Il prezzo in forte aumento dell'energia è incluso in ogni prodotto che realizziamo. I nostri alimenti sono ottenuti con fertilizzanti, petrolchimici e pesticidi; le nostre materie plastiche e i materiali da costruzione; la maggior parte dei prodotti farmaceutici e gli stessi abiti che indossiamo sono realizzati anch'essi a partire da combustibili fossili, come pure i nostri mezzi di trasporto e l'elettricità. Il costo più alto dell'energia ha un impatto incisivo su ogni aspetto della produzione, e al tempo stesso rende sempre più proibitivo il trasporto a lunga distanza via aerea e via mare con le navi cisterna. Quale che fosse il guadagno marginale precedentemente fruito da chi con la delocalizzazione spostava la produzione verso mercati del lavoro a bassa retribuzione salariale, è adesso azzerato dai costi energetici sempre più alti nell'intera catena di produzione. Questo segna l'effettiva fine della Seconda Rivoluzione Industriale, che ha luogo
ancor prima che sia stato raggiunto il picco della produzione globale di petrolio.
Al contempo, gli effetti del cambiamento climatico 'in tempo reale' stanno aggravando ancor più la situazione economica di varie zone del pianeta. L'ammontare dei danni arrecati all'economia statunitense dai soli uragani Katrina, Rita, Ike e Gustav si stima in eccesso nell'ordine dei 240 miliardi di dollari. Alluvioni, siccità, incendi, tornadi e altri cataclismi climatici estremi hanno decimato gli ecosistemi in tutto il mondo, non paralizzando soltanto la produzione agricola, ma anche le infrastrutture, rallentando l'economia globale e obbligando milioni di sfollati ad abbandonare le loro case.
Il governo statunitense ha varato un piano di salvataggio pari a quasi un trilione di dollari per salvare l'economia degli Stati Uniti, ma ciò non sarà sufficiente, in sé e per sé, ad arginare la recessione e farci invertire direzione per entrare in un nuovo periodo di crescita economica sostenibile, e questo perché il debito complessivo dell'economia statunitense è nell'ordine ormai di svariati trilioni di dollari. Nel frattempo, gli stipendi americani hanno continuato a rimanere immutati e la disoccupazione è in incremento. La supposizione che l'attuale recessione sia a breve termine e puramente ciclica è nel migliore dei casi ingenua e nel peggiore dei casi ingannevole. Le riserve energetiche globali, come pure quelle di gas naturale e di uranio, vanno economizzate, se dobbiamo soddisfare le aspettative di crescita del mondo sviluppato e di quello in via di sviluppo, mentre carbone, sabbie bituminose e greggio pesante sono troppo sporchi e
inquinanti per poter essere utilizzati. Il cambiamento climatico in atto in tempo reale sta procedendo a un ritmo molto più sostenuto rispetto alle proiezioni e ai modelli scientifici elaborati e resi noti in precedenza, e già destabilizza interi ecosistemi e crea scompiglio nelle attività economiche della società. Che fare, dunque?
Il nostro pianeta necessita di una visione economica adeguata, valida, nuova, che sposti la discussione e l'agenda relativa alla crisi creditizia globale, al picco petrolifero, e al cambiamento climatico dalla paura alla speranza, dai vincoli economici alle opportunità commerciali. Questa nuova concezione sta manifestandosi proprio in questo periodo, nel momento in cui le industrie si precipitano a introdurre le energie rinnovabili, gli edifici sostenibili, la tecnologia di immagazzinamento dell'idrogeno, reti intelligenti di servizio pubblico, veicoli elettrici ricaricabili, preparando il terreno per una Terza Rivoluzione Industriale post-carbone.
La domanda più importante che dobbiamo porci, a questo punto, è la seguente: riusciremo a effettuare la transizione in tempo utile e a evitare di precipitare nell'abisso?
traduzione di Anna Bissanti
Tratto da: L'ESPRESSO
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