Il G20 dovrà indicare la nuova architettura delle regole di supervisione del mondo finanziario. Tra le proposte, collegi di supervisori per i grandi gruppi internazionali, codici di condotta per tutti gli investitori istituzionali, armonizzazione delle regole sul capitale delle banche. Ma non basta definire norme condivise, serve qualcuno in grado di applicarle. Un ruolo che potrebbe svolgere il Fondo monetario internazionale, se si procedesse a una revisione dei suoi meccanismi di governo. Necessario anche un profondo rinnovamento delle classi dirigenti.
Il prossimo G20 sarà uno degli appuntamenti più difficili della storia dei vertici internazionali. Di fonte a una crisi definita come la più vasta dell’era della globalizzazione e i cui effetti politici sono stati equiparati dal ministro delle Finanze tedesco alla caduta del muro di Berlino, le aspettative sono molte e sono molti anche i rischi di un flop. Nessuno si aspetta miracoli che in un battibaleno plachino i venti di tempesta e riportino la bonaccia, ma dopo tanti annunci, deludere le attese di un intervento serio ed efficace potrebbe causare pericolose reazioni a catena sui mercati. La posta in gioco è fin troppo nota: il governo della finanza senza confini con regole e giurisdizioni nazionali non serve né a prevenire le crisi con un solido apparato dei controlli, né a risolverle quando sono scoppiate. Anzi, il fatto che ciascuno cerchi la propria strada crea ulteriori squilibri sui mercati e le aggrava.
C’è bisogno, quindi, di terapie forti e coraggiose che non possono fare affidamento solo sulle tradizioni della cooperazione internazionale, che pure qualche buco l’ha messo in evidenza. Così tutti, un con un po’ di retorica, invocano una nuova architettura della supervisione internazionale, salvo poi lanciare messaggi ambigui e fumosi su cosa concretamente ci debba stare in questa nuova architettura.
PRIMI PASSI AVANTI
La presidenza francese della Comunità europea e il governo di Gordon Brown hanno avuto il merito di avanzare proposte concrete, come la creazione di collegi di supervisori per i grandi gruppi internazionali, l'adozione di codici di condotta per i fondi sovrani(1), l’armonizzazione delle regole sul capitale delle banche per rendere comparabili i livelli di patrimonializzazione. Importante anche l’attribuzione al Fondo monetario internazionale di un ruolo di “centrale d’allarme” sui fenomeni di patologia per favorire interventi di prevenzione coordinati ed evitare che decisioni destinate ad avere conseguenze planetarie, come quella di lasciare al suo destino Lehman Brothers, rimangano nelle mani di singole autorità.
Sono proposte che presentano luci e ombre. Ad esempio, nessuno garantisce che un collegio di supervisori, ciascuno con il proprio linguaggio e le proprie priorità, sia in grado di intervenire con la necessaria rapidità: meglio sarebbe individuare un lead supervisor a cui spetta comunque l’ultima parola in caso di disaccordo. E i codici di condotta sono una bellissima cosa, basta farli rispettare: affidarsi agli effetti reputazionali e ai controlli di mercato, è pura illusione. Tuttavia, se adottate queste misure rappresenterebbero comunque un piccolo passo in avanti che realisticamente, nelle condizioni date, sarebbe sbagliato sottovalutare.
UN NUOVO FONDO
Piuttosto, e ancora una volta, il problema è non solo definire regole condivise, ma trovare qualcuno in grado di applicarle. Senza fantasticare troppo su nuove futuribili architetture, occorre sfruttare quello che c’è a disposizione:una riforma degli organismi esistenti, come appunto il Fondo monetario internazionale, è la strada ragionevolmente più a portata di mano. E il Fondo monetario potrebbe avere non solo il ruolo invocato da Gordon Brown, ma anche quello di garantire l’ernforcement dei codici di condotta imposti ai sovereign wealth funds in materia di trasparenza e controlli dei rischi, informando il mercato su chi vi aderisce e chi invece li viola. Si potrebbe anche attribuire al Fmi la funzione di coordinamento e indirizzo sulle modalità di intervento degli stati nei sistemi bancari: forse è ancora presto per pensare, come qualcuno ha proposto, a risorse direttamente gestite dal Fondo, ma di fronte a una situazione dove ciascuno segue la propria strada di “nazionalizzazione”, trovare linee comuni (ad esempio, temporaneità degli interventi, rispetto di precisi criteri gestionali, regole di governance legate alla partecipazione pubblica eccetera) rappresenterebbe già un significativo progresso per creare sui mercati condizioni di stabilità omogenee.
UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE
È evidente che queste misure presuppongono una nuova legittimazione del Fondo e una revisione dei suoi meccanismi di governo, che assegnino un diverso peso ai partecipanti. Meccanismi sui quali ormai da molto tempo si discute. Forse, il crollo del muro di Berlino del capitalismo occidentale può finalmente diffondere la consapevolezza che non si possono condividere le regole se non si condividono anche i poteri per farle valere, e che tenere ai margini paesi che oltretutto cominciano anche loro a sentire i morsi della crisi, non conviene più a nessuno.
C’è, però, un ultimo aspetto che non riguarda il futuro più immediato, ma che forse è il più importante, anche volgendo lo sguardo alle nostre piccole vicende casalinghe.
Nuove regole, nuove autorità, lo stato che non solo assicura il buon funzionamento dei mercati, ma entra direttamente nel capitale degli intermediari e assume un protagonismo, prima sconosciuto, nell’economia: tutto questo richiede grande equilibrio, grande impegno, e pone la domanda se non sia necessario un profondo rinnovamento delle classi dirigenti, perché siano adeguate a gestire compiti così difficili. Da oltreoceano il 4 novembre sono arrivati segnali confortanti: speriamo si diffondano, ne abbiamo bisogno.
(1) L’International Working Group of Sovereign Wealth Funds ha gia individuato alcuni standard di comportamento (Santiago Principles) per i fondi sovrani da adottare su base volontaria. Sul sito www.iwg.swfg.org
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