Lo stavo aspettando al varco, ed è arrivato. Il DDL Intercettazioni, altrimenti ribattezzato Legge Bavaglio e messo in quarantena un anno fa dopo le proteste di piazza, è stato scongelato come la ghianda dell’Era Glaciale, con il suo carico di virus per i quali il sistema immunitario della società moderna non è attrezzato a far fronte. Contiene il famigerato Comma 29, l’arma di distruzione di massa più micidiale che la casta italiana (e solo quella) abbia mai pensato di costruire e puntare contro l’informazione libera.
Mentre vi sto scrivendo, Maurizio Paniz (PdL) su SkyTg24 dice una marea di sciocchezze tali da sommergere tutte le coste emerse in un raggio di centinaia e centinaia di chilometri quadrati, insieme ai server e alle pagine web che vi risiedono. Se solo avessi un numero di telefono…
Chiariamolo una volta per tutte: nessuno in rete vuole essere impunito. Gli strumenti giuridici per avere giustizia e spezzare le ossa a un blogger, se lede ingiustamente la reputazione altrui, esistono già e valgono nella vita reale esattamente come su internet. Personalmente ne so qualcosa, avendo già sul gobbone due querele pesanti. Inoltre, in casi di particolare gravità, il magistrato può disporre l’immediato sequestro di un blog per evitare il perpetrarsi del reato di diffamazione. Dunque prendete il 90% delle argomentazioni che vi propinano i fautori del diritto di rettifica e cestinatele come non rilevanti.
Cosa fa il comma 29, allora? Impone alla rete un modello di rivendicazione autonoma sui contenuti, da parte di chi si sente offeso, derivante dalla legge sulla stampa del 1948 e assolutamente obsoleto e inadeguato al mezzo tecnologico cui vuole essere esteso. In buona sostanza, si vuole consentire a chiunque (ma proprio chiunque) voglia fare una cosiddetta rettifica a un post di richiederne la pubblicazione entro 48 ore, senza commento, pena una sanzione che può arrivare a circa 12.500€. La fine dei blog indipendenti e liberi.
Come potrete immaginare, a parte le testate giornalistiche online, che hanno una redazione, e a parte i finti blog personali, ovvero quelli di molti politici, personaggi dello spettacolo e così via che hanno uno staff dedicato, tutti gli altri non possono permettersi il rischio elevato di non riuscire a recepire ed evadere una richiesta di rettifica in meno di due giorni. Anche al blogger più incallito, infatti, può capitare di essere assente per qualche giorno da casa, di avere il computer rotto, di avere la connessione alla rete disattivata, di essere in vacanza, e poiché non ha una redazione, una qualsiasi richiesta di rettifica pervenuta nel momento sbagliato significa una condanna a vendere la macchina o a ipotecare la casa. Quanti di voi hanno un blog? Quanti di voi hanno tempi di reazione così veloci? Quanti di voi, se passasse questo comma, sarebbero ancora disposti a rischiare? Credo pochissimi dissennati. Per il resto, la blogosfera italiana si contrarrebbe fino ad annullarsi, facendo calare il sipario su una delle fioriture rinascimentali più prospere ed entusiasmanti dai tempi dei commonplace books. Nel frattempo, ovviamente, all’estero continuerebbero a bloggare indisturbati, perché questa norma esisterebbe solo nel nostro sfortunato e digitalmente perseguitato paese.
Il diritto di rettifica andava bene sul cartaceo, perché nessuno avrebbe potuto mai fondare un giornale solo per rispondere all’articolo di un editorialista. Oggi, nel tempo dei commenti, degli aggregatori di news e di blog che indicizzano link e riferimenti incrociati, delle piattaforme di blogging a costo zero, che senso ha? Se proprio se ne sentisse la necessità, basterebbe usare la tecnologia, studiare qualche algoritmo e obbligare per legge le piattaforme software a farne uso. Nel video propongo un paio di soluzioni rapide e indolori. Pensate in meno di cinque minuti da uno qualsiasi che usa e conosce la rete. Mi domando perché Vespa, Fede, Gasparri, Paniz e chiunque altro conosca internet come un calamaro si intende di free climbing non si informino, prima di emettere aria dai polmoni con lo stesso portato semantico di un mantice da caminetto!
Nessuno vuole sottrarsi a responsabilità che secondo il codice penale ha già, ma neppure sottostare in silenzio alla distruzione di ogni spontaneità nel fertile dibattito culturale che la rete ha portato nell’opinione pubblica, arricchendola di motivi, sfumature e punti di vista che il giornalismo da tempo non riusciva a coltivare. Lo stesso giornalismo ne è uscito più fecondo e galvanizzato, come attraversato da una scia di bollicine effervescenti che l’hanno rivitalizzato. Pensate solo alla nascita del Fatto Quotidiano.
Non è tuttavia possibile normare la rete come si raccolgono patate al mercato. Se è indispensabile farlo, bisogna riunire le menti di chi la conosce bene, altrimenti si usa la stessa violenza che i cantieri della Tav, in nome di una modernità che sa di passato, infliggono agli abitanti della Val di Susa. Siamo cittadini digitali che stanno per essere espropriati delle loro abitazioni e dei loro terreni. Alzatevi a combattete, prima che le ruspe livellino ogni discussione al piattume che esisteva prima di internet. E non venitemi a parlare di bloggare da piattaforme estere. Qui stiamo rivendicando il diritto di farlo a casa nostra, con il nostro nome e il nostro cognome. La vigliaccheria di chi si nasconde per inclinazione naturale non ci interessa ed è sempre l’ultima delle possibilità ad essere valutata, quando ormai uno ad uno tutti i diritti sono stati annientati.
Oltre un anno fa, coinvolgendo i lettori del blog, ho elaborato insieme a Roberto Cassinelli, deputato Pdl sensibile alle tematiche della rete, una proposta di emendamento per migliorare il testo del comma 29 qualora fosse stato impossibile da stralciare. Il risultato è in questo post del 18 giugno 2010: L’emendamento della Rete al Diritto di Rettifica. E’ l’estrema ratio, ma sapere che c’è una proposta migliorativa è sempre meglio che niente.
Ora è necessario alzare la voce e insegnare a questi energumeni digitali cosa sia la rete e perché non devono metterci le mani dentro. Dicano di cosa hanno bisogno e poi, di grazia, lascino fare a noi.
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