13/10/08

Strani cambiamenti dei contributi alla stampa in Italia

[Journalisten]
Ancora una volta, la libertà d’espressione è in discussione in Italia. Questa volta però la questione centrale non riguarda il fatto che il maggior dominatore dei media sia allo stesso tempo primo ministro.
Stavolta si tratta dei contributi alla stampa, che in Italia vengono pagati a giornali guidati da cooperative di giornalisti, partiti politici o enti senza scopo di lucro. Il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha deciso con un decreto di tagliare i contributi alla stampa di 83 milioni di euro per il 2009 e 100 milioni di euro per il 2010. In questo modo, secondo i calcoli vengono messi in pericolo una cinquantina di quotidiani e riviste, grandi e piccoli.
Alcuni hanno una lunga storia alle spalle. Si tratta ad esempio del leggendario quotidiano di sinistra Il Manifesto, del quotidiano della conferenza episcopale italiana l’Avvenire, de Il Secolo d’Italia del partito postfascista Alleanza Nazionale e del giornale del maggior partito di opposizione (Partito Democratico), l’Unità. Anche il classico Noi Donne, delle femministe italiane, rimane senza contributi, solo per citarne alcuni.
Purtroppo, editori scorretti si sono intrufolati in questo gruppo approfittando della generosità dello stato, che cerca di difendere la pluralità. Secondo le vecchie regole, i contributi alla stampa venivano infatti pagati non in base alla vendita di copie o agli abbonamenti, ma in relazione a quante copie stampate il giornale in questione poteva esibire. Era perciò possibile ottenere contributi per 100 000 esemplari, anche se le vendite erano inesistenti. Ci si può naturalmente interrogare sul perché lo stato dovrebbe finanziare riviste come Fare Vela o Trenta Giorni nella Chiesa e nel Mondo. Questa è una delle ragioni per cui l’indignato giullare e propagandista Beppe Grillo da un po’ di tempo porta avanti la questione dell’abolizione dei contributi. Ma in questo caso Grillo si sbaglia. In Italia la televisione è la fonte d’informazione che oscura tutto il resto per la stragrande maggioranza della popolazione. Una televisione che a sua volta è nelle mani del potere politico in generale e del primo ministro in particolare.
Se a questo aggiungiamo che i maggiori quotidiani di informazione vengono usati in primo luogo per servire gli interessi economici e politici dei loro potenti proprietari, ecco che l’immagine diventa ancora più chiara.
In una situazione mediatica di questo genere, c’è bisogno di quotidiani pubblicati da cooperative di giornalisti e da enti senza scopo di lucro, da partiti politici, da organizzazioni per i diritti dei cittadini e dalla chiesa. Ce n’è bisogno per equilibrare e per far sentire voci diverse accanto ad una spaventosa concentrazione di proprietà che cerca di ottenere il monopolio dell’opinione pubblica.
Tutti sono d’accordo sul fatto che le vecchie regole sui contributi alla stampa devono essere cambiate per evitare che si abusi del sistema. La ”riforma” del governo non porta però a nessun miglioramento. Prima i contributi a un certo quotidiano venivano stanziati in anticipo, e la direzione del giornale poteva così ottenere prestiti bancari in attesa dei soldi. Da ora in poi i contributi dipenderanno da quanti soldi rimangono una volta stabilito il piano finanziario. Insomma, nessuno può sapere in anticipo quanto verrà pagato ad ogni giornale. L’equazione è semplice: senza garanzie niente prestiti bancari e senza prestiti niente giornale.
Ah già, i nuovi contributi alla stampa hanno anche un altro punto debole: i contributi indiretti non vengono toccati. Si tratta dei cosiddetti contributi postali, pagati ai maggiori editori italiani per rimborsarli parzialmente delle loro spese di distribuzione. La casa editrice Mondadori di Silvio Berlusconi può quindi mantenere i suoi 18,8 milioni di euro come contributo per l’acquisto di francobolli (?) ed il giornale dell’associazione industriale Confindustria, Il Sole 24 Ore, i suoi 17,8. Anche la casa editrice Rcs del Corriere della Sera potrà contare su 13,7 milioni di euro, mentre il Manifesto è sull’orlo del precipizio dato che i suoi contributi di 4 milioni di euro sono in pericolo. Lunga vita alla pluralità!

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