13/06/12

L’ora degli Sbirulino



“Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo”.

(Abramo Lincoln)

Due anni fa a governare la disastrata Spagna era ancora Zapatero con il suo Partido Socialista. E la signora Soraya Saènz de Santamaria - che militava e milita nelle fila del Partido Popular (il centrodestra spagnolo, per capirci) - non aveva nella sua mente l’ombra di un dubbio. Le difficoltà economiche di Madrid? Tutta colpa di Zapatero. Anzi e per la precisione: “Lo spread del nostro Paese si chiama José Louis Zapatero”, aveva detto tranchant (qui il link).

E sì, perché già allora - parliamo del non lontano 2010 - quel numerino chiamato spread (aperta parentesi: c’è ancora bisogno di spiegare cos’è? Credo di no) per la Spagna era un problema. Troppo alto. Ma la soluzione era facile. Per lo meno, secondo il Partido Popular. Che, appunto per bocca di questa signora dal nome complicato stile-nobili-spagnoli-dei-Promessi-sposi, aveva indicato la via: elezioni e poi un nuovo governo capace di guidare il Paese e riportare la fiducia.

E così sia. Anzi: e così fu. Risultato: ora Soraya Saènz e eccetera è vicepremier e il suo Partido Popular è saldamente al governo. Tutto bene, quindi. Non fosse che lo spread è molto più alto di prima (a giugno 2011, poco prima che Zapatero si dimettesse stava sopra i 200 punti base; mentre ieri ha superato la soglia critica dei 500 punti base). E la Spagna, lo scorso weekend, ha dovuto chiedere all’Europa una linea di credito di 100 miliardi per evitare un autentico patatràc. Insomma e per capirci: Madrid è arrivata a fine corsa e ha dovuto chiedere un salvataggio.
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E il Partido Popular? E il Partido Popular ha tentato di metterci un pezza. Ma con classe. Il ministro dell’economia Luis de Guindos ci ha tenuto a chiarire che la situazione non è così grave. E che quello spagnolo non è un “salvataggio”. E i 100 miliardi di euro, quindi? Quelli, ha spiegato Guindos, sono solo, testuali parole, un “credito a condizioni favorevoli” (qui il link alle sue dichiarazioni). Un artista.

Tutte balle, ovvio. Come balle erano quelle su Zapatero unica causa di tutti i mali di Spagna. Perché, chiaro, i socialisti spagnoli - Zapatero, che ha governato dieci anni, in testa - avranno colpe e responsabilità. Ma non sono i soli.

A portare all’inferno Madrid è stata un’imponente bolla immobiliare. Bolla alimentata da tante piccole e grandi casse di risparmio - ossia banche pubbliche - che ora sono, chi più chi meno, in grossa difficoltà. A loro potrebbero andare buona parte dei 100 miliardi in arrivo dall’Europa. E davvero ne hanno bisogno. Anche perché, per usare un pallido eufemismo, non sono state gestite nel migliore dei modi possibili.

Un esempio su tutti, la Caja de Ahorros Mediterraneo (CAM). Come ha ricordato un paio di giorni fa anche il quotidiano britannico The Guardian (qui il link), questa cassa di risparmio, secondo la Banca centrale spagnola, era semplicemente “il peggio del peggio”. CAM ha avuto bisogno di ben 3 miliardi di euro di aiuti pubblici e poi è stata venduta per 1 euro (sì, capito bene: 1 euro) al Banco Sabaddel. Ma ha un passato recente glorioso. Nel consiglio di amministrazione sedevano, tra gli altri: un ballerino, un artista visuale, uno psicologo e un sociologo. Tutti nominati dai partiti. La competenza, innanzitutto, quindi. E si sa: la competenza paga. Sempre. In sei anni - ricorda sempre The Guardian - membri del cda, manager (o loro familiari) hanno ricevuto qualcosa come 160 milioni di euro in prestiti a tassi di favore. E i manager, sempre nello stesso periodo, si erano aumentati lo stipendio del 50%.

Dice: vabbè, ma in questo caso chi è che nominava i membri del consiglio di amministrazione e eccetera? La risposta la si può trovare in una lunga inchiesta pubblicata dal quotidiano spagnolo El Paìs (qui il link). Ma, tanto per fare un esempio: il presidente della Caja de Ahorros Mediterraneo, era un signore chiamato Modesto Crespo. Che, secondo El Paìs, però avrebbe fatto capo a un politico: Francisco Camps, ora ex governatore della regione di Valencia. Socialista? No, del Partido Popular.

Perché, appunto, la realtà è più complicata di qualche slogan. E ora la Spagna paga tanti errori commessi un po’ da tutti. I partiti, si diceva. Ma anche gli imprenditori che hanno creduto troppo nel mattone, e i cittadini tutti che hanno voluto a loro volta credere in un boom in realtà impossibile.

E per certi versi - ma solo per certi versi - qualcosa di simile è accaduto anche in Italia. Certo: l’ormai ex Belpaese non ha gonfiato una bolla immobiliare simile a quella spagnola. Ma - in compenso - anche a Roma come a Madrid si è cercato di dare a tutti i costi un nome e un cognome allo spread.

Qui a governare - per lo meno negli ultimi 10 anni - non è stato il centrosinistra, ma - soprattutto - il centrodestra. Pure - e anche se a parti invertite - è andato in scena lo stesso copione. O se preferite: lo stesso balletto di responsabilità.

In prima fila tra quelli che menavano le danze, c’era il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari. Che, nei suoi celebri editoriali della domenica, ha ripetuto per settimane lo stesso concetto. Lo spread? Colpa di Silvio Berlusconi. Per esempio - a luglio di un anno fa (qui il link)- Scalfari si chiedeva come sarebbe stata messa l’Italia se il governo del Cavaliere fosse già caduto. E - un po’ marzullianamente, invero - si dava anche la risposta:

il Presidente della Repubblica avrebbe aperto le consultazioni e molto probabilmente avrebbe nominato un nuovo governo, un nuovo presidente del Consiglio, un nuovo ministro del Tesoro. I nomi non mancavano ed erano tutti di primissimo piano, da Mario Monti a Mario Draghi. I mercati sarebbero stati ampiamente rassicurati da quei nomi e dalla loro politica. Purtroppo non andò così. Oggi i mercati stanno attaccando i titoli pubblici emessi dallo Stato e i titoli delle banche; il rendimento dei buoni del Tesoro decennali è salito al 5 e mezzo per cento, lo “spread” rispetto al Bund tedesco a 2,48

Un’idea - via Berlusconi, finiti i problemi - diffusa a piene mani anche dal più antiberlusconiano dei nostri quotidiani, ossia “Il Fatto quotidiano” (qui, qui e qui alcuni link a vecchi articoli del giornale di Travaglio, Padellaro&co).

Ma si sa che per trasformare una balla in verità - come insegnava Goebbels - bisogna ripeterla un milione di volte. E a dare manforte a Scalfari - ripetendo questo concetto anche in tivù - ci ha pensato pure Gad Lerner, giornalista e tra i fondatori del Partito Democratico. Insomma: uno dei principali maitre-à-non-penser del nostrano centrosinistra.

Lerner - dagli schermi de “La 7″ dove conduce l’Infedele - ha ripetuto il mantra scalfariano, avvalendosi anche di esperti. Come l’ex manager della banca americana Goldman Sachs, Claudio Costamagna. Che - udite udite - si lanciò nel pronostico che senza Berlusconi, lo spread sarebbe calato di 200-300 punti. E se lo diceva l’esperto, allora.

Tanto più che fino a marzo di quest’anno i sostenitori del teorema  “con Berlusconi, no party” si sentivano anche rinfrancati dagli eventi. Lo spread era calato. E proprio Lerner sul suo blog (qui il link) aveva preso a bullarsi:

Lasciando che Berlusconi folleggi da par suo nella dacia di Putin, ricordiamoci oggi che lo spread Btp-Bund ritorna per la prima volta sotto i 300 punti la previsione contro cui si sono scagliati a lungo i suoi scagnozzi. Per primo la riferì all’Infedele il banchiere Claudio Costamagna, reduce da conversazioni coi colleghi londinesi: le dimissioni di Berlusconi da presidente del Consiglio avrebbero beneficiato l’Italia per un valore calcolabile in 200 punti di spread. Seguirono fra dicembre e gennaio le gufate e le ironie dei berlusconiani. Ora che lo spread è disceso di ben oltre 200 punti, oltre che esultare per il sollievo dell’economia nazionale rendiamo omaggio a chi fece quella giusta previsione.

Certo, Costamagna era stato - putacaso - pure testimone di nozze di un signore chiamato Angelo Rovati, a lungo braccio destro di Romano Prodi (qui il link ad un vecchio articolo di Panorama, datato 2007). Ed era considerato un prodiano di ferro. Ma quelli erano dettagli.

Quel che dettaglio non era e non è, è che la giusta previsione - alla lunga - si è rivelata sbagliata. E ‘sto benedetto spread è risalito. Alla grandissima. Ieri si è fermato appena sotto i 500 punti. Poco meno di quello spagnolo.

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Perché? Perché - come in Spagna - il governo di turno ha sicuramente avuto delle colpe. Tante, invero. E la più grossa è stata - in maniera quasi surreale - quella di negare in toto l’esistenza di una crisi economica paragonabile, per dimensioni, solo alla Grande Depressione del 1929. Berlusconi - per mesi, anzi anni - non ha fatto che ripetere che 1)la crisi non c’era; 2) che se c’era era solo psicologica; 3) che magari c’era stata, ma era già passata. E gli esponenti del suo partito - come pure certi opinionisti a tassametro in quota centrodestra - non facevano che ripetere a papagallo.

 Ma poi c’erano e ci sono altri problemi. In primis: un debito pubblico che - dai lontani anni Ottanta del Novecento - ha dimensioni esplosive. Poi l’economia che - da almeno un decennio - cresce poco o niente. Infine: le banche che sono in difficoltà per almeno 3 buoni motivi. Uno: hanno a che fare con aziende che operano in un contesto di crisi. Due: sono imbottite di titoli di Stato italiani, oggi non più ritenuti sicuri dai mercati. Tre: non sempre sono state campione di buona gestione.

Anche qui, un esempio su tutti: Monte dei Paschi di Siena (MPS). Banca da un po’ in difficoltà nel far tornare i conti, MPS ha dovuto ricorrere ad un aiutino di Stato (1,9 miliardi di cosiddetti Tremonti bond che, secondo il Corriere della Sera, verranno restituiti nel 2013). Ed è finita di recente prima nel mirino della trasmissione di inchiesta Report e poi in quello della Guardia di Finanza, per la acquisizione di Banca Antonveneta che venne letteralmente strapagata (qui un link a un nostro vecchio post; qui un link al Corriere). Ora: Monte dei Paschi è sì una banca privata. Ma fino a un certo punto. Perché ha come socio forte una fondazione che fa capo a Provincia di Siena, Comune di Siena e Regione Toscana. Tre enti locali governati da un unico partito. Quello di Berlusconi? No, il Piddì.

Perchè - di nuovo - la realtà è più complessa degli slogan. E la realtà è che le colpe sono ben distribuite. Anche al di fuori dei confini dei singoli Paesi. Tanto è vero che la crisi di Spagna e Italia è anche la crisi dell’eurozona. Ossia di un sistema - quello della moneta unica - che è assolutamente da riformare. Ed è appunto di questo che si discuterà a fine giugno nel prossimo incontro tra i leader europei.

Ma questo non è il punto. Il punto è che anche di fronte allo spettro della bancarotta dell’intero Paese, destra, sinistra e centro - in Spagna, come in Italia e un po’ ovunque in Europa - non sono riusciti a resistere alla tentazione di fare propaganda per portarsi a casa una meschina vittoria alle elezioni. E hanno puntato allo scaricabarile, invece di prendersi le proprie di responsabilità. Il che, per carità, si poteva fare e infatti si è fatto. Ma il risultato è sotto gli occhi di tutti: tempo perso in polemiche inutili e una crisi che si è incancrenita oltre ogni limite. Fino al disastro che stiamo vivendo.

 I partiti tradizionali, però, dovrebbero avere la decenza di non stupirsi se buona parte degli elettori ora - piuttosto che votare per loro - voterebbe perfino per il pagliaccio Sbirulino. Perché, no: non è una questione di privilegi, non privilegi, o voglia di qualcosa di nuovo. E’ che un conto è promettere, come si è sempre fatto, mari e monti e non mantenere. Un altro è giocare con la vita di milioni di persone che rischiano di perdere - o hanno già perso - il lavoro, e con esso, la loro serenità e la loro dignità.

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