19/07/11

Borsellino diciannove anni dopo

Dopo l'uccisione del magistrato poco è cambiato ma la lotta alla mafia prosegue grazie a chi non si è arreso e continua a rischiare la vita

19 luglio 1992. Una delle tante date insanguinate che hanno segnato la storia dell’Italia più recente. E nomi, come quello di Paolo Borsellino, che la mafia, nell’ansia di eliminarli, ha trasformato in pietre miliari. In eroi. In simboli di una lotta senza se e senza ma, che in nome del senso civico e della legalità supera anche la paura.

Sono passati diciannove anni dalla morte di Borsellino e degli agenti della sua scorta, rimasti uccisi con lui nell’attentato di via d’Amelio: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Diciannove anni in cui l’Italia – o almeno la sua parte migliore – ha giurato a se stessa “mai più”. Ed ha tentato, nonostante tutto, di portare avanti ciò per cui Paolo Borsellino, Giovanni Falcone, ma anche Peppino Impastato, don Beppe Diana, don Pino Puglisi e le tante altre vittime della criminalità organizzata sono morte: il sogno di un paese migliore. Di un paese che trovasse la forza di opporsi ai tentacoli delle mafie, del pensiero mafioso. Guardare al suo futuro da paese libero e pulito. Nuovo.

Eppure, diciannove anni dopo, tante cose non sono ancora cambiate. Troppe, le stesse per cui anche Paolo Borsellino è stato ucciso. La politica non è diventata più pulita, poco è stato fatto perché ciò che di marcio c’era e c’è nello Stato fosse una volta per tutte estirpato. . Non basta neanche continuare a sostenere che alcuni mafiosi siano “eroi”. Ormai, in questa Italia e in questa politica, la legalità pare quasi essere diventata un’ignominia e gli eroi dell’antimafia solo dei nomi, buoni per essere rispolverati in occasione dell’anniversario della loro morte con poche frasi di circostanza.

Eppure, per fortuna, non è solo questa l’Italia che merita di essere ricordata. Le terre confiscate alla criminalità organizzata e riutilizzate per progetti di sviluppo costruttivo, la gioventù italiana che scende in campo e manifesta per dire no alle mafie, la sempre maggiore sensibilità dell’opinione pubblica su questi temi, tanto al Nord quanto al Sud, un fronte comune che dimostra - meglio di tante altre celebrazioni - che la vera unità d’Italia è possibile, ed è possibile proprio in questi frangenti. Roberto Saviano, Giulio Cavalli, Antonino Monteleone e tutte quelle persone – spesso anche molto giovani – che mettono a rischio la loro vita per denunciare le dinamiche delle mafie. E forse è per merito di questa Italia pulita che la morte di Borsellino non è stata e non sarà mai vana.

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