04/05/08

Gente di Dublino

Ma sì, brindiamo pure. Leviamo in alto le nostre pinte di Guinness e facciamo cin cin alla salute dei cittadini irlandesi, che ci hanno regalato qualche attimo di respiro. Ma rendiamoci conto che il progetto degli autocrati di Bruxelles – quello di un orwelliano governo centrale europeo che cancelli per sempre ogni sovranità nazionale – non è certo defunto, ma solo temporaneamente rallentato.

Fra tutte le dichiarazioni imbecilli sul risultato del referendum irlandese, spicca come sempre quella di Giorgio Napolitano, secondo la quale sarebbe ingiusto che all’1% degli europei sia concesso il diritto di decidere per tutti. Napolitano dimentica di dire che quell’1% è l’unica fetta di cittadini d’Europa a cui sia stato permesso di esprimere un parere sull’immondo Trattato di Lisbona. Con l’eccezione dell’Irlanda, il restante 99% dei cittadini d’Europa ha dovuto ingoiare il trattato a scatola chiusa, volente o nolente, senza potersi esprimere in merito. Se – come sarebbe giusto e opportuno, trattandosi di una decisione che pregiudica il nostro futuro – referendum come quello irlandese...

si fossero tenuti in tutti i paesi membri, i NO sarebbero stati una valanga di proporzioni continentali. Napolitano ha aggiunto che chi si oppone a una decisione presa da tutti i paesi europei (voleva dire: dagli equivalenti di Napolitano, presenti purtroppo in quasi tutti i paesi europei) dovrebbe star fuori dall’UE. Forse la vecchiaia gli ha danneggiato l’udito: è esattamente questo che gli irlandesi hanno chiesto col loro referendum.

Ogni volta che gli europei sono stati chiamati alle urne per decidere sull’unificazione economica e politica del continente, i risultati sono stati fallimentari per gli imperatori di Bruxelles. I cittadini di Francia e Olanda, con i referendum del 2005, avevano affossato la cosiddetta “Costituzione Europea” (in realtà un fogliaccio che con linguaggio magniloquente pretendeva di trasformare in Costituzione tutti i precedenti trattati, rafforzandoli e conferendo alle direttive la natura di “leggi”). Gli eurocrati non si fermarono di fronte a questa bocciatura: riproposero tale e quale il testo respinto da francesi e olandesi cambiandogli il nome in “Trattato di Lisbona”. Questa volta si evitò di pubblicizzare troppo l’accordo, memori dell’esperienza precedente. La maggior parte degli abitanti d’Europa, a tutt’oggi, non è al corrente neppure della sua esistenza, ancor meno dei suoi contenuti. La ratifica fu data dai governi dei paesi membri, senza che i cittadini venissero interpellati né informati. I referendum, si sa, sono uno strumento utile solo quando c’è da pronunciarsi sull’orario di apertura dei negozi. Ma quando è in ballo un trattato che assoggetterebbe tutti i paesi d’Europa alle scelte compiute da Cipro o dalla Bulgaria, meglio evitare di coinvolgere il popolo. Soprattutto se queste scelte riguardano materie fondamentali come quelle sul sistema giudiziario, sull’istruzione, sulle alleanze internazionali. Il risultato potrebbe non essere quello sperato da Barroso.

Quest’ultimo, incassata l’ennesima mazzata irlandese (la prima era stata quella del Trattato di Nizza, altro attentato alla sovranità nazionale sventato nel 2001 dai cittadini d’Irlanda, che San Patrizio li benedica), si è democraticamente affrettato a dichiarare che degli irlandesi non gliene frega nulla e che il processo delle ratifiche proseguirà senza interruzioni. Gli hanno fatto eco buona parte degli yes-men europei, il che ci dà un’idea di quale sarebbe l’autonomia dei governi nazionali se il progetto di Barroso e dei suoi burattinai dovesse diventare realtà. Il Parlamento Europeo ha votato contro una mozione che chiedeva il rispetto per i risultati del referendum irlandese. Gordon Brown ha telefonato a Sarkozy dicendo che la Gran Bretagna ratificherà comunque il Trattato. Perfino Peter Sutherland, irlandese ed ex commissario europeo, ha detto “non posso credere che non si riuscirà a trovare un sistema per procedere lo stesso”. Non è dunque escluso che l’UE decida di applicare comunque il Trattato di Lisbona, riservandosi di definire in seguito i rapporti con i paesi che lo hanno respinto (tra questi potrebbe esserci anche la Repubblica Ceca, il cui presidente, Vaclav Klaus, sta meditando di indire un referendum sull’argomento).

Comunque vadano le cose, la marcia degli eurocrati verso il superstato sarà tutt’altro che trionfale. L’UE è un progetto creato a tavolino, artificiale e privo di anima, avversato dalla stragrande maggioranza degli abitanti del continente e ideato al solo scopo di rispondere agli interessi di dominio globale di pochi potenti, corrispondenti pressappoco al gruppetto di criminali riunitosi a Chantilly (Virginia) qualche giorno fa. Le difficoltà nel tenere in piedi un progetto così estraneo alla storia e alla cultura dell’Europa sono evidenti già oggi. La Grecia, al summit Nato dello scorso aprile, ha bloccato l’ingresso nell’UE della Macedonia, adducendo le solite perplessità di denominazione; la Germania teme l’ingresso di Georgia e Ucraina e le tiene sotto stretto controllo; la Polonia, paese di tradizione cattolica in un’Unione fondata su basi laiche, potrebbe avere qualcosa da obiettare su molte direttive europee, per esempio quelle sulla pianificazione familiare. La stessa Irlanda, anch’essa cattolica, ha visto trionfare i NO sotto il timore di un’estensione forzata a tutti i paesi membri delle leggi che consentono l’aborto; timore non necessariamente irragionevole e comunque indice dell’abuso che si compie pretendendo di unire sotto un’unica normativa centrale paesi di cultura e tradizione così diversa.

E’ a queste schermaglie che il Trattato di Lisbona intendeva porre fine, limitando drasticamente il potere delle entità nazionali di bloccare le politiche centrali. Ma questo è proprio ciò che agli irlandesi non è piaciuto; e che non piacerebbe a nessun popolo europeo, se solo avesse la possibilità di esserne informato e di esprimere pareri su questioni diverse dalle nomination del Grande Fratello (il reality televisivo, non Barroso). Se il progetto centralista dovesse mai diventare realtà, esso sarebbe causa di tensioni fortissime all’interno delle singole (ex) entità nazionali, costrette a digerire direttive centrali dannose, ostili e distruttive delle diverse identità culturali. Gli interventi “pacificatori” delle forze di polizia centrali diventerebbero a quel punto sempre più frequenti. Gli irlandesi, essendo meno capitalisticamente evoluti, e dunque più intelligenti della media del gregge europeo, non ci sono cascati e hanno momentaneamente sabotato questo tritacarne legislativo.

A guidare il sabotaggio c’era il glorioso Sinn Fein, unico tra i partiti irlandesi a schierarsi contro il Trattato, unito al gruppo Libertas, guidato dal miliardario Declan Ganley. Questi due soggetti hanno ottenuto un risultato strepitoso, dimostrando che gli eurocrati di Bruxelles, mai eletti da nessuno, non sono invincibili e che con un po’ di determinazione e di organizzazione è possibile mettere i bastoni tra le ruote al loro progetto di dominio sul continente. La campagna per il NO ha conquistato adepti a destra e a sinistra, prendendo le difese dei diritti dei lavoratori e della sostenibilità fiscale, schierandosi contro le privatizzazioni e contro l’aborto. I sostenitori del SI’ hanno invece puntato tutto su una campagna terroristica, minacciando l’aggravarsi della crisi economica del paese e agitando lo spettro di una esclusione dell’Irlanda dai gloriosi destini europei. Alla fine è stata proprio la parte di popolazione più disagiata sul piano economico che ha voltato le spalle a questi mercanti di paura.

Scrive Harry Browne su Counterpunch: “Il problema del Trattato è che era fin troppo facile per gli elettori collegare gli attuali problemi economici dell’Irlanda con il suo ruolo in Europa. Con la crescita della disoccupazione, si fa più viva l’attenzione verso tutti gli immigrati dell’est europeo che vengono a lavorare qui; mentre i prezzi delle case colano a picco, il presidente della Banca Centrale Europea annuncia un innalzamento dei tassi d’interesse; mentre gli allevatori sono preoccupati per il proprio futuro, la UE si accorda con il WTO per consentire l’ingresso di maggiori quantità di carni sudamericane nei mercati europei; i pescatori, disperati per la crescita dei prezzi del combustibile, organizzano il blocco dei porti principali e allo stesso tempo inveiscono contro le quote imposte dalla UE, che li costringono a gettare via tonnellate e tonnellate di pescato”.

Il NO al Trattato – che avrebbe annullato l’influenza dell’Irlanda in Europa, aperto la porta a politiche fiscali imposte dall’esterno e posto le leggi dell’UE al di sopra di quelle irlandesi – è stato un disastro per il neoeletto primo ministro Brian Cowen, che aveva sostenuto la campagna per il SI’ con tutte le proprie forze. Ma il 53,4% dei suoi concittadini ha dimostrato ora di non gradire la sua linea politica. Dopo il referendum, Declan Ganley ha dichiarato, con giusta soddisfazione: “Non si doveva dare per scontata la volontà del popolo irlandese. Nella loro enorme saggezza, gli irlandesi hanno preso il trattato, hanno guardato i suoi articoli e a quanto sembra hanno inviato all’elite di Bruxelles, mai eletta da nessuno, lo stesso messaggio dei nostri colleghi europei di Francia e Olanda”. Ha aggiunto: “Per amor di verità, bisogna dire che Mr. Cowen e i sostenitori del SI’ hanno fatto tutto ciò che potevano – incluso il ricorso ad alcuni colpi bassi – per ottenere i risultati voluti da Bruxelles, quindi nessuno potrà rimproverarli per questo. Ma ora Mr. Cowen ha il dovere di tornare a Bruxelles per chiedere che venga stipulato un accordo migliore”.

Ganley si illude. Il Trattato di Lisbona passerà così come è stato studiato dai burocrati europei o non passerà affatto. Una versione “edulcorata”, che preveda maggiore autonomia e maggiori garanzie per i singoli paesi dell’Unione, non è prevista nel progetto accentratore degli eurosauri. Non c’è il tempo, né la voglia, né la forza di riscrivere un nuovo trattato partendo da zero. Per fortuna, Ganley e tutti coloro che si sono battuti per il NO non sono soli in Europa. L’insofferenza verso la prepotenza dittatoriale di Barroso, dei suoi predecessori ed eredi nella Commissione e dei loro manovratori inizia a diffondersi a macchia d’olio in molti governi europei. Non c’è solo la nostra Lega di governo ad esprimere soddisfazione per il risultato del referendum irlandese. Perfino nell’allineatissima Francia sarkoziana, il primo ministro francese Francois Fillon, aveva dichiarato, prima del voto in Irlanda: “Se gli irlandesi decideranno di respingere il Trattato di Lisbona, naturalmente non ci sarà nessun Trattato di Lisbona”. La rabbia verso gli schiavisti eurocratici inizia a diffondersi in ogni angolo del continente e il risultato del referendum irlandese potrebbe amplificarla. Il tempo dirà se il coraggio dell’isola verde ci ha salvato da un futuro di subordinazione eurocentrica o ci ha solo regalato un attimo di tregua nella marcia dolorosa verso il nuovo ordine mondiale.

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