La giustizia, per la verità, non è il suo dicastero e, dunque, il fatto che egli abbia promesso di risolverne i problemi può spiegarsi solo con una preoccupante ipertrofia dell’io e con deplorevoli intenti propagandistici.
Ma l’umiltà non è certamente una virtù nota a Brunetta, fino al punto da rendersi ridicolo senza neppure rendersene conto il ridicolo (a questo link una figura terrificante davanti a un Enrico Mentana addirittura incredulo).
Così, facendo sfoggio di un grossolano celodurismo, il “ministro di un altro dicastero” ha dato a intendere di avere la ricetta giusta per la giustizia, ricetta che si esaurisce nel mettere i tornelli per ottenere che i magistrati stiano in ufficio.
E’ incredibile come per tanti anni nessuno si sia reso conto che i complessi problemi della giustizia potrebbero essere risolti con tanta semplicità! Ci voleva Brunetta!
Dando prova di particolare ineleganza, ha colorito il tutto con accuse gratuite e generalizzate ai magistrati medesimi, indicati come fannulloni e assenteisti.
E aggiungendo ineleganza a ineleganza, se ne è andato a celebrare parte dello show da Bruno Vespa, senza che nessuno dei due – né lui né Vespa – provasse un qualche imbarazzo per il fatto che il giornalista che lo ospitava e che in più di una occasione lo ha aiutato nel trarsi dall’imbarazzo di alcune obiezioni del Presidente dell’A.N.M. è il marito di un magistrato che è fuori ruolo, proprio perché in servizio per il governo del quale Brunetta è ministro (in particolare, Augusta Iannini è dirigente presso il ministero della giustizia). In sostanza, per Vespa Brunetta è, sotto certi profili, il datore di lavoro della moglie: quando si dice il giornalismo coraggioso e indipendente.
Gli show del ministro Brunetta sono particolarmente gravi e dolorosi perché si fondano su alcune evidenti falsificazioni della realtà.
Lo schema logico seguito dal ministro è quello molto ben descritto da Francesco Merlo in un articolo per Repubblica del 28 ottobre 2008, che è riportato anche in questo blog a questo link: vendere chiacchiere per nascondere la realtà.
Facendosi emulo di altri colleghi di partito e di governo, Brunetta, invece di individuare e concorrere a risolvere i numerosi e gravi problemi dai quali il Paese in generale e la giustizia in particolare sono affetti, fa “propaganda”.
Lo schema consiste nell’additare al pubblico ludibrio uno o più colpevoli di tutto e nel promettere vane campagne di lotta dura e senza paura a questi colpevoli. E’ lo stesso schema della “guerra” ai Rom, ai grafitari, alle prostitute, ecc.: “campagne” false e inutili. Patacche!
La cagnara che ne segue raggiunge due obiettivi: dà visibilità mediatica a politici “protagonisti” (nel senso deteriore della parola) e distrae l’attenzione dell’opinione pubblica dalla realtà delle cose.
E’ così che per diverse settimane si è discusso dei magistrati diffamati come fannulloni e rubastipendio e dei tornelli e nessuno ha chiesto a Brunetta cosa davvero voglia fare e cosa in concreto lui e i suoi amici stiano davvero facendo per risolvere almeno uno dei problemi affidati alla loro responsabilità.
Perché è ovvio che siamo tutti d’accordo che bisogna aumentare l’efficienza della amministrazione della giustizia ed è ovvio che ci sono anche in magistratura magistrati fannulloni e altri anche peggio.
Ma è assolutamente evidente che:
1. la quantità di fannulloni e farabutti fra i magistrati non è in alcun modo superiore alla media di tutte le altre categorie professionali del Paese (per alcune specifiche ragioni, anzi, è certamente inferiore);
2. l’inefficienza della giustizia non dipende dalla produttività dei magistrati, che è oggettivamente alta;
3. il problema che abbiamo non è essere d’accordo sul fatto che si debba lottare per ottenere efficienza, ma come farlo.
Ed è proprio con riferimento a questo secondo aspetto del problema che la condotta di Brunetta è particolarmente deplorevole e, secondo il mio modesto parere, molto inadeguata ai doveri di un ministro della Repubblica.
Non sarebbe intellettualmente e moralmente onesto che io, per ottenere consenso presso qualcuno, andassi in televisione a dire che la giustizia va male perché gli avvocati sono dei farabutti e che da domani nel mio ufficio “gliela farò vedere io”; come non sarebbe intellettualmente onesto che un mio collega che lavora in Procura dicesse che gli impiegati comunali sono tutti corrotti o i medici tutti macellai e che da domani lui farà “finire la pacchia”.
Perché è ovvio che, pur essendoci avvocati farabutti (come in ugual misura anche magistrati, medici, autisti, elettricisti, massaie, ecc.), il problema non è scoprire questo – che è come scoprire la famosa “acqua calda” – ma individuare i problemi e le loro possibili soluzioni.
Non avrebbe alcun senso che io dicessi: “Basta con gli imputati colpevoli. Da domani condannerò tutti e basta”. Ciò che mi viene richiesto non è condannare tutti, ma condannare i colpevoli e assolvere gli innocenti.
Se condannassi tutti o assolvessi tutti, questo vanificherebbe il senso stesso del processo.
Così come dando dei fannulloni a tutti, si “coprono” i veri fannulloni, che potranno dire italicamente: “Ma siamo tutti così”. In definitiva, come sempre nel nostro Paese, se tutti sono fannulloni, nessuno lo è.
Se Brunetta e i suoi amici volessero davvero individuare i problemi della giustizia, sarebbe facilissimo per loro vederli e anche provare a risolverli.
E anche se volessero solo limitarsi a individuare i magistrati lavativi e punirli, avrebbero tutti gli strumenti per farlo e tutta la solidarietà dei moltissimi che lavativi non sono e che dall’esistenza dei lavativi traggono moltissimo danno personale.
Dicevo che gli show di Brunetta sono particolarmente gravi e dolorosi perché si fondano su alcune evidenti falsificazioni della realtà.
Egli ha ironizzato sul fatto che alcuni di noi vanno in ufficio solo alcuni giorni alla settimana e che non ci stanno il pomeriggio. E si è inventato questa cosa farsesca dei tornelli.
La falsificazione e la farsa sono duplici.
Per un verso, si spera che Brunetta sappia che non può mettere i tornelli e non li metterà (e dunque tutto il suo show è un imbroglio fatto in malafede ai danni dell’opinione pubblica) perché il contratto di lavoro dei magistrati non prevede orari di lavoro.
E questo non è un privilegio, ma una croce.
Infatti, se i magistrati avessimo un orario di lavoro, compiuto quello, ce ne potremmo andare a casa a fare quello che ci pare e non lavoreremmo più di un tot ore al giorno.
Il contratto di lavoro dei magistrati non prevede orari, ma prevede responsabilità alle quali fare fronte e basta. Come sia sia, quante ora ci vogliano.
Dunque, la maggior parte di noi, sentendosi insultare con la farsa dei tornelli ha pensato: “Magari ci mettessero i tornelli!!”.
A ognuno di noi è affidato un tot di pratiche – io ho molte centinaia di processi civili da istruire e decidere – che dobbiamo trattare e basta. Con i mezzi (pochissimi), il tempo (che non basta mai) e il personale (sempre meno) che abbiamo a disposizione.
Non si può a una certa ora dire: “Bene, è scaduto l’orario, ci fermiamo qui”.
Altrimenti il maxiprocesso alla mafia di Palermo iniziato negli anni ’80 sarebbe ancora in corso.
Il lavoro dei magistrati non è misurato dal tempo, ma dalle esigenze dei casi concreti.
Il pubblico ministero di turno deve andare a fare il sopralluogo di un omicidio all’ora e nel luogo in cui il morto è stato scoperto.
Il g.i.p. di turno deve convalidare o no i fermi entro 48 ore da quando gli viene richiesto.
Il Tribunale del riesame deve decidere sulla richiesta di riesame delle misure cautelari entro dieci giorni. E così via.
I codici sono pieni di termini, di incombenze, di adempimenti.
A seconda del lavoro che fai, devi farlo in ufficio, o al carcere, o per strada, o a casa.
L’interrogatorio dell’arrestato si fa al carcere. Il dibattimento si celebra in Tribunale. Il sopralluogo si fa sul posto.
Il mio lavoro si fa tendenzialmente a casa.
Io sono uno di quelli che va in ufficio solo tre giorni alla settimana.
Questo perché faccio il giudice civile.
E il processo civile è un processo di atti scritti.
Dunque, il mio lavoro consiste nel leggere tonnellate di carte e scrivere migliaia di pagine di sentenze.
Faccio due udienze e una camera di consiglio alla settimana; tratto complessivamente una cinquantina di processi alla settimana.
Nel corso delle udienze, vengono raccolte le istanze della parti e dei loro avvocati e assunte le prove.
Dopo di che bisogna leggere quegli atti, prendere le conseguenti decisioni e scriverne le motivazioni. C’è anche da studiare. Fatti e diritto.
Tutto questo si fa a casa.
Per due motivi. Il primo, perché è il posto dove lo puoi fare meglio: i nostri computer privati e le nostre raccolte di dottrina e giurisprudenza sono più efficienti di quelle che si trovano in ufficio. Il secondo, perché non abbiamo uffici per tutti (io – come la quasi totalità dei miei colleghi – divido il mio a giorni alterni con una collega: lei tiene udienza il martedì e giovedì, io il lunedì e mercoledì; venerdì ci siamo entrambi per le camere di consiglio).
Quanto lavora in media ciascuno di noi emerge in maniera abbastanza comprensibile a tutti e anche a Brunetta da una lettera che gli ha inviato un nostro collega, Sergio Palmieri, e che si può leggere sul blog a questo link.
Tutto questo è agevolmente verificabile da chiunque e a maggior ragione da un ministro.
Tutto il lavoro dei magistrati, infatti, è rilevato ufficialmente dall’Istat.
Qualunque cosa ciascuno di noi faccia viene registrata in cancelleria e del tutto vengono fatti elenchi e relazioni.
Ogni ufficio giudiziario viene ispezionato da cima a fondo ogni tre anni.
Queste approfonditissime ispezioni danno luogo a enormi volumi contenenti ogni dato utile a radiografare il funzionamento dell’ufficio e l’efficienza o no dei suoi responsabili.
Queste relazioni vanno al ministro della giustizia.
Da ventitre anni (da quando, cioè, sono in magistratura) mi chiedo se qualcuno al ministero se le legga.
Perché l’impressione che ho dell’attività degli uffici ispettivi del ministero è che abbiano una spiccata tendenza ad andare a “ispezionare” i magistrati zelanti e attivi e a dimenticarsi di quelli negligenti e lavativi.
In linea di massima i ministri della giustizia che ho conosciuto finora tendono a mandare ispettori a fare le pulci ai magistrati che “disturbano” e a non fare molto contro quelli che “si imboscano”.
Se Brunetta volesse fare qualcosa di utile, potrebbe farsi nominare ministro della giustizia –perché attualmente quello non è il suo incarico e, dunque, tutto ciò che ha detto lo ha detto da incompetente per materia – e andarsi a leggere le decine di relazioni triennali che consentirebbero a lui e a chiunque lo volesse davvero di individuare chi lavora poco e male e perseguirlo adeguatamente.
Ma, purtroppo, la verità è che a nessuno che stia al potere interessa davvero perseguire i magistrati fannulloni o comunque intenti a pratiche deplorevoli, perché un magistrato fannullone o intento a pratiche deplorevoli è davvero prezioso per il potere, perché è ricattabile.
E nei ventitre anni che ho di servizio ho visto sempre il potere politico impegnato a difendersi dai magistrati “pericolosi” e a conservare l’“amicizia” di quelli ricattabili.
La lettera sulla nostra produttività gliel’ha scritta Sergio Palmieri.
Il mio messaggio a Brunetta è più breve. E’: si vergogni, ministro!
Non solo e non tanto perché insulta gratuitamente intere categorie di persone senza avere alcun rispetto dei tantissimi che in esse si spendono con eroica generosità, ma perché con le sue falsità inganna i cittadini dei cui problemi dovrebbe occuparsi.
Oggi L’Espresso le dedica una interessante inchiesta (della quale alcune pagine sono riportate anche su questo blog, a questo link) e lei, eludendo le osservazioni dei giornalisti su alcune imbarazzanti verità che la riguardano, la mette sul patetico, dicendosi perseguitato dalla Brigate Rosse.
Ovviamente ha tutta la nostra solidarietà con riferimento alle vili minacce di ignobili terroristi, ma, se proprio dobbiamo affrontare questo tema, sappia che in questo paese non c’è stato NESSUN ministro morto assassinato. Mentre per contare i magistrati assassinati ci vogliono le dita di molte mani.
Lei ama dire di sé stesso di essere “la Lorella Cuccarini del governo” (si può leggere un commento su quest’altra sparata in un articolo di Gian Antonio Stella a questo link).
Rifletta sul fatto che, quando si accettano cariche pubbliche, l’obiettivo non può essere diventare “la Lorella Cuccarini del governo”, ma impegnarsi a risolvere per davvero i problemi dei nostri concittadini.
Al governo, insomma, servirebbero persone competenti e impegnate, non soubrette vanitose e spaccone.
Avete già una soubrette al ministero delle pari opportunità.
Almeno al ministero della pubblica amministrazione provi a recitare una parte diversa.
Altrimenti continueremo a trovarci in questo paradosso di un governo nel quale la soubrette si improvvisa nel ruolo della persona competente alle pari opportunità e le persone asseritamente competenti (tanto da ritenersi degne di un Nobel) recitano il ruolo delle soubrette in altri dicasteri.
di Felice Lima
(Giudice del Tribunale di Catania)
Fonte articolo
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