16/12/08

Benny Calasanzio: il mio libro gratis!

Ho deciso di rendere liberamente scaricabile il mio libro "Disonorevoli Nostrani", il volume che racconta le vite dei diversamente onesti dell'Assemblea Regionale Siciliana. Ognuno di voi potrà scaricarselo, stamparlo, regalarlo, diffonderlo, metterlo sul proprio sito. Ho deciso di farlo perchè voglio che queste pagine raggiungano più persone possibili soprattutto in Sicilia. Chi vorrà potrà effettuare una donazione con le modalità che trovate nella sezione "Sostegno economico".

Per scaricarlo potete cliccare QUI oppure copiare questo indirizzo nella barra: http://www.mediafire.com/?rdym2qnhzze . In questa pagina basterà cliccare su "Click here to start download" per far partire lo "scaricamento".

In anteprima la prefazione di Carlo Vulpio, giornalista del Corriere della Sera.

"La mafia è stata sconfitta. Ma è stata sconfitta dalla Mafiosità. E dunque è giusto scrivere mafia con la minuscola e Mafiosità con la maiuscola. Senza Mafiosità non ci sarebbe mafia, perché alla mafia mancherebbe il terreno di coltura. Ma la Mafiosità può vivere benissimo, e addirittura prosperare, anche senza mafia: anzi, quando la Mafiosità vince, e si impone nell’agire quotidiano di persone e istituzioni, può fare della mafia ciò che vuole: ingoiandola e metabolizzandola può dichiararne l’inesistenza, tenerla sotto controllo, oppure riesumarla come pericolo pubblico numero uno. La Mafiosità ha vinto perché è il nuovo tratto distintivo del carattere nazionale, non più solo siciliano o meridionale, ma dell’Italia intera. Cambiano le forme e le modalità. Cambiano l’intensità, la quantità, l’appariscenza. Ma la sostanza è la stessa. Ed è tanto più pervasiva del carattere nazionale quanto meno riducibile alla commissione di reati, alla violazione del codice penale. La Mafiosità, insomma, può abitare dovunque, anche nelle istituzioni, anche nei palazzi di giustizia, dove spesso si trova a proprio agio, ma la sua esistenza non comporta necessariamente l’applicazione del reato di associazione mafiosa previsto dall’articolo 416 bis del codice penale. La Mafiosità però è devastante, non solo perché non può fare a meno di commettere o far commettere reati, ma anche perché per affermarsi e vincere, e diventare mentalità comune e condivisa, deve distruggere qualunque cosa assomigli all’etica pubblica. A leggere “I Divonesti” – felice fusione delle parole “diversamente onesti”, così come diremmo, in maniera pudìca e politicamente corretta, “diversamente abili” –, la sensazione del trionfo della Mafiosità è netta. “I Divonesti”, di Benny Calasanzio, è un Almanacco, un Bestiario, una grande Piccola Enciclopedia di facce, nomi, vite vissute, che si compiacciono di se stesse per il solo fatto d’essere lì, nell’Assemblea regionale siciliana, l’istituzione che rappresenta quattro milioni di persone, e dunque quattro milioni di cittadini italiani. Il libro di Calasanzio dimostra ancora una volta, nome per nome, fatto per fatto, che Leonardo Sciascia non si sbagliava quando ripeteva che la Sicilia è la metafora dell’Italia. E infatti è all’Italia e al parlamento italiano che corre il pensiero, mentre si leggono le prodezze dei parlamentari siciliani (che a differenza del resto d’Italia non sono consiglieri regionali, ma deputati, in virtù dello Statuto speciale della Regione Sicilia). Calasanzio li “fotografa” uno per uno, questi rappresentanti del popolo siciliano: a volte con ironia e con sarcasmo, a volte con severità e riprovazione. Mai però discriminandoli in base all’appartenenza politica, anche perché la materia su cui lavorare – sia a destra, sia a sinistra – non manca, anzi, abbonda. Di questo materiale umano (o “divumano”, per stare al gioco di parole del titolo del libro) Totò Cuffaro è soltanto l’espressione più visibile, più colorata, più sguaiata. Di sicuro, non la più completa, come si capisce chiaramente dal campionario proposto da Calasanzio, in cui c’è davvero di tutto. L’avvocato Salvino Caputo, per esempio, prima difende il medico che aveva falsificato la cartella clinica di Enzo Brusca per creargli un alibi nel giorno in cui Brusca partecipava a un agguato, e poi si fa eleggere presidente dell’associazione antiracket intitolata a Emanuele Basile, vittima della mafia. Mentre il deputato Gaspare Vitrano fa letteralmente “carte false” per far passare la propria candidatura. Nel secondo caso, parliamo di un reato, nel primo no. Ma forse a spiegare meglio il senso del discorso che stiamo cercando di fare è più la faccia di bronzo di Caputo che non la presunta attività falsificatrice di Vitrano. La stessa cosa si può dire per il “doppio incarico” dell’ex presidente della Provincia di Palermo, Ciccio Musotto, che da avvocato difende un imputato per la strage di Capaci del 1992 e contemporaneamente, da presidente della Provincia, rappresenta l’Ente che nel processo si costituisce parte civile. O per la signora Anna Finocchiaro, che non molla la candidatura, data per sicura perdente, a presidente del governo regionale per assicurarsi il “paracadute” che la farà atterrare a Palazzo Madama. Finocchiaro non lascia la candidatura a Rita Borsellino nemmeno quando una parte del suo elettorato le chiede di farlo come “estremo gesto d’amore”. E Gianfranco Micciché? Ruggisce come una belva contro la ricandidatura di Cuffaro e la candidatura dell’attuale presidente del governo siciliano, Lombardo, leader del Mpa. Ma appena Forza Italia e Mpa si accordano per le politiche del 2008, Micciché si accuccia come un cagnolone. E quando gli promettono la carica di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al Cipe (soldi pubblici, fondi Ue, piatto ricco) Micciché miagola come un gattino. Non c’è alcun reato in questi comportamenti. Ma l’effetto che producono nella società può essere più distruttivo di un furto o di una rapina. La galleria dei personaggi in cui ci conduce Calasanzio fa piangere e fa ridere al tempo stesso. Ma fa ridere solo per modo di dire, perché il sorriso che genera è un sorriso amaro, figlio di un dramma infinito, smorfia di espiazione di un castigo che sembra eterno. Per questa ragione Calasanzio, giustamente, non può trascurare la spedizione in Brasile, al carnevale di Rio, del sindaco di Adrano, Fabio Mancuso, e dei suoi cinquanta accompagnatori, o la proposta del consigliere comunale palermitano Alessandro Aricò di finanziare sconti sul prezzo del Viagra in favore degli anziani, in nome di “una migliore qualità della vita”. O ancora, del sindaco di Messina, Giuseppe Buzzanca, che arruola nel collegio difensivo del Comune ben 44 avvocati, “nemmeno fosse il presidente degli Stati Uniti”. Naturalmente, l’album dei “divonesti” è ricco di appalti truccati, consulenze d’oro, malversazioni d’ogni tipo e condanne per reati d’ogni genere. Non sempre condanne, però. I processi a volte sono terminati con prescrizioni puntuali come la morte, con assoluzioni sfacciate e incomprensibili, oppure sono sopravvissuti tra pronunce strane e contraddittorie, com’è accaduto per esempio al deputato Pippo Gianni, condannato in primo grado, assolto in Appello, ricondannato in Cassazione. E’ vero, “divonesti” non si nasce, si diventa. Però è anche vero, come riesce a dimostrare Calasanzio con una precisione martellante, che il “divonesto” tende a riprodursi e a riprodurre i propri comportamenti preferibilmente nella prole, a cui, quando cade in disgrazia o quando decide di ritirarsi, affida il testimone dell’impegno politico: ecco dunque spiegata la sfilza di “figli di padri” e “padri di figli” di cui è piena la politica siciliana (e italiana), con padri e figli che vanno e
vengono da uno scranno elettivo a uno onorario, da una poltrona in Assemblea regionale a una seggiola in un ente o in un consiglio d’amministrazione. Un conflitto di interessi impensierisce i “divonesti” quanto un fastidioso sassolino nelle scarpe. Mentre una condanna per aver favorito soggetti mafiosi può persino farli esultare e festeggiare con cannoli alla ricotta nel palazzo della Regione. Come ha fatto Cuffaro. Che poi è stato sistemato nel Parlamento nazionale, insieme con altri “divonesti”, che lo hanno salutato e applaudito come un esule perseguitato. Come “perseguitato” e applaudito era stato, qualche tempo prima, il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, in occasione delle indagini a suo carico e dell’arresto della di lui moglie, Sandra Lonardo, presidente del consiglio regionale della Campania, per le solite storie di “divonestà”. Ma gli applausi più fragorosi furono quelli che risuonarono nell’aula dell’Assemblea regionale siciliana, quando il deputato Giuseppe Limoli, che prima di allora non aveva parlato mai, espresse un concetto impegnativo e tuttavia difficilmente confutabile: “Caro presidente Cuffaro – disse Limoli - , il popolo siciliano ti ha votato, e ti ha votato in presenza di imputazioni gravissime”. La Mafiosità aveva vinto. E ora proclamava la sua vittoria. La Mafiosità aveva battuto anche la mafia. Aveva battutto tutti".

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