l'Unità, 2 agosto 2008
“Una minoranza prepotente e chiassosa decide per tutti chi debba essere abilitato o meno alla commemorazione delle vittime della strage di Bologna… Esplode il coro minaccioso… Hanno vinto i professionisti della minaccia, le minoranze guastatrici incapaci di rinunciare a un rito violento… lo scatenamento della piazza… chi del fischio in piazza ha fatto un mestiere mediaticamente remunerativo… il pregiudizio e l’odio politico”. Insomma, “il 2 agosto è stato macchiato ancora una volta da una minoranza prepotente. Le vittime della strage non meritavano di essere trattate così nella memoria collettiva”.
Uno, magari di prima mattina, magari spaparanzato sulla spiaggia, legge queste allarmanti parole sulla prima pagina del Corriere della sera di ieri, sotto il titolo “L’arma della minaccia” e a firma nientemenochè del vicedirettore Pierluigi Battista, e si inquieta, si angoscia, si rovina la giornata. Oddìo, dov’è successo il fattaccio? E chi è stato? E ci saranno dei superstiti? E quante le vittime di cotanta, e ovviamente cieca, violenza? Ci saranno dei feriti, dei contusi? E i colpevoli sono già stati assicurati alla giustizia o magari ancora latitano, liberi di ridare sfogo allo scatenamento, alla minaccia, alla prepotenza, al pregiudizio, all’odio politico e - Dio non voglia - al fischio in piazza? Poi il lettore si inoltra nella lettura del giornale e scopre che non è successo niente di niente. La strage di Bologna non è ancora stata commemorata, Piazza Maggiore è ancora deserta, nessuno ha fischiato nessuno (a parte un paio di vigili urbani alle prese con qualche motociclista in senso vietato). Ma Pigi, sempre previdente, ha pensato bene di anticipare gli eventi con un editoriale preventivo. E’, costui, una sorta di estintore a mezzo stampa, sempre intento a spegnere fuochi prim’ancora che le fiamme divampino. Al primo fil di fumo, magari fuoriuscito dal sigaro di un turista tedesco, balza sul primo Canadair disponibile e scarica sul luogo del fattaccio tonnellate d’acqua. Ultimamente lo sgomentano molto i fischi, che nelle democrazie normali, ma anche nei loggioni dei teatri lirici, sono strumenti di ordinaria espressione del dissenso. Ma lui vi intravede “un rito violento” e li denuncia prima ancora che partano. Ricorda un po’ quei ciclisti che s’imbottiscono di Epo in estate, con largo anticipo sulla stagione agonistica, e poi son costretti a dare ogni tanto una pedalata, anche in ferie, per diluire il sangue ridotto a Nutella.
L’altro giorno, da uno delle migliaia di inutili lanci d’agenzia che si ammonticchiano nelle redazioni attanagliate dalla canicola, apprende che alcuni esponenti bolognesi di Rifondazione si appresterebbero a fischiare il ministro Alfano, nel caso in cui si presentasse a commemorare il 28° anniversario della strage di Bologna a nome del governo Berlusconi. E dove sarebbe la notizia? A parte il fatto che uno come Alfano va contestato ogni volta che apre bocca, viste le corbellerie che ne escono a getto continuo, ci sarebbe da meravigliarsi se la sinistra radicale annunciasse per lui applausi e festeggiamenti. Alfano è l’ex segretario di Berlusconi, ora suo ministro della Giustizia ad personam, che gli ha confezionato su misura la legge blocca-processi e poi il Lodo dell’impunità e ora, non contento, annuncia per settembre altre mirabolanti “riforme della giustizia”: dalla separazione della carriere alla fine dell’obbligatorietà dell’azione penale all’asservimento politico del Csm, tutta roba copiata di sana pianta dal Piano di rinascita democratica della loggia P2. Quella loggia che, col suo maestro venerabile Licio Gelli, depistò le indagini sulle stragi e alla quale erano affiliati il premier Silvio Berlusconi e il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto.
Ci sarebbe dunque qualcosa di strano se, dalla piazza, si levasse qualche fischio all’indirizzo del signorino? A ciò si aggiunga che uno stuolo di parlamentari di An avevano chiesto ad Alfano di cogliere l’occasione della ricorrenza per ribaltare, in piazza, la sentenza definitiva della Cassazione che ha condannato Giusva Fioravanti e Francesca Mambro come esecutori materiali della strage di Bologna, sposando bislacche “piste alternative” come quella palestinese. Che avrebbero dovuto fare, i bolognesi: annunciare applausi entusiasti, ricchi premi e cotillons? Di tutte queste provocazioni, però, Battista s’è dimenticato di scrivere. Anzi, forse non se n’è neppure accorto. La sua concezione pompieristica del giornalismo lo porta a tralasciare le travi governative per concentrarsi sulle pagliuzze dell’opposizione. Non vede nulla di quel che accade (Lodo, impunità, revisionismo, razzismo, piduismo di ritorno), ma in compenso vede benissimo quel che non accade (i fischi). Tant’è che sul Lodo, la bloccaprocessi, la legge bavaglio alla stampa, la schedatura dei bambini rom, le denunce dell’Europa contro l’Italia e le altre vergogne dei primi tre mesi di governo non ha ancora scritto una riga, mentre agli eventuali fischi non ancora accaduti ha già dedicato un vibrante editoriale.
Berlusconi chiama “eroe” Mangano e “metastasi” la magistratura, Gasparri dà della “cloaca” al Csm, Bossi infila il dito medio nell’Inno nazionale e annuncia 300 mila fucili pronti a sparare, ma Pigi si sveglia soltanto quando un anonimo rifondarolo bolognese annuncia qualche fischio al ministro Alfano: questa sì è “violenza”, questa sì è “minaccia”. Si ripete così, paro paro, la pantomima della presunta “cacciata del Papa dalla Sapienza”: un gruppo di studenti e insegnanti annunciò di voler contestare il Pontefice, il quale preferì rinunciare alla visita, e subito il coro dei tromboni cominciò a suonare la grancassa su una “censura” mai avvenuta. Ora Alfano, ben sapendo di essere quello del Lodo e della guerra alla Giustizia, annusa l’aria che tira a Bologna e, coraggiosamente, se la dà a gambe di fronte al rischio di quattro fischi in piazza. Il governo gli copre la ritirata con un tragicomico comunicato in cui gli chiede “il sacrificio di rinunciare”. E, al suo posto, manda l’incolpevole ministro Rotondi, nella speranza che non venga riconosciuto. Per chi non lo sapesse, è quello che l’altro giorno svelava a La Stampa il principio ispiratore della prossima riforma della magistratura: “Colpirne uno per educarne cento”. Un “uomo del dialogo”, direbbe Battista. Oggi si prega vivamente di applaudirlo. Anzi, possibilmente, di fargli la ola.
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