22/01/11

La Cina alla conquista del Continente Nero

In quasi ogni angolo dell’Africa c’è un po’ di Cina. Pechino ha deciso di fare di questo continente la sua priorità economica e di investire come nessun altro paese fino adesso ha avuto il coraggio di fare. L’Africa è ricca di risorse naturali e di terre delle quali l’economia dell’Impero di Mezzo è affamata, e costituisce un enorme bacino commerciale su cui riversare manufatti made in China. La politica cinese di giocare la carta terzo-mondista crea speranze e dibattiti per il continente africano.

Il “win-win”: un nuovo modo di fare affari. Fino agli anni settanta gli interessi cinesi in Africa erano di natura prevalentemente diplomatica. L’Africa si presentava come un selvaggio campo di battaglia dove si scontravano ideologie diverse e dove la Cina competeva non solo con i regimi filo-occidentali ma anche con quelli filo-sovietici. Questi rapporti, caratterizzati dalla solidarietà ai governi e ai partiti comunisti, oggi sono stati completamente sostituiti dagli affari. L’Africa ha accolto a braccia aperte la grande potenza asiatica con la quale è possibile concludere vantaggiosi accordi privi di clausole relative al rispetto dei diritti umani o di supporto ad attività di anti-terrorismo. La sola condizione imposta dai cinesi per la nascita di relazioni economiche è il non riconoscimento di Taiwan. Tutto il resto non importa. Grazie a questa filosofia i cinesi sono entrati in Stati emarginati dalla comunità internazionale, totalmente incuranti delle questioni politiche che li interessano e che li rendono tristemente famosi all’opinione pubblica internazionale.

Gli affari sono affari. È il modello del win-win (guadagna-guadagna). Sulla base di questa dottrina, la Cina si adopera per fare proliferare al massimo propri investimenti senza intervenire minimamente nelle questioni interne e soprattutto senza mai imporre a nessuno i modelli di democrazia multipartitica. Pechino, infatti, ritiene che questi paesi non ne siano pronti e che questo sia un grande errore che le potenze occidentali commettono costantemente. Non credono negli embarghi e nelle sanzioni. La Cina, consapevole che questa è la chiave del suo successo, si ritrova così ad essere presente in Angola, Sudan e Nigeria per il petrolio, in Benin, Mali, Togo e Camerun per il cotone; in Guinea Equatoriale, Gabon, Liberia per il legname, nella Repubblica Democratica del Congo e in Zambia per il cobalto; per l’uranio in Niger e per platino, oro e diamanti nello Zimbabwe e Sudafrica. Negli altri paesi, meno ricchi di risorse naturali, la Cina è comunque presente con un’intensa attività di investimenti che non esclude neanche gli stati devastati dalle guerre civili. La Cina va dove gli altri non vogliono o non possono andare. Non si limita all’acquisto di materie prime ma si impegna anche nella costruzione di infrastrutture che favoriscono lo sviluppo dei paesi africani. Investe dunque in un settore dell’Africa generalmente trascurato dagli Stati europei ed americani. Questo è un altro elemento alla base della riuscita delle sue iniziative. Così, i leader africani fanno continui appelli affinché Pechino scelga il loro paese per i suoi investimenti.

La Cina d’ostacolo al rispetto dei diritti umani. La politica della totale non ingerenza negli affari interni, portata avanti dall’Impero di Mezzo, e la sua attività di investimenti in paesi particolarmente instabili, preoccupa però la comunità internazionale. Il caso del Sudan è sicuramente emblematico. La Cina oggi è il suo principale partner commerciale. Ha potuto affermare la sua presenza con il ritiro delle compagnie occidentali richiesto dalla Comunità internazionale per le gravi violazioni dei diritti umani, come la schiavitù e le persecuzioni, commesse in tutto il Paese dal governo di Khartoum. L’attività delle compagnie petrolifere cinesi ha così completamente vanificato le pressioni della Comunità internazionale. Inoltre, dati gli enormi interessi economici della Cina, il governo di Pechino si è anche adoperato affinché il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non adottasse sanzioni nei confronti del Sudan per il genocidio nella regione del Darfur.

L’Europa spettatrice pentita e preoccupata. L’Europa osserva preoccupata ciò che sta accadendo in Africa. Più interessato a non perdere importanti fonti di materie prime che al reale sviluppo africano, il Vecchio Continente solo ora si sta rendendo conto dell’importanza economica di questa regione del mondo per lungo tempo sottovalutata. E proprio per questo ha reso possibile la creazione di un vuoto geopolitico negli anni novanta, di cui i cinesi hanno immediatamente approfittato.

Pechino ha dato in questo modo un’importante lezione all’Europa facendole anche capire che forse, quella degli investimenti, è la strada da seguire per aiutare concretamente l’Africa. Ora il Vecchio Continente deve trovare i giusti mezzi per agire in modo incisivo in un momento in cui i leader africani si stanno accorgendo dei limiti del sistema cinese. Iniziano a sollevarsi proteste e critiche sempre più numerose contro Pechino soprattutto in materia di sicurezza sul lavoro. Nei cantieri cinesi mancano norme per la tutela dei lavoratori e gli incidenti sono all’ordine del giorno. La presenza cinese inizia ad essere ingombrante. Si tratta, in fondo, una nuova forma di colonialismo.

Tra Africa e Cina si è dunque creata una fittissima ed intricatissima rete di attività economiche non facile da ricostruire soprattutto se si considera lo scarso amore per la trasparenza condiviso da entrambe. Nonostante la discutibilità di alcune decisioni economiche del governo di Pechino, si è però tornati a parlare di Africa e a riflettere sul suo sviluppo economico. Gli investimenti cinesi stanno infatti aiutando questo continente molto di più di quanto abbiano fatto fino adesso gli aiuti provenienti dai paesi occidentali. È l’Occidente che ora deve ritrovare la giusta strada per riprendersi l’Africa e soprattutto per sottrarla agli effetti negativi del modello cinese del win-win.

di Emanuela De Marchi

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