di pasta consumati ogni anno “parleranno” sempre più messicano, turco, canadese. Senza che il consumatore ne sia informato. Secondo Coldiretti infatti, oltre un miliardo di chili di pasta “italiana” vengono prodotti con grano extracomunitario senza alcuna indicazione in etichetta. E questo non per irregolarità o inadempienza da parte dei produttori, ma perché ad oggi l’obbligo di indicare il luogo di provenienza riguarda solo alcune tipologie di alimenti (nello specifico: carne bovina, pollame, pesce, uova, latte fresco, frutta e verdura fresche, miele, passata di pomodoro, extravergine di oliva). Non vi è invece alcun obbligo per pasta, pane, formaggi, carne di maiale e salumi, e altri alimenti ancora.

Il risultato è che oltre un terzo della pasta è prodotto con grano che non è stato coltivato nel nostro paese; due prosciutti su tre venduti come italiani hanno all’origine maiali allevati all’estero, la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate straniere, come ha confermato il recente caso della mozzarella blu. Questi sono i dati, allarmanti, che emergono dalle indagini di Coldiretti, promotrice della Giornata Nazionale dell’Anticontraffazione e impegnata nei giorni scorsi, ai valichi di frontiera e ai porti, per riportare l’attenzione sul tema. Remunerazioni in caduta libera, mancanza di tutela nella riconoscibilità del prodotto italiano, concorrenza “sleale” da parte di prodotti esteri spacciati come italiani: non c’è da stupirsi che sempre più aziende siano costrette a chiudere. Di questo passo, insieme ai contadini, sparirà anche il made in Italy: non basteranno infatti prodotti industriali imbellettati con immagini suadenti del nostro amato Belpaese a sostituire prodotti tipici frutto di tecniche, tradizioni e territori unici e inimitabili.

di Camilla Minarelli

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