Su un qualunque motore di ricerca di Intrernet basta digitare la parolina magica “fondi ue” per imbattersi in una giungla sterminata di informazioni su milioni di euro assegnati qua e là per opere, appalti e programmi di studio, spesso alla lente della magistratura italiana che cerca di far luce sul loro destino. Spesso si scopre che fiumi di denaro partiti da Bruxelles, una volta giunti alle regioni sono stati impiegati per scopi diversi rispetto all’assegnazione iniziale. Sparizioni, ruberie o impieghi inappropriati dipingono purtroppo il quadro italiano, che col calzare di questa crisi, non fa altro che accentuare le possibilità che la Ue scarichi definitivamente l’Italia, paese ritenuto poco affidabile, al pari se non peggio di altri paesi dell’area mediterranea.
Il dorato mondo dei finanziamenti europei è un grande mare grigio di denaro, che durante il suo percorso si disperde in migliaia di rivoli, molti dei quali incontrollati, che alimentano illegalità di ogni tipo. Un mare grigio che cercherò di rendere trasparente per capire dove finiscono i benedetti finanziamenti, di chi è l’incapacità di utilizzare i fondi che creano mancate opportunità di godimento di beni e servizi, capire quanto costano alle tasche degli italiani le inadempienze dell’Italia nei confronti dell’Europa, e ovviamente le truffe italiane nell’utilizzo di questi fondi.
Per esigenza di fare pian piano ordine, inizio a pescare alcune informazioni fra le più recenti che si trovano in rete. Ben conscio che per ogni singolo caso occorrerebbe un libro, per ragioni di praticità, cercherò, a tappe, di settorializzare la trattazione di fondi specifici nel tentativo di capire chi, dove e come sono stati impiegati i capitali assegnati.
Tanto per cominciare, il governo sta duellando con le regioni per 2,6 miliardi di euro di fondi europei dei complessivi 8, che dovrebbero essere impiegati nel biennio 2009-2010 per sostenere le finanze di almeno 500 mila lavoratori italiani del settore dell’auto ed edilizio in procinto di diventare disoccupati.
Problema: i governatori delle regioni, soprattutto del Sud, si oppongono alla richiesta e fanno braccio di ferro coi vari ministri. Quei soldi da dare ai disoccupati devono essere tolti a qualcun altro. A chi? Per esempio all’intricata rete dei corsi di formazione. Un tesoretto milionario di fondi europei che le regioni dispongono senza il filtro del governo. Da Bruxelles i soldi arrivano direttamente nei capoluoghi regionali come Milano, Palermo, Trieste, Bari, Catanzaro, Palermo. Senza passare dalla capitale Roma.
Soldi che le regioni impiegano come meglio credono. Quelle del Sud, come detto, amano destinanarli ai corsi di formazione lavoro che servono più a finanziare un esercito di formatori piuttosto che preparare i lavoratori. Potenti carrozzoni assistenziali e clientelari che rappresentano importanti bacini di voto con un enorme potere di pressione sulle amministrazioni locali. Resistono a tutti i disegni di riforma. Formano lavoratori senza lavoro, o se preferite, disoccupati formati.
Il problema, detto così semplicemente, si risolverebbe diminuendo il numero dei corsi di formazione o diminuendo i compensi dei formatori per disporre di fondi da destinare ai nuovi cassintegrati della Fiat di Melfi e di Termini Imerese del calderone dei 300 mila lavoratori del settore auto, piuttosto che per i 250 mila lavoratori del settore edilizio. Sono le cifre da capogiro fornite dalle stime nazionali per il 2009.
La Ue chiede di legare quei fondi alle “politiche attive del lavoro”. Cosa significa? In teoria servirebbero agli investimenti utili ad agevolare l’iniziativa privata e riqualificare strade e ferrovie. Ma per il ministro del welfare Maurizio Sacconi significa assecondare i capricci delle regioni. Che intendono impiegare il denaro per stipendiare i nuovi disoccupati trasformandoli tutti in formatori lavoro che tirano a campare un po’ come i formatori già formati. Gli stessi che non sono disposti a rinunciare ai loro privilegi.
I governatori regionali si oppongono? Il governo si adegua cercando il compromesso con Bruxelles. A nulla è servita la lettera del commissario europeo per l’Occupazione, Vladimír Špidla inviata alle regioni, che conferma come le risorse del fondo sociale europeo, quello dal quale dovrebbero arrivare secondo il governo i 2,6 miliardi da affiancare ai 5,4 di risorse nazionali, non possono essere spese per gli ammortizzatori sociali.
L’esecutivo si è rivolto alla stessa commissione spiegando che i corsi di formazione lavoro “svolgono un ruolo decisivo”. Tradotto: servono per stipendiare quelli che non hanno intenzione di mettersi in proprio. Nel tentativo di dissuadere Bruxelles.
I fondi europei (Fesr e Fse) hanno assegnato qualcosa come 13,9 miliardi alle regioni del Mezzogiorno,ma di questi quasi nulla è stato ancora speso. Destinarne un paio per sostenere i redditi di chi rischia il posto di lavoro appare una priorità. I ministri ci sono o ci fanno?
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