Il vangelo dei banditi legalizzati dell'economia canaglia
Maurizio Gasparello
E l’On. Roberto Castelli (Lega Nord) disse: “gli imprenditori hanno il dovere individuale e sociale di fare profitti”. (da “AnnoZero” del 25 settembre 2008, per giustificare il sacco di Alitalia da parte di CAI, con il quale sono stati socializzati i debiti e le perdite della compagnia aerea a carico dei cittadini, privatizzando la parte sana dell’azienda a vantaggio di 16 imprenditori della rapina di Stato, effettuata tenendo in pugno le armi del ricatto occupazionale).
I banditi nomadi dell’economia canaglia mettono i profitti (meglio sarebbe dire la massimizzazione dei profitti nel breve termine) sopra ogni cosa: se oggi aumentare i profitti vuol dire chiudere una fabbrica, portarla in Cina per utilizzare manodopera a basso costo ipersfruttata e senza tutele sociali e sanitarie, creare dicoccupazione in Italia e, sull’area industriale dismessa, costruire palazzi, nell’ottica del dio denaro tutto questo è perfettamente legittimo. I banditi nomadi, per definizione, sono totalmente irresponsabili delle conseguenze che ricadono sui territori e le popolazioni oggetto delle loro razzie.
Con la globalizzazione, i banditi nomadi dall’economia canaglia godono di immense praterie sovranazionali, all’interno delle quali effettuare le loro scorribande: più aumentano gli spazi a disposizione per i loro saccheggi più aumentano le opportunità per fare profitti, ed è per questo che l’deologia della globalizzazione, che agita la banderuola solidale del “più sviluppo per tutti”, è la trovata con la quale il capitalismo di rapina cerca di legittimare la sua condotta ed i suoi interessi criminali, perfettamente legalizzati all’interno del reggente sistema di libero mercato selvaggio.
Il problema è che, così facendo, l’economia canaglia indebolisce le strutture economiche, giuridiche e sociali degli Stati Nazionali, gli stessi che permettono al capitalismo di vivere e prosperare. Scrive infatti Adam Smith ne “La ricchezza delle nazioni”:
Commercio e manifatture possono raramente fiorire a lungo in uno stato che non goda di una regolare amministrazione della giustizia, in cui la popolazione non si senta sicura nel possesso della sua proprietà, in cui il rispetto dei contratti non sia tutelato dalla legge e in cui si ritenga che l’autorità dello stato non sia regolarmente usata per costringere al pagamento dei debiti tutti coloro che possono farlo. In breve, commercio e manifatture possono raramente prosperare in uno stato in cui non vi sia un certo grado di fiducia nella giustizia e nel governo.
I banditi nomadi dell’economia canaglia mettono i profitti (meglio sarebbe dire la massimizzazione dei profitti nel breve termine) sopra ogni cosa: se oggi aumentare i profitti vuol dire chiudere una fabbrica, portarla in Cina per utilizzare manodopera a basso costo ipersfruttata e senza tutele sociali e sanitarie, creare dicoccupazione in Italia e, sull’area industriale dismessa, costruire palazzi, nell’ottica del dio denaro tutto questo è perfettamente legittimo. I banditi nomadi, per definizione, sono totalmente irresponsabili delle conseguenze che ricadono sui territori e le popolazioni oggetto delle loro razzie.
Con la globalizzazione, i banditi nomadi dall’economia canaglia godono di immense praterie sovranazionali, all’interno delle quali effettuare le loro scorribande: più aumentano gli spazi a disposizione per i loro saccheggi più aumentano le opportunità per fare profitti, ed è per questo che l’deologia della globalizzazione, che agita la banderuola solidale del “più sviluppo per tutti”, è la trovata con la quale il capitalismo di rapina cerca di legittimare la sua condotta ed i suoi interessi criminali, perfettamente legalizzati all’interno del reggente sistema di libero mercato selvaggio.
Il problema è che, così facendo, l’economia canaglia indebolisce le strutture economiche, giuridiche e sociali degli Stati Nazionali, gli stessi che permettono al capitalismo di vivere e prosperare. Scrive infatti Adam Smith ne “La ricchezza delle nazioni”:
Commercio e manifatture possono raramente fiorire a lungo in uno stato che non goda di una regolare amministrazione della giustizia, in cui la popolazione non si senta sicura nel possesso della sua proprietà, in cui il rispetto dei contratti non sia tutelato dalla legge e in cui si ritenga che l’autorità dello stato non sia regolarmente usata per costringere al pagamento dei debiti tutti coloro che possono farlo. In breve, commercio e manifatture possono raramente prosperare in uno stato in cui non vi sia un certo grado di fiducia nella giustizia e nel governo.
Aveva quindi ragione Marx quando sosteneva che i capitalisti segano il ramo dell’albero sul quale stanno seduti: il guaio è che, purtroppo, sotto quella pianta ci stiamo seduti tutti, e finiremo inevitabilmente per prenderci sulla testa il crollo di quelli che stanno di sopra. L’unico rimedio è togliere ai capitalisti, dalle mani e dalle teste, le seghe con le quali ci stanno abbattendo l’albero, iniziando con il consapevole rifiuto della loro morale e della loro ideologia da stolti: “Lo stolto non vede lo stesso albero che vede il saggio” (William Blake).
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