17/06/08

Nucleare? Sì, grazie. Ma non di stato

Fonte articolo

Vent’anni dopo averla abbandonata, si torna a parlare di energia nucleare come di una fonte energetica che possa soddisfare una parte della crescente domanda di elettricità del nostro Paese. La scelta compiuta con il referendum del 1987, dettata dalla paura più che da una valutazione razionale, fu un grave errore in sé oltre che per le sue modalità di attuazione. A differenza di quanto accaduto in Germania, dove l’uscita dal nucleare è stata pianificata con gradualità decidendo di utilizzare gli impianti esistenti fino al termine della loro vita tecnica, l’Italia decise di buttare al macero centrali nel pieno dell’attività o, addirittura, come nel caso di Montalto di Castro, senza che avessero ancora prodotto un solo kwh di energia. Scelta particolarmente gravosa sotto il profilo economico, poiché, a differenza di quanto accade con le centrali convenzionali, i costi di investimento delle centrali nucleari rappresentano la quota prevalente dei costi totali di produzione. La decisione dell’abbandono dell’atomo fu fondata su un presupposto non rispondente alla verità, ossia che la produzione di energia nucleare costituisse un rischio più elevato rispetto a quello derivante dall’uso dei combustibili fossili oppure a quello correlato ad altre attività industriali o ad azioni che, di norma volontariamente, svolgiamo nella nostra vita di tutti i giorni come guidare un’auto o fare i lavori domestici. L’episodio di gran lunga più grave nella storia del nucleare è stato quello di Chernobyl. Come attestato di recente dal rapporto del "Chernobyl Forum", un organismo formato da otto agenzie delle Nazioni Unite, tra le quali l’Oms e la Fao e l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, fino ad ora sono attribuibili direttamente a quell’incidente meno di cinquanta decessi registrati quasi esclusivamente tra gli addetti che operarono nei pressi dell’impianto. Furono infatti meno di duecento le persone che ricevettero elevate dosi di radiazione, mentre la quasi totalità della popolazione fu assoggettata a piccole dosi, confrontabili con il livello naturale. Nel rapporto del Chernobyl Forum si ipotizza che, nel lungo periodo, le radiazioni causate dall’incidente potrebbero causare quattromila morti. La stima si basa su assunzioni pessimistiche e contraddette da numerosi dati empirici: per esempio, non si è registrato un incremento dei casi di cancro tra i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki che ricevettero una quantità di radiazioni fino a cento volte superiore al livello naturale. Analogamente, studi epidemiologici condotti in Iran, India, Cina, Brasile e Norvegia, dove il livello di radiazione è superiore di cinquanta-cento volte rispetto a quello che interessa la maggior parte della terra, hanno mostrato come l’incidenza delle malattie e la speranza di vita media siano analoghe a quelle delle altre zone del pianeta.

Il più grave impatto negativo dell’incidente di Chernobyl non è stato quello causato dalle radiazioni ma, paradossalmente, quello attribuibile al timore delle stesse creato nella popolazione ed alla evacuazione di oltre 350mila persone solo in minima parte realmente necessaria per evitare rischi sanitari. Molti abitanti hanno sofferto di problemi gastrointestinali ed endocrinologici non correlati alle radiazioni e hanno subito le evidenti ricadute negative conseguenti allo sconvolgimento delle relazioni famigliari e sociali.
Ancora più tragiche sono state le conseguenze che l’ingiustificato allarme ha determinato in tutta l’Europa: si stima che nei mesi successivi all’incidente di Chernobyl alcune decine di migliaia di donne abbiano abortito temendo inesistenti danni ai feti a causa delle radiazioni.

Non sembra quindi essere quello della scarsa sicurezza un motivo valido per dire no al nucleare. D’altra parte, nessuno ha mai proposto la messa al bando dell’energia idroelettrica (che, anzi, viene considerata dagli ambientalisti come una fonte di energia “amica” dell’ambiente) benché nello scorso secolo si siano verificati in tale settore disastri di dimensioni assai più rilevanti rispetto a Chernobyl, tra i quali il crollo nel 1976 della diga sullo Yantze in Cina che provocò 200mila morti o, per restare in Italia, il crollo della diga di Gleno (209 decessi) e la tragedia del Vajont (duemila vittime). Fortunatamente, in quei casi, la razionalità prevalse sulla paura. Non si è detto: è pericoloso e quindi abbandoniamo tale forma di produzione di energia ma si è lavorato per rendere più sicura la tecnologia in uso analogamente a quanto accaduto negli altri settori durante gli ultimi centocinquant’anni: i primi aerei, le prime auto erano centinaia di volte più pericolosi di quelli attuali. Un po’ alla volta, anche imparando dagli errori commessi, il livello di sicurezza è cresciuto fino agli elevati standard attuali.

Per quanto concerne poi la gestione delle scorie e la proliferazione nucleare, quale che sia il giudizio relativo alla serietà di tali problemi, occorre sottolineare che l’eventuale decisione del nostro Paese di ritornare al nucleare non ne muterà la rilevanza; se i problemi sono seri, occorre investire più risorse per risolverli. Qualche tonnellata di uranio prodotto in più ogni anno non comporterà incrementi di rischio tali da influire sulla scelta da adottare.
Il fatto che il nucleare sia sicuro o, quantomeno, più sicuro di altre attività che non destano alcuna particolar preoccupazione, non comporta di per sé un giudizio positivo in merito all’opportunità di utilizzarlo nuovamente. Come le energie rinnovabili, in passato, il settore nucleare in Italia è sempre vissuto tra le amorevoli braccia dello stato e non ha mai dovuto preoccuparsi di essere competitivo rispetto alle altre forme di produzione di energia (sebbene gli inizi dell’avventura, prima che lo Stato si accorgesse dell’esistenza dell’energia nucleare, fossero stati rigorosamente privati). Oggi, la situazione è profondamente cambiata rispetto al 1987. In un mercato liberalizzato non deve essere lo stato a decidere quanti impianti realizzare né, tantomeno, gli stessi debbono essere costruiti con fondi pubblici. Il nucleare deve essere in grado di farcela da solo senza aiuti. Nessuno, né il ministro Scajola né i funzionari del suo ministero, è in grado di valutare l’opportunità o meno di investire nel settore, meglio di quanto sia interessato a fare un imprenditore privato. Come ha sottolineato Carlo Stagnaro su realismoenergetico.blogspot.com, in una nuova stagione del nucleare, allo stato dovrebbe esclusivamente spettare il compito di assicurare i potenziali investitori che tra cinque, dieci o vent’anni, non ci sarà qualcuno che, con un tratto di penna, potrà decidere che una centrale pronta a partire dovrà essere mandata in pensione perché giudicata troppo pericolosa. È, oggi, il governo in grado di dare tale assicurazione?

Da Libero Mercato, 27 maggio 2008

2 commenti:

  1. GUARDATI QUESTA

    Nel 2000: 1 $ = 1.2 €
    1 barile di petrolio = 60 $
    e quindi 1 barile = 72 €


    Oggi: 1 $ = 0.62 €
    1 barile circa 115 $
    e quindi 1 barile = 71,3 € (Oups !)

    La domanda è:
    Se in Europa il barile costa uguale rispetto al 2000 Perchè la benzina è aumentata così enormemente?

    La crisi del petrolio non sembra cosi drammatica per chi vende la benzina e lo stato che incassa le tasse, ne per l'Enel che aumenta le bollete, ecc....

    Sembra una bella presa in giro...

    Però la situazione non è cosi terribile pensate a quando il dollaro siriprenderà!

    ……Non abbiamo finito di pagare.

    Per cortesia, questo messaggio deve essere letto dal piu' grande numero di persone possibile, …magari finirà per arrivare fino ad uno dei
    cervelloni che ci governano e qualcuno ci potrà spiegare perchè paghiamo sempre più caro un bene che costa sempre uguale !!!
    ……magari ci incazziamo tutti nella consapevolezza diffusa che ci stanno pigliando in giro (come sempre) e chissà........

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  2. 439 sono i reattori nucleari funzionanti nel mondo (104 USA, 59 Francia, 55 Giappone, 31 Russia)
    - questa produzione copre il 6,4% di tutta la energia prodotta nel mondo, e il 15% dell’energia elettrica mondiale
    - il fotovoltaico copre il 6,4 della produzione globale di elettricità (fonte European Photovoltaic Industry Association), cresce del 40% annuo
    - nel 2006 l’eolico copriva l’1% della produzione globale, cresce del 25% annuo
    - dal 1978 negli Usa e dal 1991 in Francia non sono state più costruite nuove centrali nucleari
    - secondo AIEA (agenzia internazionale energia atomica) le riserve di uranio sono di 4,7 milioni di tonnellate e si trovano in Australia (28%), Kazakistan (18%) e Canada (12%)
    - l’uranio andrà in esaurimento a consumo attuale, nel 2055, con nuove centrali molto prima. Il costo dal 2005 al 2008 si è quadruplicato (da 20 a 85 dollari)
    - problema irrisolto: lo stoccaggio delle scorie. Solo gli USA hanno realizzato una soluzione, ma soltanto per lo stoccaggio delle scorie di 2° grado, mentre resta incerto il destino delle scorie di 3° grado (ad alta radioattività), che restano accantonate all’interno delle centrali
    - nessuna persona onesta è in grado di definire il costo del kilowattora nucleare, perché al prezzo di costruzione della centrale, quelle di ultima generazione costano 4/5miliardi di dollari (fonte Rubbia), si deve aggiungere, dopo circa 40 anni di esercizio, il costo dello smantellamento e lo stoccaggio delle scorie, processo che costa più della costruzione della centrale nuova, a cui si deve aggiungere il costo della sorveglianza dei siti di stoccaggio per centinaia di anni
    - per costruire la centrale Usa di Maine Yankee negli anni 60 sono stati spesi 231 milioni di dollari, recentemente ha finito il suo ciclo produttivo e per smantellarla sono stati stanziati 635milioni di dollari

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