A Venezia, per chi ha più di 13 anni, è vietato giocare a pallone nei campi e negli spazi pubblici. E chi sgarra paga: 50 euro di multa. Lo stabilisce un provvedimento comunale del 5 marzo 2005, che andava a correggere l’articolo 28 del codice di Polizia Urbana risalente al 1987. Lo stesso articolo 28 che, poco più giù, sancisce anche un altro divieto curioso: niente biciclette e pattini per le calli e i campi della città. Tutti oggetti che possono essere sequestrati dal vigile e riconsegnati al proprietario solo dopo il pagamento dell’ammenda.
Provvedimenti molto discutibili, e di solito giustificati in base alla logica per la quale bisogna attuare misure straordinarie per salvaguardare il fragile equilibrio di Venezia. Oppure - forse più sinceramente - per rendere più confortevole il soggiorno ai milioni di turisti che ogni anno vi si riversano: negli spazi stretti che ci sono, palloni, biciclette e frotte urlanti di ragazzini risulterebbero d’intralcio a giapponesi e americani con le loro macchinette fotografiche. Non che ciò sia condivisibile, almeno da parte mia. Cerco solo di capire.
Tuttavia, quello che proprio non si riesce a comprendere è perché, se da un lato sussistono normative così stringenti, in altri settori non si applichi lo stesso zelo per proteggere quel gioiello che é Venezia. Mi riferisco, soprattutto, alle Grandi Navi. Cioè a quei pachidermi del mare che possono arrivare a pesare oltre 90mila tonnellate, che sono lunghi fino a 300 metri (tanto da oscurare l’intera Piazza San Marco) e alti anche 65 metri (quattro volte tanto le case più alte di Venezia).
Ma non si tratta soltanto di una fastidiosa questione di proporzioni e di estetica. Il fatto è che ogni nave, al suo passaggio, provoca un movimento delle acque proporzionale alla grandezza del suo scafo. È il cosiddetto moto ondoso, che è estremamente deleterio per le fragili fondamenta su cui sorge Venezia, le quali sono fatte di pietra, legno e sabbia. Quando nel canale di San Marco passa un bestione come quelli che siamo abituati a vedere negli spot in TV, provoca una spostamento di acque pari a oltre 130mila metri cubi. E a Venezia, di quei bestioni, ogni anno ne passano oltre mille: 1132 sono quelli previsti per il 2012. Senza contare che, per rendere possibile il transito delle Grandi Navi, bisogna violentare gli equilibri dell’ecosistema della laguna. Ad esempio, la profondità delle bocche di porto è stata di gran lunga aumentata. Ciò, tra l’altro, rende molto più frequenti e dannose le cosiddette “acque alte”, in quanto l’onda di marea, non avendo più un ostacolo all’imbocco della laguna, ma trovando un canale tanto profondo, si riversa sulla città di Venezia con molta più forza, provocando i danni che sappiamo. Ma siccome noi siamo sempre geniali, per ovviare al problema dell’acqua alta ci siamo inventati un sistema faraonico, costosissimo e dannoso per i fondali marini, il MoSe, ovvero un dispositivo costituito da barriere di paratie che, poggiando su basi di cemento, si innalzano quando è prevista una marea superiore a 110 cm per bloccare l’afflusso di acqua. Peccato che, per impiantare le piattaforme subacquee del MoSe, bisognerà scavare ulteriormente i fondali delle bocche di porto, rendendo così ancor più drammatico il fenomeno dell’acqua alta.
Ma i fondali della laguna non sono le uniche vittime dello scriteriato transito delle Grandi Navi. Ognuno di questi grattacieli galleggianti, infatti, produce un inquinamento pari a circa 14mila automobili che, combinato con le emissioni del petrolchimico di Marghera, fa di Venezia una delle città con l’aria peggiore d’Italia. Ogni anno vengono prodotte circa 500 tonnellate di polveri sottili. Ma non basta. Oltre a rilasciare nell’acqua e nell’aria sostanze inquinanti, i radar delle navi da crociera emettono anche radiazioni nocive. E infatti nel quartiere popolare di Santa Marta, la zona di Venezia dove di solito ormeggiano, i residenti denunciano gravi interferenze che disturbano il segnale televisivo. Il che potrebbe tutto sommate essere anche un bene. Se non fosse che, al di là del beneficio di non riuscire a guardare “Porta a Porta”, è difficile sostenere che un tale livello di radiazioni sia ininfluente per la salute dei veneziani.
Come al solito, in Italia, quando succedono fatti gravi monta l’indignazione. Solo che per noi Italiani, come dice Marco Paolini, l’indignazione dura meno di un orgasmo. E dopo viene sonno. E così, dopo il disastro dell’Isola del Giglio, i ministri Clini e Passera si sono subito dati da fare per varare il cosiddetto decreto anti-inchini. Al cui interno è stata fatta rientrare una norma che riguarda il traffico marittimo di Venezia: “è vietato il transito nel Canale di San Marco e nel Canale della Giudecca delle navi adibite al trasporto di merci e passeggeri superiori a 40.000 tonnellate di stazza lorda”. Bene! Peccato che all’articolo successivo si legge che “Il divieto […] si applica a partire dalla disponibilità di vie di navigazione praticabili alternative a quelle vietate, come individuate dall'Autorità marittima con proprio provvedimento”. Che tradotto in italiano dovrebbe più o meno suonare così: “è tutta una foglia di fico”. Infatti, questa disposizione altro non è che un espediente per illudere l’opinione pubblica, dal momento che la risoluzione del problema è rimandata sine die, e non si stabilisce neppure un tempo limite entro il quale l’autorità marittima deve indicare le vie di navigazione alternative. Che del resto non si capisce perché non siano state individuate direttamente da chi ha scritto questo de-cretino.
Poi, oltre ai tecnici, ci sono i politici professionisti. Quelli come Alessandra Mussolini che, durante la puntata del 19 gennaio scorso di Servizio Pubblico, ad un ragazzo che protestava per il transito delle Grandi Navi nel bacino di San Marco, rispose: “Eh, però quando le migliaia di turisti scendono dalle navi per fare le escursioni a Venezia, fanno la fortuna dei commercianti”. Ecco, è proprio questo modo di ragionare che sta uccidendo non solo Venezia, ma anche molte altre meraviglie italiane: una logica miope e suicida, che vede il turista medio come un barbaro che deve essere invogliato a spendere, in poco tempo, molti soldi in piatti tipici e souvenir. Bisogna capire che Venezia, a differenza di altri siti turistici, è innanzitutto una città. Cioè un posto in cui c’è delle gente che vive, e che a diritto a farlo nel migliore dei modi, senza che la propria esistenza sia resa subalterna ai piaceri dei turisti che passano, fotografano, sospirano e tornano nelle loro case. E poi, soprattutto, Venezia non è una risorsa rinnovabile ed inesauribile, che può essere sfruttata e stuprata all’infinito: quando l’avremo distrutta, per obbedire alle regole del profitto da turismo, non resteranno che le imitazioni di plastica sparse in tutte le Hollywood del mondo.
di Valerio Valentini
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