13/08/11

Ormai è tardi


Mentre scrivo, i dettagli della manovra economica che dovrebbe tirare il nostro (ex) Belpaese fuori dai guai non sono ancora noti. Ma il resto - quello che verrà dopo, intendo - è un copione già scritto. Qualcuno a sinistra - sindacati, Piddì, Iddivì, Vendoliani e movimentisti di arte varia - prenderà a stracciarsi le vesti. E Confindustria, forse, pure. Maggioranza e media berlusconiani, invece, tenteranno una difesa (più o meno d’ufficio) di tagli, stangate et simili a che il governo si accinge ad approvare. Ma non senza qualche mal di pancia anche nel centrodestra. Insomma: partirà un dibattito - fatto di “accuse”, “contraccuse”, “stoccate” e “allarmi” - infuocato e come non si vedeva da tempo. E assolutamente inutile. Perché bisognava farlo prima. Molto prima. E con molta più serietà. Ora, è tardi.

E’ tardi per provare ad aumentare la spesa pubblica per stimolare la nostra economia asfittica (secondo un’analisi condotta da El Pais: negli ultimi dieci anni, al mondo, solo l’economia di Haiti e di qualche altro Paese sgarrupato è cresciuta meno della nostra). Gli altri Stati - Stati Uniti, in testa - lo hanno fatto prima. Ora è tempo di tagliare per tutti, e taglieremo pure noi.

Ma è tardi anche per disegnare tagli razionali, perché per fare una cosiddetta “spending review” - ossia un’analisi per capire dove si annidino gli sprechi veri nella spesa pubblica - ci vogliono anni. O meglio: la spending review dovremmo effettivamente farla. Perché il governo la ha annunciata in mezzo a mille altre manovre e manovrine. Ma l’annuncio, appunto, è arrivato una manciata di giorni fa. Per cui se ne riparlerà alle calende greche. Calende greche che - come è noto - hanno un unico difetto: non esistono.

Ed è pure tardi per discutere con gli altri partner europei. “Lacrime e sangue” negli altri paesi del Vecchio continente in difficoltà - Irlanda, Portogallo e Grecia, in particolare - non hanno portato bene. Tagliando tutto il tagliabile, le cose sono andate di male in peggio: girando meno soldi (pubblici), queste economie si sono ulteriormente depresse. E così, per esempio, la Grecia - che aveva già ricevuto, a maggio 2010, un maxiprestito da 100 e passa miliardi di euro a Fondo Monetario Internazionale e Unione Europea - è dovuta tornare a bussare a danaro (riceverà altri 100 e passa miliardi, ma in cambio di altri tagli). La strategia “tagliatutto” è stata decisa tra Bruxelles e Francoforte, ossia dai Paesi “forti” dell’eurozona (Francia e Germania) e dalla Banca centrale europea. E finché è toccato agli altri, anche l’Italia non ha battuto ciglio. Ora è il turno del Belpaese. E non c’è più tempo per discutere. La Bce - come aveva fatto con gli altri - ci ha dato l’aut aut: fare e fare presto, se no niente aiuti. Per cui, amen.

Ed è tardi, per giunta, per ridurre i sempiterni costi della Casta. Perché anche queste sforbiciate - in parte sacrosante - ora sanno neanche tanto vagamente di zucchero per indorare l’amara pillola per contribuenti e comuni cittadini.

E’ tardi perfino per dire che è tardi. Perché, adesso, la casta stampata - cioè i giornalisti - non fanno che ripetere che i problemi sono noti da anni; il governo è “lento e i mercati veloci”; che tante volte ci si doveva pensare prima, e che insomma “ma non dovevamo arrivare fin qui”. Già e allora come mai fino a poche settimane fa le prime pagine dei giornali - tutti i giornali - erano ingolfate di utilissime polemiche su traslochi di ministeri al Nord, con il solito contorno di scandali, scandalini e scandaletti? Perché il collasso di Grecia, Irlanda e Portogallo non è finito quasi mai - anzi, io direi mai, ma appunto non si sa mai - in apertura di prima pagina di un giornale o ha mai meritato più di due minuti di tiggì? Perché - insomma e come chi scrive ha ripetuto milioni di volte - la crisi economica del secolo, fatta di fallimenti clamorosi e milioni di disoccupati, in Italia è stata raccontata - tra un papi e una pupa; un trans e un Marrazzo - nelle pagine dell’economia o in qualche soporifero editoriale? Come direbbe Dagospia: ah, saperlo. Ma ormai è andata.

Ed è tardi - diciamocelo - pure per i cittadini per indignarsi. Perché in Italia, in questi 3 anni di governo Berlusconi, si è manifestato e raccolto firme per la qualunque. Abbiamo firmato e protestato per Saviano e contro il caimano; per registi iraniani, blogger cubani e perfino la salvezza delle balene. Ma mai - mai - per chiedere che i tanti nodi dell’economia - dal debito pubblico montante alla cassaintegrazione esplosiva - venissero affrontati e sciolti. Lo sa bene chi ha seguito con attenzione la vita pubblica di questo Paese. Lo scrive perfino Der Spiegel nel celebre reportage dedicato all’Italia di qualche settimana fa e intitolato “Ciao Bella”. Pezzo citatissimo soprattutto dagli antiberlusconiani di professione. Ma omettendo il passaggio in cui Alexander Smoltczyk, il giornalista di Der Spiegel, scrive: “Mostratemi un Paese (…) in cui la popolazione - nonostante dati economici catastrofici, non vuol sapere nulla di come va l’economia e, invece, insiste a a vivere la dolce vita come se nulla fosse successo”. La crisi, in Italia, non l’ha voluta guardare in faccia nessuno. Piuttosto che discuterne, meglio bersi uno spritz. E che dio ce la mandi buona.

E’ tardi, troppo tardi. Perché domani partirà a destra il coro della “miglior manovra possibile” e a manca si ballerà il solito mambo della “macelleria sociale”. E frotte di economisti - un po’ come i tanti ct della nazionale che popolano i bar della penisola - prenderanno a dire che però si poteva fare anche così, ma pure cosà. Perché in Italia, il futuro è già passato. Perché i debiti si pagano. E il debito ormai già c’è e - comunque - lo pagheremo. A caro prezzo. Perché la nostra classe dirigente - e non solo la nostra classe dirigente - ancora non ha capito quello che non vuole capire.

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