20/06/11

La rete è nuovamente sotto attacco

Internet Control

Il tentativo di controllare la rete, fino ad uno o due anni fa, era roba da paranoici complottisti. Byoblu.Com ha denunciato una per una tutte le leggi ammazza-internet. E sono state molte, dalla Carlucci a D'Alia, dalla Levi-Prodi a Maroni, passando per Barbareschi, per gli incontri segreti di Maroni con Facebook e Yahoo e per il Decreto Pisanu, non mancando di dimostrare cosa significa tutelare la rete in paesi come la Spagna. In occasione del Decreto Romani il blog, insieme a Enzo Di Frenna, organizzò una vera e propria manifestazione di protesta a Roma, cui parteciparono 69 audaci in uno dei primissimi flash mob della serie.

Oggi, a dire che i governi centrali vogliono controllare la rete non è un blogger che urla alla luna, ma un (ex) commissario dell'AgCom: Nicola D'Angelo. L'AgCom, con una delibera che potrebbe presto venire approvata, vorrebbe sostituirsi alla magistratura (e alle garanzie giuridiche che l'iter giudiziario comporta) nell'oscuramento di un blog, chiudendolo amministrativamente d'imperio. Esattamente come voleva fare D'Alia affidando al Ministero dell'Interno le chiavi di casa di qualsiasi blog, affinché potesse chiuderlo in meno di 24 ore senza passare dal via. Un'abominio che aprirebbe la porta alla chiusura dei siti di informazione libera.

In Spagna, a una simile proposta, il popolo ha reagito con estrema durezza, trasformandola in breve tempo in carta igienica. Qui da noi vedo che si batte un po' la fiacca, ultimamente...

Questa Fabio Chiusi a Nicola D'Angelo.

LA RETE E' NUOVAMENTE SOTTO ATTACCO

Fabio Chiusi intervista Nicola D'Angelo

D'Angelo, quali sono i pericoli concreti derivanti dalla delibera Agcom?
Oggi per chiudere un sito ci vuole l'intervento della magistratura. Che avviene in base a delle regole, a garanzia delle parti che sono in causa. Un domani, se verranno approvate le ipotesi di intervento previste in questa delibera, potrà farlo una autorità sostanzialmente amministrativa con un provvedimento amministrativo, e senza un chiaro quadro di regole di garanzia.

È la più forte minaccia alla libera espressione sul web mai fatta in Italia?
Che sia la più forte non lo so, non posso dirlo. Bisognerebbe vedere poi all'atto pratico che cosa avviene. Lei tenga comunque presente che ormai sulla rete si esercitano prevalentemente diritti civili e di cittadinanza.

Quindi andrebbero difesi?
Tutti i politici e gli altri organi si riempiono la bocca di belle parole sulla rete, ma dovrebbero rendersi conto che del tema della libertà del web, e soprattutto delle sue limitazioni, forse sarebbe il caso si parli in Parlamento, piuttosto che lasciare il giudizio a un'autorità sostanzialmente amministrativa.

Il testo è da bocciare interamente?

La delibera ha un senso se è fondata su una serie di meccanismi che trovano la loro base su un forte principio di consenso tra fornitori di contenuti, Internet service provider e consumatori. La prima parte va in quella direzione, la seconda no. Io valorizzerei la prima parte, le forme più moderne di tutela del diritto d'autore, che sembrano essere in qualche misura il futuro: licenze collettive, creative commons...

Mentre la seconda non le piace.
Sono assolutamente contrario, perché prevede che l'Authority possa fare degli interventi inibitori alternativi a quelli del giudice. Un'idea che trova la sua fonte in quadro giuridico primario piuttosto incerto. Ma c'è un'altra questione, tutta italiana, di cui nessuno parla...

Prego?
L'ho detto anche durante la polemica sul decreto Romani, e per questo sono anche finito su WikiLeaks: l'approccio è che siccome la televisione è regolata allora bisogna regolare la rete. Paradossalmente il problema del diritto d'autore è entrato in gioco per una origine prevalentemente televisiva.

Si spieghi meglio.
Si voleva e si vuole replicare un modello televisivo su una piattaforma che ha un senso totalmente diverso e che fortunatamente vive ancora delle condizioni di libertà estremamente forti.

Quanto conta che il ministro si chiami Paolo Romani?
Questo non lo so. Io le commento il dato oggettivo. Tutta questa materia viene da una disciplina europea che riguardava la televisione. Perché noi oggi ci troviamo a discutere della tutela del diritto d'autore, con le polemiche che ci sono state, attraverso questa ipotesi dell'intervento dell'Autorità?

Perché?
Ci siamo perché il decreto Romani, che avrebbe dovuto recepire le norme sulla televisione, ha esteso tutta una serie di principi anche al web. Non solo sul diritto d'autore, ma anche sulle Web Tv, su cui ho svolto un'altra polemica molto forte.

Risultato?
È una tensione che si cerca di risolvere attraverso forme di tipo protezionistico sulla televisione adottando i medesimi modelli della televisione. Perché avviene questo in Italia? La risposta la lascio a lei, a me pare ovvio.

L'Agcom ha definito le critiche «disinformazione» fatta da «arruffapopolo».
Non so cosa dirle. Io so che chi in questo momento, oltre a me, si sta occupando anche in modo critico di queste questione non sembra «uno studente del secondo anno di Giurisprudenza». A meno che in modo tale si voglia ritenere gente come Stefano Rodotà, diversi magistrati che hanno preso posizione sul tema, per non parlare di chi sulla rete da anni esercita le proprie capacità anche professionali. Penso a Fulvio Sarzana, a Guido Scorza, a Stefano Quintarelli...

Anche le opposizioni, tuttavia, non sembrano aver dato peso alla questione
.
No.

Come mai?
I produttori di contenuti sono piuttosto forti, come soggetti.

Quando sarà approvata la versione definitiva del testo?
Per ora siamo solo alle linee guida. Nelle prossime settimane sarà presentato un regolamento, delle norme. Io tra l'altro non sono in grado di dare una risposta perché prima ero relatore di questo provvedimento, e ora non lo sono più.

Lei è stato rimosso.
Mi hanno cambiato con un altro.

Si è chiarita la ragione di questo cambiamento?
Nessuno me l'ha spiegata. Ma non ne faccio una tragedia. Il punto non è tanto il fatto personale, la questione è di merito. Io mi riservo di fare le mie valutazioni, anche molto forti, quando si arriverà a parlare del merito della questione.

L'Italia è in fondo a diverse classifiche sul digitale. È questa la via per risalire la china?
Non lo dice un estremista come me. Il presidente dell'Autorità, Corrado Calabrò, che certo non si può dire essere un esperito sedizioso, nella sua relazione al Parlamento ha detto che la diffusione di internet e l'aumento dell'accesso alla rete corrispondono sempre a una riduzione dell'uso illegale dei contenuti.

Ma il concetto, evidentemente, non passa.

C'è un tema tecnologico: la base è che questo è un Paese arretrato. Intervenire non tanto sulle ragioni di fondo, ma sul fenomeno in superficie è uno sbaglio.

Che fare?

Diffondere le tecnologie, consentire a molta più gente di usare Internet. Incentivarne l'uso legale, che passa anche attraverso il fatto che ci siano delle modalità di pagamento facili, accessibili. Certo che se per fare il download di una canzone devo strapagarlo...

Specifichi, altrimenti rischia di sentirsi dare del 'pirata'.

Qui nessuno dice che non è giusto remunerare il contenuto. E nessuno dice che è giusto fare la pirateria. Ci mancherebbe. Però bisogna rimuovere le cause di questo uso illegale nelle ragioni di fondo. Che sono il gap tecnologico e culturale.

Ha in mente un Paese che incarni un modello per il cambiamento?
No, ho in mente invece un allarme. Nel mondo, e l'Eg8 di Parigi ne è la testimonianza, c'è un atteggiamento verso la rete diverso dal passato. C'è il tentativo cioè di controllare uno strumento di cui ci si è resi conto della forza e della capacità di penetrazione.

E l'entusiasmo di questi giorni per la rete «strumento di democrazia»?

Paradossalmente noi Occidentali ci riempiamo la bocca con le rivolte del Maghreb, ma anche i nostri Stati sembrano un po' spaventati da come ha funzionato la rete in quei casi.

Questo lo dicono anche Reporters Without Borders e Freedom House: si va verso il «controllo 2.0».

Qui parliamo di diritto d'autore, ma è solo uno dei fenomeni. Quello più importante è il tentativo di controllare la rete. Si capisce che internet è uno strumento di straordinario rilievo, perché pone il potere in senso orizzontale e non più verticale.

Il che a molti non piace.
Tutti vogliono intervenire: i poteri economici, politici e così via. Io non capisco: ci fosse stato uno dei tanti riformisti italiani che si riempiono la bocca di belle parole che abbia messo al centro di un'iniziativa politica seria queste questioni.

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