24/11/08

L’insostenibile doppiezza di Angelino Alfano


“La mafia è sempre equivalente alla morte e alla barbarie assoluta: uccide gli uomini, la speranza del futuro e la dignità dei vivi [...] Con il pacchetto sicurezza e con le ulteriori norme che abbiamo approvato e che ci apprestiamo ad approvare abbiamo messo in campo una straordinaria offensiva antimafia come ai tempi di Falcone […] Maroni si conferma un campione dell’antimafia e noi siamo uniti come giocatori di un’unica squadra che si chiama Stato” (Angelino Alfano, 10 novembre 2008).
Le parole di Alfano sono inequivocabili: lotta senza quartiere alla mafia.

Non è il primo intervento in questa direzione dell’enfant prodige di Forza Italia nei confronti del fenomeno mafia: il suo primo atto da ministro della giustizia fu la firma di diversi provvedimenti per il 41 bis, il regime di carcere duro per i mafiosi.

Poi, diramazione di circolari per rendere più restrittivo il regime carcerario e difficoltose le comunicazioni dei boss detenuti. Presenza fissa alle commemorazioni delle vittime di mafia: Borsellino, Falcone, Dalla Chiesa, Don Puglisi. Tributati e commemorati con queste parole:

“Oggi è un giorno di dolore, ma anche di speranza” (Angelino Alfano il giorno dell’anniversario della morte di Borsellino, 19 luglio 2008).

“Ventisei anni fa è stato assassinato il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, simbolo della lotta dello Stato contro l’antistato […] decise coraggiosamente di andare avanti, a rischio della propria vita e di quella dei suoi cari, mosso unicamente dal senso del dovere e dalla forza interiore che solo un profondo e radicato attaccamento ai principi di legalità e giustizia può infondere” (Angelino Alfano, 3 settembre 2008).

“A distanza di quindici anni, il ricordo di don Pino Puglisi, della sua alta figura morale e della sua coraggiosa testimonianza cattolica, costituiscono per la società civile siciliana, e non solo, un’occasione per dimostrare che l’antistato, il ricatto e la paura possono essere sconfitti […] Non si illudano gli assassini di oggi e di ieri - per una voce stroncata con un colpo alla nuca, altre migliaia si sono alzate, libere e unite nel gridare con forza il loro no alla mafia, alla violenza e alla morte” (Angelino Alfano, 15 settembre 2008).

“Io andavo alle elementari, dalle suore Ancelle Riparatrici, quando la mafia ha ucciso Mattarella. Ero alle medie quando hanno sparato a Dalla Chiesa e al ginnasio quando hanno ammazzato Chinnici. La mia generazione ha un vaccino culturale antimafia” (Angelino Alfano, “Il Corriere della sera magazine”, 31 luglio 2008).

Tutto normale e lodevole, se non fosse che Alfano concilia a queste parole altre meno lusinghiere in difesa di Marcello Dell’Utri: braccio destro di Berlusconi, già condannato in via definitiva per false fatturazioni e frode fiscale, sotto processo per estorsione mafiosa, imputato a Palermo in appello con l’accusa di aver organizzato, insieme a falsi pentiti, accuse al fine di screditare veri pentiti di mafia.

Ma, soprattutto, Dell’Utri è stato condannato in primo grado a nove anni con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

La sentenza dell’11 dicembre 2004, emessa dal tribunale di Palermo, inchioda Dell’Utri per «episodi ed avvenimenti dipanatisi nell’arco di quasi un trentennio, e cioè dai primissimi anni settanta fino alla fine del 1998» che comprovano «contatti diretti e personali» con esponenti di Cosa Nostra e il ruolo «di costante mediazione... tra quel sodalizio criminoso, il più pericoloso e sanguinario nel panorama delle organizzazioni criminali operanti nel mondo, e gli ambienti imprenditoriali e finanziari milanesi con particolare riguardo al gruppo Fininvest» […] «consentendo ... che Cosa Nostra percepisse lauti guadagni a titolo estorsivo dall’azienda milanese facente capo a Berlusconi, intervenendo nei momenti di crisi tra l’organizzazione mafiosa ed il gruppo Fininvest ... e promettendo appoggio in campo politico e giudiziario».

Pertanto, scrivono i giudici, la pena per Dell’Utri «deve essere ancora più severa ... dovendosi negativamente apprezzare la circostanza che l’imputato a voluto mantenere vivo per circa trent’anni il suo rapporto con l’organizzazione mafiosa (sopravvissuto anche alle stragi del 1992 e1993)».

Cosa ne pensa il paladino dell’antimafia Alfano?

“E’ una delle sentenze cui il giudizio su una persona è l’opposto dell’opinione che tantissimi, e io per primo, hanno di lei. Una sentenza che produce questo risultato, inquieta. Noi lo consideriamo da sempre [Dell’Utri, ndr], colto, sensibile, innocente” (Angelino Alfano,14 febbraio 2005, “Il Giornale”).

Avete capito bene: ciò che inquieta Alfano è che la condanna sia difforme dal giudizio suo e di molti su Dell’Utri, non che emergano fatti e circostanze agghiaccianti sui rapporti mafia-Dell’Utri.
Parole salvifiche anche per Salvatore Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia condannato in primo grado per favoreggiamento di alcune persone legate a Cosa Nostra.

“Nessuno, proprio nessuno, in Forza Italia, ha chiesto le dimissioni di Cuffaro” puntualizza Angelino all’indomani della condanna a cinque anni emessa dal tribunale di Palermo.

E che dire del filmato che ritrae Alfano nel 1996 abbracciare e baciare, al matrimonio di Gabriella Napoli e Francesco Provenzani, il padre della sposa, Croce Napoli, titolare di una fedina penale di tutto rispetto: arresto per associazione mafiosa, concorso in sequestro di persona, in omicidio e indicato dagli investigatori come «capo dell’omonima cosca mafiosa facente capo a Cosa nostra, operante in Palma di Montechiaro e nei centri limitrofi».

Beh niente male.

Che cosa dice Alfano? Prima nega ogni suo coinvolgimento: “Io non ho mai partecipato a matrimoni di mafiosi o dei loro figli, non conosco la sposa, Gabriella, né ho mai sentito parlare del signor Croce Napoli. Non ho nessuna memoria o ricordo di questo matrimonio”.

Poi però, visto che le immagini parlano da sole, il giorno seguente ritratta la versione: “Adesso ricordo, adesso che ho appreso altri particolari su quel matrimonio, ricordo di esserci stato, ma su invito dello sposo e non della sposa. A quel matrimonio fui invitato dallo sposo, mio conoscente. Non conoscevo la sposa, men che meno suo padre che, ovviamente, mi fu presentato lì quale suocero dello sposo e che, solo adesso, apprendo essere tale Croce Napoli di cui nella mia vita ho sempre ignorato l’esistenza. Purtroppo la Sicilia è una terra difficile e martoriata dove, qualche volta, anche l’ educazione e la cortesia di consegnare personalmente un regalo a uno sposo felice può produrre fastidiosi effetti collaterali”.

Niente di penalmente rilevante ovviamente e va aggiunto che può capitare forse a chiunque, magari non dovrebbe accadere a un deputato regionale (la carica ricoperta all’epoca da Alfano) in Sicilia.

Ma niente, come al solito la doppiezza della politica, che sul palcoscenico mostra la faccia bella e dietro le quinte fa disinvoltamente tutto e il contrario di tutto, non trova alcuna condanna sociale.

Nessuna indignazione, nessuno stupore come se ormai fosse normale, peggio ancora naturale, che i politici siano pubblici mentitori e che ciò che fanno, in fondo, conti meno di ciò che dicono. Credo, invece, dovrebbe essere vero il contrario.

di Daniele Della Bona

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