12/12/08

Golpe e bestemmie sotto l’albero dei catodici

Silvio Berlusconi, rivolto al suo cagnolino Bruno Vespa che gli esibiva l’osso fritto del dialogo con l’opposizione sulla deformazione della Giustizia, ha detto che “finché sarò al governo non mi siederò mai a un tavolo con questi marxisti leninisti” riferendosi al partito dell’alleato ombra Walter Veltroni. Ha aggiunto: “non accetto di parlare con questi individui, farò tutto da solo, cambierò la Costituzione anche senza la maggioranza dei due terzi del parlamento, come proprio la Costituzione recita”. In suo soccorso arriva il menestrello da lecca Angelino Inaffanno, che precisa come la “deforma” della Giustizia che gli italiani troveranno sotto l’albero di Natale, precederà ciò che estrarrà dalla calza la Befana: lo stravolgimento della Costituzione.
Durante il suo monologo paranoide alla presentazione del libro di Bruno Vespasiano, il presidente del consiglio plurimputato anche in corruzione in atti giudiziari ha spalancato braccia e zampe a Pierfagocitando Casini e a tutta la merce avariata del suo partito come Totò Cuffaro.
Porterà al G8 “il progetto avveniristico di elevare a 120 anni l’aspettativa di vita media in Italia” (senza spiegare chi pagherà le pensioni a cotanta gioventù) e lascerà ancora al menestrello da lecca Angiolino Inaffanno, il compito di sondare gli umori di Fini e di Bossi. Alla cena di Natale toccherà spalmare sull’ano degli alleati l’ennesima dose di vasellina al fine di ammorbidire “l’atto” di far loro votare la separazione delle carriere di giudici e pm, oltre che la creazione di 2 consigli superiori della magistratura con relativo aumento di burocrazia e costi.
Soltanto a Costituzione stravolta Berlusconi dice che farà scegliere ai cittadini con un referendum confermativo. Sì, quelli lobotomizzati da Enrico Papi e da Emilio Fede, disinformati e sedati da cervelli accanitamente tenuti in stato vegetativo, grazie agli artificiosi programmi televisivi sterminatori di memoria e di intelligenza.
In realtà alla commissione giustizia della Camera è in corso l’esame della deforma battezzata col cognome del suo padrino, Alfano, sulla limitazione delle intercettazioni telefoniche, bloccato dall’urlo dell’Associazione nazionale magistrati, che per voce del segretario Giuseppe Cascini “renderà impossibile le indagini sulla mafia, narcotraffico, omicidi, usura, truffa, estorsione e turbativa d’asta.”
Per risolvere la querelle sul rincaro dell’Iva a Sky, dopo che la pay-tv ha riempito i suoi canali di spot verità sui rincari di governo, Berlusconi pare intenzionato a indirizzare Gianni Letta o qualche altro suo scendiletto, verso il magnate australiano Rupert Murdoch per promettergli che in qualche modo, quei soldi dell’Iva, glieli restituiranno.
Mentre qui in Italia l’alleato della mafia Berlusconi loda il santo Emilio Fede e accusa di “oltraggio” la blanda satira della Rai pubblica, colpevole di non pareggiare la vergognosa realtà, ammette di non poter dialogare di etica nemmeno con Veltroni. Non c’è paragone fra il suo governo composto da una settantina di deputati e ministri fra condannati e rinviati a giudizio, e il pd, che a confronto è un convento di educande.
Intanto, sotto l’albero di Natale, gli italiani troveranno nuove impunità, tasse, crisi, aumento di insicurezza, giustizia più debole e inefficiente. Con l’obbligatorietà dell’azione penale superata sarà Angelino Inaffanno che dirà ai magistrati di cosa occuparsi, coronando così il sogno di Licio Gelli.
Basta entrare in un qualunque tribunale italiano per rendersi conto di come si lavora. A Milano, per esempio, la cronica lentezza della giustizia nelle cause civili provoca che le sentenze emesse a maggio vengono notificate in settembre. Chi volesse bussare a qualche porta per sollecitare si scoraggerebbe subito leggendo i comunicati, rivolti al personale che presta servizio nel tribunale come gli interpreti e i traduttori. Fra le righe si legge di “non perdere tempo a richiedere il pagamento delle fatture perché i soldi sono finiti. Se ne riparla nei prossimi mesi”.
Senza soldi e senza meccanismi di snellimento la giustizia non funzionerà mai. Dividere pm e magistrati giudicanti non abbrevierà di un solo giorno la durata dei processi. Svincolare la polizia giudiziaria dagli ordini dei pm non cambierà il disastroso quadro dell’inefficienza e dei ritardi.
Azzerare le sedi distaccate dei tribunali concepite ai tempi in cui si girava coi carretti trainati dai buoi, significherebbe risparmiare risorse da reinvestire per l’efficienza dei tribunali delle grandi città in cui centralizzare tutte le attività.
Soluzione ovvia in un Paese normale, non certamente nell’Italia dei Berlusconi, dei Fitto, dei Matteoli, dei Bossi, dei Gasparri, delle Carfagne e degli Alfano. E’ la vergogna che impallidisce.

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