11/01/12

Fine della produzione industriale europea

In poche drammatiche parole, il blog di una piccola fondazione inglese spiega l'assurdità di tutto il sistema di produzione odierno. Per niente liberista, peraltro, visto che concede vantaggi fiscali a chi produce in determinati posti e non in altri.

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Leggo con curiosità dell'avvento del Raspberry Pi, il computer da 25 dollari creato dall'Università di Cambridge a scopi didattici, che sarà in vendita tra qualche settimana.

Per saperne di più, finisco sul blog dei creatori di questa piccola grande idea e trovo un racconto che mi lascia senza parole. Non si tratta di chissà che novità, ma della storia nero su bianco di come sia diventato impossibile produrre qualcosa, anche di innovativo, in un Paese europeo, e si sia alla fine letteralmente costretti a mandare la produzione in Cina. Piccoli problemi uno in fila all'altro, raccontati con una certa soavità, che dipingono un quadro inconsapevolmente catastrofico e senza ritorno. Eccovi la storia del Raspberry Pi.

Sfortunatamente, non siamo stati in grado di avviare la produzione nel modo che desideravamo. Come sapete, la Raspberry Pi Foundation aveva intenzione di produrre interamente in Gran Bretagna; dopotutto, siamo una no profit inglese e volevamo aiutare l'industria elettronica del nostro Paese.

Abbiamo contattato svariate industrie inglesi, ma incontrato tali problemi da rendere la cosa impossibile. Anzitutto, i tempi di consegna variavano tra le 12 e le 14 settimane, contro le 3-4 settimane offerte dalle fabbriche asiatiche.

Secondo, abbiamo scoperto che i prezzi in UK cambiano enormemente a seconda della capacità delle aziende. Se un'azienda ha la capacità sufficiente per la nostra produzione di massa, ha anche prezzi altissimi; noi ci aspettavamo certo una differenza di prezzo con l'Asia, ma non al punto da farci saltare tutti i conti. Altre industrie ci offrivano un prezzo migliore, ma non riuscivano a consegnare più di qualche centinaio di pezzi al mese. E anche così, il prezzo era superiore di almeno cinque dollari a pezzo. Qui si parla di decine di migliaia di pezzi per una fondazione no profit (il cui scopo è un computer per tutti gli studenti, ndt) e la spesa ci sembrava irresponsabile.

Inoltre, per produrre in Gran Bretagna, avremmo pagato molte più tasse. Se un'azienda inglese importa componenti, paga tasse su ciascuno di essi. Se invece viene importato un prodotto finito, non si paga alcuna tassa. Questo significa che è del tutto inefficiente per un'industria produrre in Gran Bretagna. Per come stanno le cose, significa che se una compagnia produce interamente all'estero, deprivando l'economia inglese, ottiene un premio fiscale. E' un'assoluta follia.

In poche drammatiche parole, il blog di una piccola fondazione inglese spiega l'assurdità di tutto il sistema di produzione odierno. Per niente liberista, peraltro, visto che concede vantaggi fiscali a chi produce in determinati posti e non in altri. E' questo il meccanismo che mette in ginocchio le nostre industrie, anche quelle ad alto valore tecnologico, e che ne induce altre a chiudere baracca e burattini, lasciare a casa gli operai e correre all'estero. Messa così, non c'è rimedio.

E i più catastrofisti non riusciranno a non porsi una domanda: se dovesse succedere qualcosa in Oriente, come una guerra, problemi nei trasporti internazionali, un aumento dei prezzi dell'energia, una crisi di qualsiasi genere, come diamine riusciremo a riavviare una produzione interna? Come potremo far ripartire le nostre industrie, ormai morte e sepolte?

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