17/10/08

Jeremy Rifkin.: La triplice emergenza

di Jeremy Rifkin - 17 ottobre 2008

Credito, energia, cambiamenti climatici. Le crisi sono collegate e si alimentano reciprocamente. Per questo sono così difficili da battere. La soluzione è trasformarle in opportunità commerciali.

Ammesso che ce ne sia il tempo. Stiamo vivendo un periodo storico di enorme precarietà. Incombe infatti su di noi la prospettiva concreta di un tracollo economico globale, della portata di quello verificatosi durante la Grande Depressione negli anni Trenta. La crisi creditizia globale è aggravata dalla crisi energetica globale e dalla crisi del cambiamento del clima globale, e tutte insieme contribuiscono a creare un possibile cataclisma per la civiltà umana, diverso da qualsiasi altra cosa alla quale si sia assistito finora. Le tre crisi globali sono collegate tra loro e si alimentano reciprocamente. Affrontare questa triplice minaccia che incombe sul nostro stile di vita obbliga a dare il via a una nuova programmazione economica che riesca a trasformare in modo efficiente le avversità contingenti in altrettante opportunità.

L'attuale crisi creditizia, che sta dilagando in Europa e nel mondo intero, è iniziata nei primi anni Novanta. Da circa un decennio gli stipendi negli Stati Uniti erano fermi e in flessione. L'America è uscita dalla recessione degli anni 1989-1991, determinata almeno in parte da una contrazione del mercato immobiliare, estendendo a milioni di americani il credito al consumo. Il diffondersi di carte di credito facilmente ottenibili ha consentito ai consumatori statunitensi di acquistare beni e servizi ben al di là delle proprie effettive possibilità.

La 'cultura della carta di credito' ha incrementato il potere di acquisto e ha rimesso all'opera e al lavoro le aziende e i lavoratori americani per produrre tutti quei beni e quei servizi che erano acquistabili ricorrendo al credito. Negli ultimi 17 anni, i consumatori americani hanno sostenuto l'economia globale, in buona parte grazie agli acquisti effettuati con le carte di credito. Lo scotto pagato per mantenere l'economia globale sulle spalle di un debito al consumo sempre più alto negli Stati Uniti, tuttavia, ha comportato il dissolvimento dei risparmi delle famiglie americane. Nel 1991 i risparmi per nucleo familiare erano mediamente intorno all'8 per cento, mentre nel 2006 sono smaccatamente passati nella categoria dei passivi. Oggi una famiglia americana media spende più di ciò che guadagna: tale situazione si definisce 'reddito passivo', un ossimoro che ben rappresenta un approccio errato allo sviluppo economico.

A mano a mano che i risparmi delle famiglie sono diventati negativi, l'industria dei mutui e delle banche ha creato una seconda linea artificiale di credito, consentendo così alle famiglie americane di comperare una casa anticipando poco denaro o anche nulla e accendendo mutui di categoria subprime con bassi tassi di interesse a breve o brevissimo termine, mentre di fatto i tassi di interesse continuavano a salire e la rata in scadenza del mutuo era costantemente posticipata a un futuro indefinito. Milioni di americani hanno abboccato all'amo e si sono comperati case di valore molto superiore alla loro effettiva capacità di poterla pagare sul lungo periodo, creando così la nota bolla immobiliare. Ma è accaduto anche di peggio: comperando tutto a credito e necessitando di denaro contante, i proprietari di casa le hanno poi utilizzate alla stregua di sportelli bancomat e hanno rifinanziato i loro mutui, in qualche caso anche due o tre volte, ottenendo
così i soldi che volevano. Ora che la bolla immobiliare è scoppiata, milioni di americani si ritrovano sull'orlo del baratro e le banche rischiano il fallimento.

Dopo 17 anni vissuti alle spalle di un credito eccessivo, si è arrivati al punto che gli Stati Uniti adesso sono un'economia in completo sfacelo. Le passività lorde del settore finanziario statunitense, che nel 1980 erano pari al 21 per cento del Pil, hanno continuato incessantemente a salire nel corso degli ultimi 27 anni, arrivando nel 2007 a un assurdo 116 per cento del Pil. Considerato poi che le comunità bancarie e finanziarie statunitensi, europee e asiatiche sono ormai intimamente collegate tra loro, la crisi creditizia dall'America si è espansa a macchia d'olio, fino a investire l'intera economia globale.

A peggiorare le cose, la crisi creditizia globale ha subito un'ulteriore escalation negli ultimi due anni per l'impennata del prezzo del petrolio, che nel luglio 2008 ha raggiunto sui mercati mondiali la cifra di 147 dollari al barile. Questa impennata del greggio ha inferto un duro colpo all'inflazione, ha ridotto significativamente il potere di acquisto dei consumatori, ha rallentato la produzione e aumentato la disoccupazione, creando ancor più scompiglio e preoccupazione in un'economia già assillata dai debiti.

Ormai siamo di fronte a un nuovo fenomeno, detto 'Peak Globalization' (picco della globalizzazione), che si è verificato quando il petrolio ha toccato i 150 dollari al barile. Oltre questo livello, l'inflazione crea come un muro di sbarramento nei confronti di una crescita economica continuata, spingendo l'economia globale inesorabilmente indietro, verso la crescita zero. È solo con la contrazione dell'economia globale che il prezzo dell'energia ha ripreso a scendere in virtù della minore energia utilizzata.

L'importanza della 'Peak Globalization' non è sopravvalutata. La premessa essenziale della globalizzazione era che l'abbondanza di petrolio a basso prezzo avrebbe consentito alle grandi aziende di spostare i capitali in direzione dei mercati del lavoro a bassa retribuzione salariale, dove i prodotti alimentari e i manufatti possono essere realizzati con minima spesa e con ingenti margini di guadagno, per poi essere spediti in tutto il mondo. Questa premessa di base è sfumata, con conseguenze preoccupanti per il processo di globalizzazione.

Per comprendere come sia stato possibile arrivare a questo punto, occorre ritornare indietro nel tempo, per la precisione al 1979, l'anno in cui - secondo uno studio effettuato dalla BP, la compagnia petrolifera britannica - il petrolio globale pro capite toccò il suo picco massimo. Per l'opinione pubblica è decisamente più famigliare l'espressione 'picco della produzione globale di petrolio', che si riferisce al periodo temporale nel quale si esaurisce la metà del petrolio disponibile al mondo. Secondo i geologi il picco della produzione globale di petrolio molto verosimilmente dovrebbe aver luogo in un momento imprecisato compreso tra il 2010 e il 2035. Il picco della produzione petrolifera pro capite, invece, è il motivo per il quale il picco della globalizzazione si è verificato ben prima di quello della produzione petrolifera.

Dopo il 1979, la quantità di petrolio a disposizione di ogni essere umano ha iniziato a diminuire. Anche se da allora si sono scoperti altri giacimenti di greggio, il fatto che la popolazione terrestre aumenti di continuo significa che, se il petrolio fosse distribuito in modo uniforme a tutti gli esseri umani, ogni individuo si ritroverebbe meno petrolio a disposizione. Quando Cina e India negli anni Novanta hanno dato inizio al loro impressionante sviluppo, la loro richiesta di petrolio è schizzata alle stelle. La domanda ha cominciato a superare l'offerta e il prezzo del petrolio ha iniziato inesorabilmente a salire.

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