“Colloquio con Roberto Morrione, curatore di “Giornalismi e Mafie” – edito da EGA per il premio Ilaria Alpi e Libera Informazione, nelle librerie a 14 euro
di Arcangelo Ferri
Siamo noi giornalisti i latitanti?
Non a caso il libro si chiama Giornalismi e Mafie. Ci sono vari modi di fare giornalismo, e ci sono giornalisti che si espongono in prima linea, e come si dice di solito a schiena dritta. E ci sono invece giornalisti che non possono fare inchieste, approfondire la realtà perché magari il loro editore in realtà non e’ un vero editore ma e’ legato a interessi di altra natura, a comitati di affari veri e propri, e alle volte, soprattutto nei territori occupati dalle mafie, e’ contiguo con l’illegalità’.
Noi abbiamo incontrato come Libera informazione, nel corso di undici seminari in cinque regioni meridionali, molti cronisti di giornali e di televisioni locali che sono completamente condizionati da direttive editoriali che impediscono di fare inchieste di qualsiasi tipo, soprattutto quando queste inchieste metterebbero in luce complicità o contiguità con interessi mafiosi di politici o noti personaggi del mondo imprenditoriale. Allo stesso modo, all’interno di questi giornali ci sono molti casi di sfruttamento di giovani che hanno la passione del giornalismo, ma vengono costretti a lavorare gratis o pagati con cifre vergognose, 3 o 5 euro a servizio.
Ma i giornalisti con la schiena dritta ci sono, come riportano le testimonianze presenti nel libro.
In “Giornalismi e Mafie” abbiamo riportato la testimonianza di cronisti di prima linea che, nonostante condizionamenti e rischi fanno fino in fondo il loro mestiere. Dal sud al nord, perché le mafie sono dovunque.
Nel capitolo che ha scritto lei parla di un debito.
Credo che l’informazione abbia una responsabilità enorme nella crescita ormai vertiginosa dell’illegalità e nell’espansione della criminalità mafiosa. L’informazione ha un debito verso i cittadini italiani innanzitutto, e anche verso se stessa: non ha tenuto sempre le luci accese sul sistema che ha permesso la crescita dei poteri criminali, cioè i collateralismi e le complicità di una parte della politica, di amministratori e di una vasta zona grigia che oramai si identifica in sostanza con gli interessi mafiosi. C’e’ chi ha parlato nei nostri seminari della necessità di una rivoluzione culturale nel giornalismo ma non si vede chi sia in grado di costruirla. Il libro chiede dunque un profondo esame di coscienza, riforme in profondità, a partire dai conflitti di interesse grandi e piccoli, un intervento delle organizzazioni dei giornalisti. Innanzitutto per assistere e affiancare i cronisti con la schiena dritta.
di Arcangelo Ferri
Siamo noi giornalisti i latitanti?
Non a caso il libro si chiama Giornalismi e Mafie. Ci sono vari modi di fare giornalismo, e ci sono giornalisti che si espongono in prima linea, e come si dice di solito a schiena dritta. E ci sono invece giornalisti che non possono fare inchieste, approfondire la realtà perché magari il loro editore in realtà non e’ un vero editore ma e’ legato a interessi di altra natura, a comitati di affari veri e propri, e alle volte, soprattutto nei territori occupati dalle mafie, e’ contiguo con l’illegalità’.
Noi abbiamo incontrato come Libera informazione, nel corso di undici seminari in cinque regioni meridionali, molti cronisti di giornali e di televisioni locali che sono completamente condizionati da direttive editoriali che impediscono di fare inchieste di qualsiasi tipo, soprattutto quando queste inchieste metterebbero in luce complicità o contiguità con interessi mafiosi di politici o noti personaggi del mondo imprenditoriale. Allo stesso modo, all’interno di questi giornali ci sono molti casi di sfruttamento di giovani che hanno la passione del giornalismo, ma vengono costretti a lavorare gratis o pagati con cifre vergognose, 3 o 5 euro a servizio.
Ma i giornalisti con la schiena dritta ci sono, come riportano le testimonianze presenti nel libro.
In “Giornalismi e Mafie” abbiamo riportato la testimonianza di cronisti di prima linea che, nonostante condizionamenti e rischi fanno fino in fondo il loro mestiere. Dal sud al nord, perché le mafie sono dovunque.
Nel capitolo che ha scritto lei parla di un debito.
Credo che l’informazione abbia una responsabilità enorme nella crescita ormai vertiginosa dell’illegalità e nell’espansione della criminalità mafiosa. L’informazione ha un debito verso i cittadini italiani innanzitutto, e anche verso se stessa: non ha tenuto sempre le luci accese sul sistema che ha permesso la crescita dei poteri criminali, cioè i collateralismi e le complicità di una parte della politica, di amministratori e di una vasta zona grigia che oramai si identifica in sostanza con gli interessi mafiosi. C’e’ chi ha parlato nei nostri seminari della necessità di una rivoluzione culturale nel giornalismo ma non si vede chi sia in grado di costruirla. Il libro chiede dunque un profondo esame di coscienza, riforme in profondità, a partire dai conflitti di interesse grandi e piccoli, un intervento delle organizzazioni dei giornalisti. Innanzitutto per assistere e affiancare i cronisti con la schiena dritta.
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