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Il Blog ha intervistato Antonino Monteleone, giornalista calabrese, dopo il sequestro del suo blog.
"Ciao, mio chiamo Antonino. Ho 23 anni, sono l’organizer del MeetUp di Reggio Calabria e sono un giornalista. Nel 2006 ho aperto un blog, www.antoninomonteleone.it, nel quale spesso e volentieri ho raccontato ed espresso le mie opinioni e valutazioni su fatti e circostanze che ho vissuto per lavoro e riportato dei fatti che sui canali ufficiali non è sempre opportuno riportare. Da venerdì 6 giugno il mio blog è stato posto sotto sequestro: voglio spiegarvi il perché e come si è svolta l’intera vicenda. Subito dopo le elezioni politiche del 2006 decido di pubblicare gli stralci di un documento che durante la campagna elettorale riportava i curricula dei candidati alla Camera e al Senato che sarebbero stati eletti in Calabria perché presenti nelle liste in posizione utile. Parlava di ex consiglieri regionali candidati dopo essersi macchiati di gravi reati contro la pubblica amministrazione: turbativa d’asta, abuso d’ufficio. Ex deputati del centrodestra che passavano al centrosinistra nonostante accuse gravissime come il concorso esterno in associazione mafiosa. Spesso riportavo degli stralci di questo documento, in particolare si trattava quasi sempre di articoli che mettevano assieme pezzi di altri articoli di quotidiani nazionali. Parliamo di Repubblica, dell’Espresso, del Messaggero. Il 9 dicembre del 2006 pubblico un articolo dedicato all’onorevole Giuseppe Galati che all’epoca militava nell’UDC, che nel corso del governo Berlusconi uscito vincente nelle elezioni del maggio 2001 ha ricoperto l’incarico di sottosegretario alle attività produttive. Nel 2003 scoppia lo scandalo della Roma bene, l’operazione “Cleopatra” che porta all’arresto di Serena Grandi, alle indagini sul senatore Colombo. L’onorevole Galati emerge dagli atti del GIP del tribunale di Roma come consumatore abituale di cocaina che gli veniva fornita addirittura all’interno del ministero delle attività produttive di cui era sottosegretario. Scrivo questo articolo il 9 dicembre e il 26 febbraio 2007 ricevo da parte dell’on. Galati una email che era titolata come “Atto di interpello ai sensi dell’art. 7 della legge sulla privacy” con la quale mi chiedeva di indicare quali fossero le fonti dalle quali avevo tratto queste informazioni. Soprattutto mi diceva che avrebbe voluto rettificare alcune parti dell’articolo perché inesatte e incomplete e volte a gettare discredito sulla sua persona. Rispondo a questa email il 9 marzo. Non ho risposto subito perché, sorpreso da questa sua comunicazione, volevo raccogliere in maniera dettagliata tutte le fonti che stavano alla base di quell’articolo. Tra l’altro molti degli articoli di stampa si trovavano nella rassegna presente sul sito della Camera dei Deputati. Rispondo a questa email che ho avuto cura di inoltrare per conoscenza anche al Garante per la privacy. Nella stessa email chiedo all’on. Galati di indicarmi quali parti dell’articolo sarebbero state inesatte, incomplete, non veritiere affinché potessi assolvere a quel dovere di rettifica che la legge sulla stampa impone. Nulla. Il silenzio. Questo passaggio è anche riportato in una sentenza di primo grado per il ricorso ex art. 700, una procedura d’urgenza, che mi viene notificata nel luglio dello stesso anno, il 2007. Una bella mattina arriva l’ufficiale giudiziario che mi notifica questo atto di citazione. Il Galati, dopo non avere risposto alla mia email nella quale sollecitavo l’indicazione delle parti secondo lui diffamanti del mio articolo perché fossero modificate, decide di trascinarmi in tribunale. Prima di presentarmi nell’aula di giustizia difeso dal mio avvocato, che per fortuna è anche un mio amico, l’avv. Creaco, scrivo proprio sul blog che il Galati per l’articolo scritto a dicembre mi aveva querelato e che avrei avuto la prima udienza il primo agosto dello stesso anno, due settimane dopo. L’avvocato del Galati chiederà al giudice di stabilire anche che il fatto di aver dato conto dell’imminenza del giudizio, del calendario delle udienze, costituiva una reiterazione della mia condotta diffamante nei suoi confronti. Fatto sta che, essendo stato presentato un ricorso per la tutela d’urgenza ex articolo 700 del codice di procedura penale, il giudice non ravvisa gli elementi fondanti di questa tutela che sono il periculum in mora e il fumus boni iuris dell’eventuale reato contestato e quindi rigetta questo ricorso e condanna il Galati al rimborso delle spese processuali. Questa sentenza viene appellata dal Galati. Ma entriamo nel merito dei dettagli.
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