Tutto comincia nel 1996. Il ministro delle Comunicazioni del governo Prodi, Antonio Maccanico, presenta il ddl 1138 con una norma antitrust: entro il 28 agosto, come ha stabilito nel 1994 la Corte costituzionale, Mediaset dovrà cedere una rete o mandarla sul satellite. Ma subito dopo annuncia un decreto salva-Rete4: proroga di 5 mesi in attesa della riforma complessiva del sistema, che non arriverà mai, bloccata dall’ostruzionismo della destra in commissione Lavori pubblici e Telecomunicazioni del Senato (presidente Claudio Petruccioli). A fine anno la proroga di agosto sta per scadere. Ma niente paura: Maccanico ne concede un’altra. Intanto D’Alema diventa presidente della Bicamerale coi voti di Forza Italia: due anni di inciucio sfrenato. Il Parlamento approva una piccola parte della riforma Maccanico: nessun operatore può detenere più del 20% delle frequenze nazionali, dunque Rete4 è di troppo. Ma a far rispettare il tetto dovrà essere la nascente Agcom, e solo quando esisterà “un effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi via satellite o via cavo”. Solo allora Rete4 andrà su satellite e Rai3 trasmetterà senza spot. Cioè mai. Che vuol dire «congruo sviluppo» del satellite? Nessuno lo sa. Nell’ottobre ’98 cade il governo Prodi, rimpiazzato da D’Alema. L’Agcom presenta il nuovo piano per le frequenze e bandisce la gara per rilasciare le 8 concessioni televisive nazionali che si divideranno le frequenze analogiche disponibili, in aggiunta alle tre reti Rai. Oltre a Mediaset e Tmc, si presenta un outsider: Francesco Di Stefano, imprenditore abruzzese proprietario di un network di tv locali: Europa7. La commissione ministeriale esamina le offerte e stila la graduatoria: Canale5, Italia1, Rete4, Tele+ bianco, Tmc, Tmc2, Tele+ nero, Europa7. Quest’ultima è 8^ in totale, ma addirittura 1^ per qualità dei programmi. E passerà al 6° posto appena Rete4 e Tele+nero traslocheranno su satellite dopo il famoso “congruo sviluppo” delle parabole. Il 28 luglio ‘99 un decreto del governo D’Alema le assegna la concessione. Di Stefano apre un mega-centro produzione di 22 mila mq sulla Tiburtina, 8 studi di registrazione, uffici, library di 3mila ore di programmi e tutto quanto occorre per una tv nazionale con 700 dipendenti. Non sa che sta iniziando un calvario infinito: diversamente che per le altre reti, già attive da anni, il decreto ministeriale non indica le frequenze di Europa7: sono occupate da Rete4 e Tele+ nero. Nel 2002 si rifà viva la Consulta: basta proroghe a Rete4, che dovrà emigrare su satellite entro il 1° gennaio 2004. Così le frequenze andranno a Europa7. Ma Berlusconi, tornato al governo, salva la sua tv con la legge Gasparri: il tetto del 20% va calcolato sui programmi digitali e le reti analogiche, cioè sull’infinito. Dunque Rete4 non eccede la soglia antitrust e può restare dov’è. Il 16 dicembre 2003, però, Ciampi respinge la legge al mittente. Ma a fine anno Berlusconi firma il decreto salva-Rete4: altri 6 mesi di proroga. Intanto scatta la Gasparri-2: per mantenere lo status quo in barba alla Consulta, si stabilisce che nel 2006 entrerà in vigore il digitale terrestre moltiplicando i canali per tutti e vanificando ogni tetto antitrust. Nel frattempo i «soggetti privi di titolo» che occupano frequenze in virtù di provvedimenti temporanei, cioè Rete4, possono seguitare a trasmettere. Chi ha perso la gara (Rete4) vince, chi ha vinto la gara (Europa7) perde. Di Stefano non demorde. Respinge gl’inviti a ritirarsi o a “mettersi d’accordo” e nel luglio 2004 si rivolge al Tar Lazio. Che però nel 2005 gli dà torto. Si va al Consiglio di Stato, per avere le frequenze negate e un risarcimento danni di 2 miliardi di euro (con le frequenze) o di 3 (senza). Il Consiglio di Stato passa la palla alla Corte di giustizia europea di Lussemburgo perchè valuti la compatibilità delle norme italiane con il diritto comunitario. Nel maggio 2006 il centrosinistra torna al governo. Ma non fa nulla per sanare l’illegalità legalizzata dai berluscones. E si guarda bene dal modificare le regole d’ingaggio all’Avvocatura dello Stato, che seguita a difendere la Gasparri in Europa. Come se governasse ancora Berlusconi. Il 31 gennaio 2008, finalmente, la sentenza della la Corte di Lussemburgo: le norme italiane che consentono a Rete4 di trasmettere al posto di Europa7 sono “contrarie al diritto comunitario”, dunque illegali: la Maccanico, il salva-Rete4, la Gasparri, ma anche il nuovo ddl Gentiloni. Tutte infatti concedono un infinito “regime transitorio” a Rete4, che va spenta subito, dando a Europa7 ciò che è di Europa7. Le norme comunitarie “ostano a una normativa nazionale che impedisca a un operatore titolare di una concessione di trasmettere in mancanza di frequenze assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati”. Uno tsunami che spazza via vent’anni di tele-inciuci. O almeno dovrebbe. La sentenza è immediatamente esecutiva e il governo Prodi - pur dimissionario - dovrebbe applicarla ipso facto. Ma il ministro Gentiloni ci dorme sopra, e intanto finisce anticipatamente la legislatura. Quella nuova si apre con un’ennesima legge salva-Rete4, poi ritirata da Berlusconi. Non ce n’è più bisogno. Il governo assegna a Europa7 una frequenza della Rai, peraltro inattiva. Ma l’altro giorno il Consiglio di Stato, dopo 10 anni di soprusi, si beve anche l’ultima truffa. Ed emette la sentenza-beffa: Europa7 ha ragione (Rete4 andava spenta fin dal 2004). Ma ha diritto alla miseria di 1.041.418 euro di danni, anche perché "non poteva ignorare i caratteri specifici della situazione di fatto nella quale maturò il bando": avrebbe dovuto "dubitare seriamente" che le frequenze gliele dessero davvero e rassegnarsi, abbandonando il settore tv, anziché proseguire la battaglia legale. Dove si credeva di vivere, questo ingenuo signore: in una democrazia?
(Vignetta di Natangelo)
(Vignetta di Natangelo)
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