“Reato” e Peccato”: quale la differenza?
Nel 1764, nell’opera “Dei delitti e delle pene”, il giurista e filosofo milanese Cesare Beccaria declarò una distinzione temeraria per l’epoca: quella tra “peccato” e “reato” (ragion per cui l’opera fu destinata ad essere iscritta nell’indice dei "libri proibiti").
Sulla scia del pensiero precursore di Thomas Hobbes (che già un secolo prima dichiarava che “se i reati son peccati… non tutti i peccati son reati”!), l'illuminista Beccaria sostené che:
- mentre il “reato” consisterebbe in un danno arrecato all'intera collettività, tale per cui il responsbaile di tale atto meriterebbe di essere giudicato dalla Società nei modi e nelle forme dalla stessa stabiliti (diremmo oggi, dalla Giustizia ordinaria);
- il “peccato”, invece, non sarebbe altro che un’offesa arrecata a Dio, ragion per cui il suo autore meriterebbe (almeno per chi è credente) di essere giudicato (punito o perdonato) solo da Dio.
Cosa comporta tale distinzione?
Inevitabile conseguenza della distinzione logica tra "reato" e "peccato" dovrebbe essere la seguente:
- mentre il Diritto (la “legge positiva” o degli uomini) dovrebbe occuparsi solo dei reati (della configurazione giuridica della fattispecie e della previsione di una apposita sanzione per gli autori di reato);
- la Religione (la “legge divina” o di Dio), invece, dovrebbe occuparsi solo dei peccati (ossia prescrivere esclusivamente alla Comunità dei propri fedeli dei canoni etico-morali di comportamento, prefigurando l'eventuale punizione divina nel caso della loro trasgressione).
Perché in tale distinzione trova fondamento la “laicità dello stato” ?
Presupposto di ogni ordinamento giuridico “laico” è proprio la capacità del legislatore di saper “tener distinti” la sfera religiosa da quella civile.
Un esempio può facilmente dimostrarlo:
- mentre i regimi teocratici islamici esprimono al meglio l'incapacità di separare il “peccato” dal “reato”, riconoscendo ancor oggi la “sharia” (ossia la legge divina islamica) come legge principale dello stato;
- gli stati moderni occidentali (sorti dalla rivoluzione francese e dall’illuminismo) si sono contraddistinti per una “laicizzazione della politica” e “secolarizzazione della società”, frutto della capacità di distinzione tra la giustizia “divina” e quella “umana” (la prima competente solo a Dio, la seconda esclusivamente allo stato!).
Cosa intendere per “laicità”?
La laicità è uno dei principi su cui si fonda lo stato moderno (assieme a quello della “separazione dei poteri”).
Per “laicità” deve intendersi:
- la totale separazione tra lo stato e la Chiesa (o tra il diritto e la religione);
- l'assenza d'indebite interferenze religiose nell’ambito dei poteri dello stato (legislativo, esecutivo e giudiziario);
- e la piena autonomia delle Istituzioni pubbliche rispetto alle autorità o confessioni religiose ("libera Chiesa in libero stato", per usare il noto motto cavouriano).
E’ pienamente "laico", dunque, lo stato capace:
I- di mantenere un atteggiamento il più possibile "imparziale" nei confronti delle scelte spirituali individuali (di credenti e non credenti) e delle posizioni assunte dalle varie confessioni religiose (maggioritarie o meno);
II- e di aver ben chiara la differenza tra il “governare” e il “guidare spiritualmente” un Paese (ossia tra il perseguire l'interesse collettivo e il difendere posizioni ideologiche particolari a discapito dei diritti e delle libertà generali!).
Cosa distingue il "laicismo" dalla "laicità"?
Mentre è pacifico il significato del termine “laicità”, risulta controverso quello del termine “laicismo”.
Per far un esempio:
- mentre alcuni dizionari della lingua italiana (quale il De Mauro), in accordo con la definizione storica del termine, considerano il laicismo come un "sinonimo di laicità";
- altri dizionari (quale lo Zingarelli), invece, considerano tali termini come "concettualmente differenti".
In particolare:
a- mentre il "laicismo" indicherebbe un atteggiamento più radicale (di "negazione") da parte dello stato nei confronti delle varie confessioni religiose (e delle correlate impostazioni etiche);
b- la "laicità", invece, non implicherebbe di per sé alcuna ostilità da parte dello stato nei riguardi delle religioni:
- richiedendo da parte di questo una "perfetta equidistanza" nei confronti di ogni posizione etica o credo religioso
- e ammettendo anche la possibilità che ogni istituzione religiosa esprima posizioni morali, politiche o sociali (almeno sin quando questa non cerchi al contempo di imporle in forza di legge all'intera collettività, ossia anche a chi non le condivida!).
Perché la "laicità" è una garanzia per i cittadini?
La laicità rappresenta la migliore garanzia possibile del "principio di eguaglianza" e della "libertà di culto", intesa:
a- sia "in positivo", come libertà di professare qualsiasi religione;
b- che "in negativo", come libertà di non professarne alcuna.
Uno stato "pienamente laico", difatti:
- confida nell’individuo quale "padrone di se stesso" e "libero nelle proprie scelte" (rifiutando d'imporre valori "di parte" o verità "presunte" assolute!);
- condanna ogni forma di integralismo ideologico/religioso;
- e difende l'autonomia delle proprie Istituzioni da ogni potere o autorità esterni.
L’Italia è uno "stato laico"?
(...)
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Gaspare Serra
(Università degli Studi di Palermo)
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